La “duplice distribuzione” e gli “intermediari ibridi” emergono come concetti salienti nel contesto degli accordi verticali e della normativa Antitrust.

La duplice distribuzione si verifica quando un soggetto sceglie di commercializzare i propri prodotti sia direttamente che attraverso distributori esterni, creando così una situazione anche di mera  concorrenza potenziale con questi ultimi. Tale fenomeno necessita di un’analisi accurata delle dinamiche di mercato, soprattutto per quanto concerne lo scambio di informazioni tra le parti coinvolte. Questo è particolarmente rilevante nel contesto delle vendite online, dove è imperativo prevenire eventuali violazioni delle normative antitrust.

Parallelamente, gli intermediari ibridi emergono nel contesto del commercio online quando una piattaforma funge simultaneamente da rivenditore per i prodotti di un fornitore e da venditore dei propri articoli. In questo scenario, si sviluppa una dinamica di potenziale concorrenza tra le due entità, tenuto conto che, in tale contesto, gli intermediari potrebbero avere l’interesse di favorire le proprie vendite, avendo anche la capacità di influenzare l’andamento della concorrenza tra le imprese che utilizzano i loro servizi di intermediazione online.

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1. Contesto normativo e quadro giuridico.

L’art. 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) proibisce gli accordi tra imprese che possono influenzare negativamente il commercio tra gli Stati membri e che hanno come oggetto o effetto la prevenzione, la restrizione o la distorsione della concorrenza all’interno del mercato interno.

Il terzo paragrafo dell’art. 101 prevede comunque un’esenzione a suddetto principio: restano validi gli accordi che, seppure restringano la concorrenza, contribuiscano a migliorare la produzione o distribuzione dei prodotti, ovvero il progresso tecnico o economico, a condizione che venga riservata per gli utilizzatori una congrua parte dell’utile che ne deriva.

Applicare questi principi agli accordi verticali, ossia contratti volti a restringere la concorrenza, è tutt’altro che agevole. Per assistere gli operatori del settore nella complessa analisi di conformità alle disposizione dell’art. 101, paragrafo 3, del TFUE, la Commissione Europea ha emanato specifici regolamenti[1] – l’ultimo dei quali è il regolamento (UE) 2022/720). Questi documenti normativi mirano a delineare con chiarezza i confini entro i quali gli accordi verticali, pur limitando la concorrenza, possono essere considerati leciti, assicurando che contribuiscano effettivamente al miglioramento della produzione, della distribuzione dei prodotti e del progresso tecnico ed economico, in coerenza con quanto stabilito dall’art. 101.

Nel contesto delineato, l’art. 2, paragrafo 1, del regolamento stabilisce che, salvo specifiche eccezioni dettagliate nel regolamento stesso, gli accordi verticali godono di un’esenzione automatica. Questa premessa si basa sull’assunto che, generalmente, tali accordi possano generare impatti economici positivi, ottimizzando la produzione o la distribuzione dei prodotti e incentivando il progresso tecnico o economico, assicurando al contempo che una porzione adeguata dei benefici conseguiti sia destinata agli utenti.

Come già esplorato in un articolo precedente, l’art. 3 del regolamento preserva in via generale l’esenzione per tutti quegli accordi nei quali sia il fornitore che l’acquirente non superino il 30% delle quote nel mercato rilevante; pertanto, beneficiano di una presunzione di legalità tutti gli accordi verticali tra entità che non eccedano tali soglie, a patto che i contratti non incorporino restrizioni fondamentali (le cosiddette hard-core restrictions, delineate nell’art. 4 del regolamento). Queste ultime, essenzialmente, in un sistema distributivo esclusivo, comprendono il divieto di imporre il prezzo di rivendita al distributore, il divieto di effettuare vendite passive fuori dal territorio e dalla clientela esclusiva, e il divieto categorico dell’utilizzo di internet.

È fondamentale sottolineare che gli accordi verticali tra imprese concorrenti, i quali non beneficiano dell’esenzione automatica, non sono soggetti a una presunzione di illegalità. Pertanto, gli stessi non devono essere considerati incompatibili con il mercato interno, e di conseguenza, vietati, senza che venga effettuato un previo esame degli effetti che gli stessi esercitano sulla concorrenza. Da un punto di vista pratico, essi dovranno essere valutati individualmente al fine di verificare la loro conformità con l’articolo 101 del Trattato.[2]

Leggi anche: Quota di mercato superiore al 30% e impatti su contratti di distribuzione.

