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ToggleNel contesto dei rapporti di distribuzione, emergono problematiche antitrust ogni volta che il concedente svolge attività che, anche solo potenzialmente, entrano in concorrenza con il concessionario. Questa situazione, definita dal regolamento (UE) 2022/720 come “duplice distribuzione”, solleva questioni giuridiche particolarmente delicate in merito alla legittimità delle informazioni scambiate tra le parti.
Questo articolo esamina, anche avvalendosi degli Orientamenti della Commissione Europea, il concetto di duplice distribuzione, di concorrenza potenziale e di informazioni scambiate tra contraenti in potenziale concorrenza.
Da ultimo, si evidenzia che tra le informazioni frequentemente scambiate tra concessionario e concedente, come i prezzi futuri e i dati dei clienti, le stesse possono rientrare nella categoria delle informazioni illegittime. Così come l’acquisizione di tali informazioni da parte del concedente può portare a implicazioni civilistiche una volta terminato il rapporto, con particolare riferimento al diritto del concessionario al pagamento di un’indennità di fine rapporto.
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1. Contesto normativo e quadro giuridico.
L’art. 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) proibisce gli accordi tra imprese che possono influenzare negativamente il commercio tra gli Stati membri e che hanno come oggetto o effetto la prevenzione, la restrizione o la distorsione della concorrenza all’interno del mercato interno. Tuttavia, il regolamento (UE) 2022/720 introduce eccezioni per gli accordi verticali, esentando, nei limiti specificati, tutti gli accordi di questa natura (inclusi, ovviamente, gli accordi di concessione di vendita o distribuzione esclusiva).
Questo avviene sulla base dell’assunto che tali accordi, pur restringendo la concorrenza, possano migliorare l’efficienza produttiva, la distribuzione o il progresso tecnologico. In pratica, il regolamento in oggetto riconosce che, sebbene gli accordi verticali limitino la concorrenza europea, essi contribuiscano a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti o a promuovere il progresso tecnico o economico. Riservando agli utilizzatori una congrua parte dell’utile derivante, questi accordi devono essere considerati legittimi, seppur entro determinati limiti che vengono precisati all’interno del regolamento stesso, in particolare all’articolo 2.
Nel contesto delineato, l’art. 2, paragrafo 4 del regolamento preclude l’applicazione dell’esenzione antitrust agli accordi verticali stipulati tra imprese concorrenti, fatta eccezione per due circostanze: quando tali imprese, pur essendo concorrenti, operano a diversi livelli della catena di produzione o distribuzione e non risultano essere in concorrenza diretta nei rispettivi ambiti. La ragione sottesa è di concedere l’esenzione a quei rapporti tra soggetti che, benché concorrenti su un certo livello della distribuzione, non lo sono nei livelli per i quali è stato concluso l’accordo verticale.
Quindi se le parti si pongono in una situazione di concorrenza sia a monte, che a valle, il rapporto verticale non gode automaticamente dell’esenzione; mentre se le parti sono in concorrenza solamente a valle, l’esenzione dell’accordo si estende a tutti i suoi elementi, inclusi gli scambi di informazioni tra le parti, a patto che siano direttamente connessi all’attuazione dell’accordo verticale o necessari per migliorare la distribuzione dei beni e servizi oggetto dell’accordo (art. 2, paragrafo 5).
La ratio è quella di prevenire situazioni in cui una delle parti possa utilizzare informazioni non strettamente necessarie, per ottenere vantaggi competitivi indebiti, nell’ottica di entrare nel mercato in cui la controparte opera.
In tale contesto, i considerando 12 e 13 del regolamento introducono il principio noto come “duplice distribuzione”, che si verifica ogni volta che il fornitore commercializza beni o servizi sia a monte che a valle, entrando così in concorrenza con i propri distributori indipendenti. La duplice distribuzione avviene tipicamente quando un fornitore vende i propri beni o servizi sia direttamente ai consumatori finali che tramite distributori indipendenti. In questo modo, il fornitore entra in concorrenza con i suoi stessi clienti a valle, il che può creare potenziali conflitti di interesse o distorsioni del mercato. La duplice distribuzione può verificarsi anche, ad esempio, quando il produttore vende sia a un importatore sia ai distributori, ponendosi in questo caso in concorrenza con il proprio importatore.
