Contratto di agenzia

Sentenze chiave del 2023: Una panoramica essenziale sul diritto di agenzia

Il 2023 ha portato una serie di sentenze significative nella giurisprudenza italiana ed europea inerenti al contratto di agenzia, delineando orientamenti e chiarimenti fondamentali in materia, talvolta in linea con i precedenti, talvolta in contrasto. Attraverso l'esame di queste decisioni, l'articolo offre una panoramica su come la materia dell'agenzia commerciale si è sviluppata nel corso degli ultimi mesi, andando a toccare temi importanti quali la forma del contratto, l'accesso alle scritture contabili,  l'indennità di fine rapporto e il fallimento. Questo articolo intende fornire un'analisi generale delle sentenze più influenti, evidenziando le implicazioni pratiche per agenti e preponenti e tracciando il percorso della giurisprudenza nell'ambito del diritto di agenzia.

__________________________

1. Forma del contratto

1.1. Prova del rapporto.

Corte d'Appello Milano, Sez. lavoro, Sentenza, 18/05/2023, n. 532

L'art. 1742, comma 2, c.c., dispone che “il contratto deve essere provato per iscritto”. Del che la norma richiede la forma scritta solamente ad probationem e non ad substantiam. La forma, dunque, non è un elemento costitutivo del contratto, ma un onere richiesto ai fini della prova dell’avvenuta stipulazione di esso. Conseguenza dell’inosservanza della forma stabilita è il divieto della prova testimoniale (art. 2725, comma 1 c.c.), così come di quella presuntiva (art. 2729, comma 2, c.c.). Ad ogni modo, la mancanza di un contratto scritto non preclude l’indagine sull'esistenza e sulla natura del rapporto intercorso quale agenzia, ma comporta che tale accertamento debba svolgersi sulla base della documentazione prodotta in atti dalle parti in causa.

Nell’affermare tale principio, la Corte d’Appello richiama il consolidato orientamento della Corte di legittimità, in base al quale la prova dell'esistenza di un contratto di agenzia non deve necessariamente derivare da un documento formale che evidenzia l'accordo iniziale delle parti. Può anche essere dedotta da documentazione che riflette l'esecuzione volontaria del contratto, la sua conferma o il riconoscimento volontario delle sue condizioni da parte delle parti coinvolte e, quindi, documenti che mostrano come le parti abbiano effettivamente agito in accordo con un contratto di agenzia (ad esempio, riepiloghi di pagamenti e di provvigioni, estratti conto).[1]

La prova deve quindi riguardare i caratteri distintivi del rapporto di agenzia, ossia i requisiti di stabilità e continuità del rapporto. Nel caso di specie, sono stati sufficienti la periodicità delle fatture che nel caso di specie avevano cadenza mensile e restarono state emesse dalla gente nonché dai loro importi.

__________________________

1.2. Contratto di agenzia e art. 1341 c.c.

Corte d'Appello Milano, Sez. lavoro, 23/03/2023, n. 327

La sentenza della Corte d'Appello di Milano, n. 327 del 23 marzo 2023, affronta una questione importante relativa alla natura e alla formazione del contratto di agenzia, in relazione all'art. 1341 del codice civile italiano, che disciplina le condizioni generali di contratto.

La Corte osserva che il contratto di agenzia si basa sull' "intuitus personae", ovvero sulla particolare considerazione delle qualità personali dell'agente. A differenza dei contratti standardizzati che utilizzano moduli o formulari predisposti da una delle parti, e che sono destinati a una platea indifferenziata di soggetti, il contratto di agenzia è specificamente rivolto a determinati agenti e si caratterizza per un regolamento negoziale personalizzato.

In questo contesto, la Corte chiarisce che al contratto di agenzia non sono applicabili i criteri di forma previsti dall’art. 1341 c.c., inerente alla disciplina relativa ai contratti conclusi mediante la sottoscrizione di moduli e formulari: "non è sufficiente che uno dei contraenti abbia predisposto l'intero contenuto del regolamento (senza il concorso dell'altra parte) ma è necessario che le condizioni in esso fissate non possano che accettarsi (o rifiutarsi) nella loro interezza e, comunque, siano finalizzate a disciplinare una serie indefinita di rapporti".[2]

__________________________

2. Rito lavoro 

Cass. civ., Sez. lavoro, Ordinanza, 05/04/2023, n. 9431

Con sentenza del 23 novembre 2021, il Tribunale di Piacenza ha dichiarato il proprio difetto di competenza, per effetto della clausola compromissoria contenuta nell'art. 13, comma 2 del contratto di agenzia tra le parti, e ha ritenuto che l'attività di agenzia svolta dal ricorrente, data l'autonomia della sua struttura imprenditoriale di non modeste dimensioni, non rientrasse nella sua competenza. Successivamente, con atto notificato il 22 dicembre 2021, l’agente ha proposto regolamento di competenza, ai sensi degli artt. 42, 47, 819 ter c.p.c.

In questo contesto, la sentenza della Corte di Cassazione, si inserisce per chiarire i criteri di competenza in relazione ai rapporti di agenzia. La Corte ribadisce che le controversie relative al rapporto di agenzia rientrano nella competenza per materia del Tribunale del lavoro, secondo l'art. 409, n. 3, c.p.c., solo se il rapporto implica una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale. Tale requisito si considera mancante, escludendo l'applicazione del rito del lavoro, qualora l'agente operi tramite una società di persone o di capitali, o abbia organizzato la propria attività con criteri imprenditoriali, gestendo un'impresa autonoma.