 

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2. Accordi verticali tra imprese concorrenti.

2.1. Concorrenza effettiva e duplice distribuzione.

Nel contesto esposto, l’art. 2, paragrafo 4 del regolamento esclude dall’esenzione gli accordi verticali stipulati tra imprese concorrenti.

Ad ogni modo, il regolamento enfatizza la necessità di esaminare la concorrenza effettiva nel contesto specifico del singolo accordo verticale. In tale prospettiva, le lettere a) e b) dell’articolo 2, paragrafo 4, assegnano l’esenzione agli accordi verticali tra entità che, benché concorrenti su un piano orizzontale, non competono direttamente nei precisi livelli di produzione o distribuzione coinvolti nell’accordo verticale considerato.

L’intento è di concedere l’esenzione a quei legami tra entità che, pur essendo concorrenti in una certa fase della distribuzione, non lo sono nei livelli per cui l’accordo verticale è configurato, concentrando così l’attenzione sull’effetto specifico che ogni accordo esercita sul mercato, indipendentemente dalla concorrenza tra le parti in altri livelli distributivi.

Nella prospettiva di un’analisi attenta della reale situazione concorrenziale, indipendentemente dai ruoli svolti dai contraenti nel mercato, i considerando 12 e 13 del regolamento introducono un principio complementare, denominato “duplice distribuzione”. Questo fenomeno si manifesta quando il fornitore commercializza beni o servizi sia a monte che a valle, entrando così in concorrenza con i propri distributori indipendenti.

Ad esempio, si verifica una duplice distribuzione quando un produttore di scarpe, che inizialmente distribuiva i propri prodotti esclusivamente attraverso distributori, decide di vendere direttamente ai negozi, entrando, di fatto, in concorrenza con i propri distributori, andando ad agire sullo stesso livello della catena distributiva.

In tale scenario, l’accordo verticale non godrebbe automaticamente dell’esenzione essendosi trasformato, di fatto, in un rapporto tra soggetti in concorrenza tra loro.

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2.2. Lo scambio di informazioni nella duplice distribuzione.

Nell’ambito della duplice distribuzione, un contesto in cui le situazioni di potenziale concorrenza sono maggiori rispetto ai mercati “tradizionali” si hanno certamente nelle vendite online. Si prenda il caso, tutt’altro che insolito, in cui il produttore affianca ad una vendita tramite distributori, una vendita diretta online, sia essa attraverso il proprio sito, che mediante, ad esempio, l’utilizzo di un’applicazione appositamente sviluppata dallo stesso.

Seppure il produttore farà di tutto per armonizzare i canali di vendita, non è detto che sempre riuscirà in tale impresa, rischiando di trovarsi in una situazione di effettiva o potenziale (cfr. successivo paragrafo 4) concorrenza con i propri distributori.

Indipendentemente dagli sforzi compiuti dal produttore nella gestione dei due canali, un elemento che può assumere una rilevanza pratica e significativa è quello introdotto con l’art. 2, paragrafo 5, del regolamento, che impone un’importante limitazione riguardante eventuali scambi di informazioni tra fornitore e acquirente.

Sulla base di quanto delineato dai considerando 12 e 13 e dall’art. 2, paragrafo 4, l’art. 2, paragrafo 5, del regolamento stabilisce che, in situazioni di accordi tra soggetti concorrenti (indipendentemente dalle congiunture che hanno portato a tale circostanza), gli scambi di informazioni tra fornitore e acquirente che non sono direttamente legati all’attuazione dell’accordo verticale o che non sono indispensabili per ottimizzare la produzione o la distribuzione dei beni o servizi oggetto del contratto non godono mai dell’esenzione e, pertanto, possono essere potenzialmente in violazione della legislazione antitrust.

Per interpretare l’art. 2, paragrafo 5 del regolamento, si possono considerare gli Orientamenti della Commissione.[3] Sebbene gli stessi non abbiano forza vincolante, sono di cruciale importanza nella prassi decisionale e nell’interpretazione delle norme.

In particolare, i punti 99 e 100, forniscono esempi di informazioni che possono o meno soddisfare i requisiti stabiliti dall’art. 2, paragrafo 5, delineando così quali informazioni sono presumibilmente legittime e quali potrebbero non esserlo sotto un profilo antitrust.