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2. La concorrenza potenziale.
Importante sottolineare che la concorrenza non deve necessariamente essere effettiva, bensì è sufficiente che sia anche solamente potenziale. L’art. 1, lettera c) del regolamento definisce quale “impresa concorrente” un soggetto che opera in concorrenza sia effettiva che potenziale. Un concorrente effettivo è un’impresa che opera sullo stesso mercato rilevante, mentre un concorrente potenziale è un’impresa che, in assenza dell’accordo verticale, avrebbe realisticamente la possibilità di entrare nel mercato rilevante in breve tempo, sostenendo gli investimenti e i costi necessari.
Il considerando 90 degli Orientamenti della Commissione (che sebbene non abbiano forza vincolante, sono di cruciale importanza nella prassi decisionale e nell’interpretazione delle norme), sottolinea che la valutazione della concorrenza potenziale deve basarsi su considerazioni realistiche, tenendo conto della struttura del mercato e del contesto economico e giuridico. Un’impresa è trattata come concorrente potenziale di un’altra impresa se, in assenza dell’accordo verticale tra le imprese, è probabile che la prima impresa, entro un breve periodo di tempo (di norma non superiore a un anno), effettui i necessari investimenti aggiuntivi o sostenga altri costi necessari per entrare nel mercato rilevante in cui opera l’altra impresa.
Tale valutazione deve basarsi su fondamenti realistici, tenendo conto della struttura del mercato e del contesto economico e giuridico. Non è sufficiente la semplice possibilità teorica di ingresso in un mercato, ma vi devono essere possibilità reali e concrete che l’impresa entri nel mercato senza incontrare barriere insormontabili all’ingresso. Per contro, non occorre dimostrare con certezza che l’impresa entrerà effettivamente nel mercato rilevante e che sarà successivamente in grado di mantenere la propria posizione.[1]
Pertanto, quando si tratta di un accordo che ha come conseguenza di mantenere temporaneamente fuori dal mercato un’impresa, occorre determinare se sarebbero esistite, in mancanza di detto accordo, possibilità reali e concrete che tale impresa accedesse a detto mercato ed entrasse in concorrenza con le imprese che vi sono stabilite.[2]
La prova di una situazione di concorrenza potenziale deve essere suffragata da una serie di elementi fattuali concordanti che tengano conto della struttura del mercato e del contesto economico e giuridico che ne disciplina il funzionamento, volti a dimostrare che l’impresa interessata avrebbe avuto, in assenza dell’accordo, reali e concrete possibilità di accedere al mercato in parola.[3]
In tale ambito, si richiama una significativa sentenza dalla Corte di Giustizia, pubblicata il 26 ottobre 2023, che risulta utile per un’interpretazione corretta della normativa in questione.[4]
L’oggetto della controversia riguardava la valutazione della compatibilità̀, con i principi dell’articolo 101 del TFUE, di un accordo concluso tra due società: una operante nel settore della distribuzione alimentare e l’altra attiva nei settori della distribuzione e produzione energetica. Le parti avevano stipulato un accordo di partenariato volto a collaborare nella distribuzione, offrendo sconti ai clienti dei supermercati gestiti dalla prima società per la fornitura di energia presso i punti vendita del secondo soggetto. Tale accordo includeva una clausola di non concorrenza, mediante la quale la società attiva nel settore alimentare si era impegnata a non entrare nel mercato dell’energia.
La giurisprudenza della Corte stabilisce che l’analisi deve concentrarsi non tanto sugli elementi soggettivi, quali la presenza o l’assenza dell’intenzione di competere in mancanza dell’accordo, ma piuttosto su elementi fattuali. Ciò include l’effettiva struttura del mercato di riferimento e aspetti contrattuali, come, per esempio, l’inclusione di un patto di non concorrenza nell’accordo in esame. Tali elementi possono fornire un chiaro indicatore dell’esistenza di una potenziale concorrenza. Con riferimento a quest’ultimo aspetto, viene rilevato che se le parti coinvolte in un patto di non concorrenza non si considerassero concorrenti potenziali, non avrebbero alcun motivo valido, in linea di principio, per stipulare un tale accordo.[5] Questo ultimo elemento, ovvero l’inserimento di un patto di non concorrenza all’interno dell’accordo verticale in esame, riveste un’importanza significativa, essendo tutt’altro che raro che il concedente si impegni a non svolgere attività di vendita nel territorio assegnato al concessionario.