Il punto 99 elenca informazioni che, per natura, sono direttamente collegate all’attuazione dell’accordo verticale e necessarie per migliorare la produzione o la distribuzione. Tra queste rientrano:

  • Informazioni tecniche: relative ai beni o servizi oggetto del contratto, necessarie per la conformità a misure normative e per adeguare i beni o servizi alle esigenze del cliente.
  • Informazioni logistiche: relative alla produzione e distribuzione dei beni o servizi sui mercati a monte o a valle.
  • Informazioni sui clienti: concernenti gli acquisti, le preferenze e le reazioni dei clienti, purché non limitino il territorio o i clienti ai quali l’acquirente può vendere.
  • Informazioni sui prezzi di vendita: praticati dal fornitore/produttore all’acquirente per i beni o servizi oggetto del contratto.
  • Informazioni sui prezzi di rivendita: relative ai prezzi di rivendita raccomandati o massimi e ai prezzi ai quali l’acquirente rivende i beni o servizi, purché non limitino la capacità dell’acquirente di stabilire il suo prezzo di vendita.
  • Informazioni sulla commercializzazione: relative alla commercializzazione dei beni o servizi oggetto del contratto.
  • Informazioni sui risultati: relative alle attività di commercializzazione e vendita di altri acquirenti dei beni o servizi oggetto del contratto.

Il punto 100 elenca informazioni che è generalmente improbabile che soddisfino tali condizioni. Ossia:

  • Informazioni sui prezzi futuri: relative ai prezzi futuri ai quali il fornitore o l’acquirente intende vendere i beni o servizi sul mercato a valle.
  • Informazioni su utenti finali identificati: a meno che non siano necessarie per soddisfare le richieste di un particolare utente finale o per attuare o monitorare la conformità a un accordo di distribuzione selettiva o esclusiva.
  • Informazioni su beni a marchio proprio venduti da un acquirente: scambiate tra l’acquirente e un fabbricante di beni di marca concorrenti, a meno che il fabbricante non sia anche il produttore di tali beni a marchio proprio.

I sopra citati punti devono essere utilizzati, da parte degli operatori del settore, quale strumento per comprendere i limiti entro i quali gli scambi di informazioni possono avvenire senza incorrere in violazioni antitrust nel contesto di accordi verticali intercorsi tra soggetti anche solo potenzialmente concorrenti.

Sebbene le illustrazioni fornite dalla Commissione possano offrire una guida parzialmente utile per il fornitore che intende conformarsi ai requisiti stabiliti nell’art. 2, paragrafo 5, la distinzione tra le informazioni che possono essere condivise e quelle che non possono esserlo necessita di una valutazione caso per caso. In linea di principio, si può affermare che queste ultime sono rappresentate da quei dati che, una volta condivisi, conferiscono a una parte, potenzialmente in concorrenza con il proprio contraente, la capacità di penetrare il mercato sfruttando un vantaggio competitivo non in linea con i principi della concorrenza europea.

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3. Intermediatori online che svolgono una funzione ibrida.

 

Un ulteriore aspetto, esplorato nei contesti di concorrenza tra soggetti che operano a livelli di mercato differenti e che è specificamente correlato alle vendite online, concerne i rapporti verticali con fornitori di servizi di intermediazione online.

Concretamente, ci si riferisce alle dinamiche che si instaurano tra un fornitore e un intermediario di servizi online, vale a dire una piattaforma che facilita la vendita di prodotti o servizi.

In tali rapporti, che sono categorizzati come accordi verticali dal momento che la piattaforma agisce come mediatore dei prodotti del produttore, si inserisce l’art. 2, paragrafo 6, del regolamento che stabilisce:

le deroghe menzionate al paragrafo 4, lettere a) e b), non si applicano agli accordi verticali relativi alla fornitura di servizi di intermediazione online nel caso in cui il fornitore di tali servizi sia un’impresa concorrente nel mercato rilevante per la vendita dei beni o servizi oggetto dell’intermediazione.”

In sostanza, la normativa identifica una situazione in cui una piattaforma online esercita una cosiddetta “funzione ibrida”,[4] agendo sia come intermediario per le vendite del fornitore sia promuovendo la vendita dei propri prodotti o servizi, che entrano in concorrenza con i prodotti intermediati. In questo contesto, le esenzioni previste dalle lettere a) e b) dell’art. 2, paragrafo 4, del regolamento, non sono applicabili, considerando che ci si trova in una situazione in cui gli intermediari potrebbero avere l’interesse di favorire le proprie vendite, così come la capacità di influenzare l’esito della concorrenza tra le imprese che utilizzano i loro servizi di intermediazione online.[5]

Anche se il testo normativo citato non è di facile lettura, possiamo cercare di semplificarlo, lontani dal volerlo banalizzare, sottolineando che, nuovamente, è fondamentale esaminare l’effettivo rapporto concorrenziale che si instaura tra i contraenti. In particolare, se l’intermediario online non svolge solo il ruolo di intermediario, ma anche di potenziale concorrente sulla stessa piattaforma che fornisce come spazio per la vendita dei prodotti dei contraenti, ci troveremmo chiaramente in una situazione di concorrenza effettiva tra soggetti operanti sullo stesso piano distributivo e quindi di un rapporto non esentato dal regolamento in esame.

Come verrà esaminato più approfonditamente nel successivo paragrafo, nel contesto dell’intermediazione ibrida (analogamente alla duplice distribuzione), la concorrenza da parte della piattaforma non deve necessariamente manifestarsi in modo effettivo; è sufficiente anche una concorrenza potenzialmente percepibile. In questo senso, basta che il fornitore dei servizi di intermediazione online, entro un periodo di tempo relativamente breve (solitamente non superiore a un anno), intraprenda gli investimenti aggiuntivi necessari o sostenga altri costi indispensabili per accedere al mercato rilevante per la vendita dei beni o servizi oggetto dell’intermediazione.[6]

È fondamentale evidenziare che l’applicazione dell’articolo 2, paragrafo 6, del regolamento (UE) 2022/720 presuppone che l’accordo verticale, stipulato dal fornitore di servizi di intermediazione online che svolge una funzione ibrida, non sia classificabile come un accordo di agenzia commerciale, il quale non rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 101.[7]

Leggi anche: Ma le piattaforme online sono agenti di commercio?

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4. Rischi associati alla concorrenza potenziale.

Importante sottolineare che la concorrenza non deve necessariamente essere effettiva, bensì è sufficiente che sia anche solamente potenziale. L’art. 1, lettera c) del regolamento definisce quale “impresa concorrente” un soggetto che opera in concorrenza sia effettiva che potenziale. Un concorrente effettivo è un’impresa che opera sullo stesso mercato rilevante, mentre un concorrente potenziale è un’impresa che, in assenza dell’accordo verticale, avrebbe realisticamente la possibilità di entrare nel mercato rilevante in breve tempo, sostenendo gli investimenti e i costi necessari.

Gli Orientamenti, poi, declinano ulteriormente questa definizione.[8] Sottolineano che la valutazione della concorrenza potenziale deve basarsi su considerazioni realistiche, tenendo conto della struttura del mercato e del contesto economico e giuridico. Non è sufficiente una semplice possibilità teorica di ingresso in un mercato; deve esserci una possibilità reale e concreta, senza barriere insormontabili all’ingresso. In ogni caso, non è necessario dimostrare con certezza che l’impresa entrerà effettivamente nel mercato rilevante e manterrà la propria posizione.

Per valutare se un’impresa, assente da un mercato, sia in concorrenza potenziale con imprese presenti su tale mercato, è necessario esaminare se esistano possibilità reali e concrete che tale impresa possa integrare il mercato e competere con le altre. Questo criterio esclude la possibilità di stabilire una concorrenza potenziale basata su mere ipotesi o volontà non supportate da azioni concrete e preparatorie.[9]

La valutazione dell’esistenza di una concorrenza potenziale deve essere effettuata alla luce della struttura del mercato e del contesto economico e giuridico che ne disciplina il funzionamento. Valutare la concorrenza potenziale implica un esame accurato della struttura e del contesto del mercato, considerando diversi fattori chiave e dinamiche operative. Di seguito, un elenco di alcune aree fondamentali e punti da esplorare durante tale valutazione:

  • Struttura e contesto del mercato: la prima fase della valutazione implica un’analisi attenta del mercato e del suo funzionamento, osservando non solo la distribuzione attuale delle imprese e la loro quota di mercato, ma anche le dinamiche, le tendenze e i modelli commerciali prevalenti.
  • Vincoli normativi e proprietà intellettuale: la presenza di ostacoli normativi e di diritti di proprietà intellettuale, come brevetti e marchi, necessitano di un esame scrupoloso, in quanto possono creare barriere all’ingresso o altrimenti influenzare la capacità delle nuove entrate di competere in maniera effettiva sul mercato. La proprietà intellettuale può, infatti, restringere l’accesso a tecnologie o conoscenze cruciali e, pertanto, alterare la dinamica concorrenziale.
  • Determinazione e capacità di ingresso nel mercato: la valutazione deve estendersi alla volontà e alla capacità di un’impresa di penetrare il mercato. Ciò implica l’analisi delle risorse, competenze e strategie che l’impresa può mobilizzare per entrare nel mercato, nonché la sua risoluzione nel superare eventuali barriere. Le decisioni strategiche, gli investimenti e gli asset dell’impresa sono pertanto cruciali per valutare la potenziale incidenza competitiva.
  • Misure preparatorie e strategie d’ingresso: è altresì fondamentale osservare quali passi concreti sono stati intrapresi dall’impresa per prepararsi a entrare nel mercato. Questo potrebbe includere lo sviluppo o l’acquisto di prodotti, la richiesta di certificazioni o autorizzazioni pertinenti, e l’elaborazione di piani di marketing e distribuzione. Un’analisi dettagliata delle iniziative e delle operazioni previste o già in corso può fornire uno spaccato delle reali intenzioni e capacità dell’impresa.
  • Elementi supplementari che corroborano la concorrenza Potenziale: altri fattori possono offrire indicazioni addizionali sulla determinazione di un’impresa nel costituire una forza concorrenziale. Ad esempio, la formazione di accordi con altre imprese, specialmente se precedentemente non erano attive nel mercato di interesse, può essere indice della fattibilità delle loro intenzioni e potenzialità di competere efficacemente.

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5. Ammende, sanzioni e iniziative processuali

Eventuali non conformità alla normativa antitrust possono essere accertate non solo dalla Commissione e dall’Autorità nazionale competente in materia, sia su iniziativa propria che su segnalazione di terzi, ma possono anche essere portate all’attenzione dei giudici ordinari da parte dell’altro contraente o di terzi che ritengono di aver subito un danno a causa di condotte anticoncorrenziali.

Per quanto riguarda le ammende, la Commissione ha stabilito una soglia significativa, che può raggiungere il 10% del fatturato annuale totale realizzato nell’ultimo esercizio sociale dall’impresa sanzionata. Ciò è dovuto al fatto che l’ammenda deve avere un “effetto sufficientemente dissuasivo, allo scopo non solo di sanzionare le imprese in causa (effetto dissuasivo specifico), ma anche di dissuadere altre imprese dall’assumere o dal continuare comportamenti contrari agli articoli 101 e 102”.[10]

Analogamente, la legislazione nazionale[11] conferisce all’Autorità il potere di imporre sanzioni pecuniarie in presenza di condotte illecite di particolare gravità, che non hanno “natura di misura patrimoniale civilistica (…) bensì di sanzione amministrativa con connotati punitivi (affini a quelli della sanzione penale).”[12]

Riguardo alle iniziative processuali che possono essere intraprese da parte dell’altro contraente o da terzi, queste includono l’accertamento di una violazione, la dichiarazione di nullità del rapporto contrattuale, azioni per ottenere il risarcimento del danno e l’adozione di misure cautelari. In questi casi, non esistono limiti massimi predeterminati per il risarcimento; la quantificazione del danno sarà piuttosto determinata caso per caso, in base ai principi generali di risarcimento stabiliti dalla normativa applicabile alla singola situazione.

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[1] Regolamento (UE) 2022/720; Regolamento (CE) n. 330/2010: Regolamento (CE) n. 2790/1999.

[2] Punto (48) e (91) degli Orientamenti sulle restrizioni verticali.

[3] Orientamenti sulle restrizioni verticali (2022/C 248/01).

[4] Punto (104) degli Orientamenti.

[5] Punto (105) degli Orientamenti.

[6] Punto (106) degli Orientamenti.

[7] Punto (72) Orientamenti della Commissione.

[8] Punto (90) degli Orientamenti.

[9] Sentenze del 30 gennaio 2020, Generics (UK) e altri/Competition and Markets Authority, causa C-307/18, EU:C:2020:52, punti da 36 a 45;

[10] cfr. Orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento (CE) n. 1/2003.

[11] (art. 15 Legge 287/1990).

[12] Consiglio di Stato, sentenza n. 1671 del 2001.