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3. Orientamenti della Commissione e loro rilevanza.
Per interpretare il regolamento, vengono nuovamente in aiuto gli Orientamenti della Commissione. I punti 99 e 100 degli Orientamenti, in particolare, forniscono esempi di informazioni che possono o meno soddisfare i requisiti stabiliti dall’art. 2, paragrafo 5, delineando così quali informazioni sono presumibilmente legittime e quali potrebbero non esserlo sotto un profilo antitrust.
Il punto 99 elenca informazioni che, per natura, sono direttamente collegate all’attuazione dell’accordo verticale e necessarie per migliorare la produzione o la distribuzione. Tra queste rientrano:
- a) Informazioni tecniche: relative ai beni o servizi oggetto del contratto, necessarie per la conformità a misure normative e per adeguare i beni o servizi alle esigenze del cliente.
- b) Informazioni logistiche: relative alla produzione e distribuzione dei beni o servizi sui mercati a monte o a valle.
- c) Informazioni sui clienti: concernenti gli acquisti, le preferenze e le reazioni dei clienti, purché non limitino il territorio o i clienti ai quali l’acquirente può vendere.
- d) Informazioni sui prezzi di vendita: praticati dal fornitore/produttore all’acquirente per i beni o servizi oggetto del contratto.
- e) Informazioni sui prezzi di rivendita: relative ai prezzi di rivendita raccomandati o massimi e ai prezzi ai quali l’acquirente rivende i beni o servizi, purché non limitino la capacità dell’acquirente di stabilire il suo prezzo di vendita.
- f) Informazioni sulla commercializzazione: relative alla commercializzazione dei beni o servizi oggetto del contratto.
- g) Informazioni sui risultati: relative alle attività di commercializzazione e vendita di altri acquirenti dei beni o servizi oggetto del contratto.
Il punto 100 elenca informazioni che è generalmente improbabile che soddisfino tali condizioni. Ossia:
- a) Informazioni sui prezzi futuri: relative ai prezzi futuri ai quali il fornitore o l’acquirente intende vendere i beni o servizi sul mercato a valle.
- b) Informazioni su utenti finali identificati: a meno che non siano necessarie per soddisfare le richieste di un particolare utente finale o per attuare o monitorare la conformità a un accordo di distribuzione selettiva o esclusiva.
- c) Informazioni su beni a marchio proprio venduti da un acquirente: scambiate tra l’acquirente e un fabbricante di beni di marca concorrenti, a meno che il fabbricante non sia anche il produttore di tali beni a marchio proprio.
In sintesi, i punti 99 e 100 degli Orientamenti della Commissione devono essere utilizzati, da parte degli operatori del settore, quale strumento per comprendere i limiti entro i quali gli scambi di informazioni possono avvenire senza incorrere in violazioni antitrust nel contesto di accordi verticali intercorsi tra soggetti anche solo potenzialmente concorrenti.
Tra le informazioni certamente più comunemente raccolte e scambiate tra concessionario e concedente figurano quelle relative ai prezzi e ai clienti finali.
Come si è visto, il punto 100 degli Orientamenti chiarisce che le informazioni sui prezzi futuri sono improbabili da considerarsi legittime dal punto di vista antitrust, a differenza dei prezzi passati, che invece possono essere ritenute legittime. La distinzione risiede nella volontà del legislatore comunitario di prevenire che il concedente, trovandosi in una posizione di (anche solo potenziale) concorrenza con il concessionario, possa utilizzare informazioni sui prezzi futuri a proprio vantaggio nel mercato coperto dal proprio intermediario.
Analogamente, la raccolta di informazioni sui clienti finali è considerata legittima solo se necessaria per l’adempimento dell’accordo verticale (ad esempio per la gestione delle garanzie). Si evidenzia inoltre che, dal punto di vista civilistico, la conoscenza dei dati dei clienti finali diventa rilevante una volta terminato il rapporto, specialmente se il distributore o l’importatore rivendica il proprio diritto a un’indennità di fine rapporto. Questo aspetto assume particolare importanza in alcuni ordinamenti stranieri, quale quello tedesco, dove la conoscenza dei dati dei clienti finali è cruciale per le rivendicazioni di un’indennità
– Leggi anche – L’indennità del concessionario nel diritto tedesco
Recentemente anche in Italia, in seguito all’introduzione della normativa nel settore automobilistico con la legge di gennaio 2023, è stato riconosciuto il diritto all’indennità di fine rapporto per i concessionari nel settore automotive, con una possibile estensione analogica ad altri settori.
– Leggi anche – L’indennità del concessionario nel settore automotive..
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4. Ammende, sanzioni e iniziative processuali.
Eventuali non conformità alla normativa antitrust possono essere accertate non solo dalla Commissione e dall’Autorità nazionale competente in materia, sia su iniziativa propria che su segnalazione di terzi, ma possono anche essere portate all’attenzione dei giudici ordinari da parte dell’altro contraente o di terzi che ritengono di aver subito un danno a causa di condotte anticoncorrenziali.
Per quanto riguarda le ammende, la Commissione ha stabilito una soglia significativa, che può raggiungere il 10% del fatturato annuale totale realizzato nell’ultimo esercizio sociale dall’impresa sanzionata. Ciò è dovuto al fatto che l’ammenda deve avere un “effetto sufficientemente dissuasivo, allo scopo non solo di sanzionare le imprese in causa (effetto dissuasivo specifico), ma anche di dissuadere altre imprese dall’assumere o dal continuare comportamenti contrari agli articoli 101 e 102”.[6]
Analogamente, la legislazione nazionale[7] conferisce all’Autorità il potere di imporre sanzioni pecuniarie in presenza di condotte illecite di particolare gravità, che non hanno “natura di misura patrimoniale civilistica (…) bensì di sanzione amministrativa con connotati punitivi (affini a quelli della sanzione penale).”[8]
Riguardo alle iniziative processuali che possono essere intraprese da parte dell’altro contraente o da terzi, queste includono l’accertamento di una violazione, la dichiarazione di nullità del rapporto contrattuale, azioni per ottenere il risarcimento del danno e l’adozione di misure cautelari. In questi casi, non esistono limiti massimi predeterminati per il risarcimento; la quantificazione del danno sarà piuttosto determinata caso per caso, in base ai principi generali di risarcimento stabiliti dalla normativa applicabile alla singola situazione.
Il punto 100, lettera b), chiarisce in modo esplicito che l’acquisizione di informazioni relative a utenti finali identificati è difficilmente considerata come strettamente connessa all’esecuzione dell’accordo verticale, a meno che tali informazioni non siano essenziali per ottimizzare la produzione o la distribuzione dei beni o servizi oggetto del contratto.
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[1] Cfr. Sentenza del 30 gennaio 2020, Generics (UK) e a., C-307/18, EU:C:2020:52.
[2] Sentenza del 30 gennaio 2020, Generics (UK) e a., C-307/18, EU:C:2020:52, punto 37. 3 Sentenza del 30 gennaio 2020, Generics (UK) e a., C-307/18, EU:C:2020:52, punto 39.
[3] Sentenza del 30 gennaio 2020, Generics (UK) e a., C-307/18, EU:C:2020:52, punto 39.
[4] Sentenza del 26 ottobre 2023, EDP – Energias de Portugal SA, C‑331/21.
[5] Sentenza del 26 ottobre 2023, EDP – Energias de Portugal SA, C‑331/21, punto 71.
[6] cfr. Orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento (CE) n. 1/2003).
[7] Art. 15 Legge 287/1990.
[8] Consiglio di Stato, sentenza n. 1671 del 2001.