La prevalente personalità della prestazione d'opera è un requisito distintivo di tutti i rapporti di parasubordinazione, inclusi quelli di agenzia, come previsto dall'art. 409 c.p.c., n. 3. Questo requisito viene meno qualora il contributo personale e diretto dell'agente all'attività sia meno significativo rispetto all'organizzazione e al coordinamento di una struttura autonoma. Tale situazione si verifica qualora il personale e diretto contributo dell'agente alla prestazione dell'attività caratteristica sia minore rispetto a quello all'organizzazione e al coordinamento di un'autonoma struttura.

È stata, ad esempio, riconosciuta la competenza del giudice ordinario per un'agenzia di considerevoli dimensioni, con dodici dipendenti, quattro subagenti e tredici consulenti previdenziali, oltre a un ampio portafoglio clienti, tanto da necessitare la gestione amministrativa, tecnica e finanziaria da parte di una società in accomandita semplice.[3]

Nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha confermato la sentenza del Tribunale di Piacenza, osservando che l'estensione territoriale del mandato (Italia e Svizzera), la rete commerciale composta da sei collaboratori per la promozione e conclusione degli affari, la loro remunerazione da parte dell'agente, l'assegnazione di aree di competenza distinte e la collaborazione di due architetti, indicano chiaramente un'organizzazione dell'attività in forma imprenditoriale. Tale organizzazione è stata allestita e gestita dall’agente, con una prestazione d'opera personale che prevale rispetto a quella tipicamente associata.

__________________________

3. Modifiche unilaterali del contratto.

Cass. civ., Sez. lavoro, Ordinanza, 05/04/2023, n. 9365

La sentenza in oggetto ha confermato un orientamento ormai più che costante, in base al quale nel contratto di agenzia, sono considerate nulle, ai sensi degli artt. 1346 e 1418 c.c., le clausole che conferiscono al preponente un potere illimitato di modifica unilaterale della base di calcolo e quindi dell’importo delle provvigioni. Il caso di specie riguardava il riconoscimento in capo al preponente di potersi riservare la facoltà di concedere extrasconti in misura non prestabilita e a un numero di clienti imprecisato, rendendo così non determinato e non determinabile un elemento essenziale del contratto, quale la controprestazione dovuta all'agente.

Sebbene il codice civile riconosca la possibilità di variazioni unilaterali (come quelle correlate alle controprestazioni, contemplate dagli artt. 2103 e 1560 c.c.), è fondamentale che tali modifiche siano predeterminate, attraverso caratteristiche intrinseche o limiti esterni, in modo da rendere possibile la formazione del consenso alla stipulazione del contratto su più oggetti determinati previsti come alternativi.

Di conseguenza, è stata considerata legittima una clausola che riservi al preponente la scelta, all'atto della stipulazione del contratto o nel corso del rapporto, tra più sistemi di provvigioni determinati nei loro effetti economici complessivi, tali quindi da consentire all'agente la rappresentazione delle possibilità alternative accettate con la conclusione del contratto.[4]

Contrariamente è stata dichiarata nulla, in quanto condizione meramente potestativa, la clausola con cui il preponente si riservi, in qualsiasi momento e previa comunicazione, la possibilità di trattare direttamente con alcuni clienti non predefiniti, senza riconoscere all’agente le provvigioni sulle vendite così effettuate e svuotando così il contenuto del contratto.[5]

Allo stesso modo, è stata dichiarata nulla per indeterminatezza dell'oggetto (ex artt. 1346 e 1418 c.c.) la clausola di un contratto di agenzia che consenta al preponente di modificare unilateralmente e con il solo onere del preavviso le tariffe provvigionali, escludendo che la determinazione di un elemento essenziale del contratto, quale la controprestazione dell'attività dell'agente, sia rimessa al mero arbitrio del preponente.[6]

__________________________

4. Provvigioni

Corte d’Appello Roma, Sez. lavoro, Sentenza, 20/02/2023, n. 428

L'articolo 1748 del codice civile regolamenta il diritto alla provvigione dell'agente, stabilendo i criteri e le condizioni per la sua maturazione, esigibilità e restituzione. La normativa può essere compresa attraverso i seguenti punti chiave:

1.     Maturazione del Diritto alla Provvigione (comma 1): L'agente ha diritto alla provvigione per tutti gli affari conclusi durante il contratto se l'operazione è stata conclusa per effetto del suo intervento. Questo stabilisce il principio che la provvigione è dovuta in relazione all'efficacia dell'azione dell'agente nel portare a termine l'affare.

2.     Esigibilità della Provvigione (comma 4): La provvigione diventa esigibile dal momento e nella misura in cui il preponente ha eseguito, o avrebbe dovuto eseguire, la prestazione in base al contratto concluso con il terzo. Inoltre, la provvigione è dovuta all'agente, al più tardi, nel momento in cui il terzo ha eseguito o avrebbe dovuto eseguire la prestazione, a condizione che il preponente abbia adempiuto ai suoi obblighi. Questo stabilisce un legame diretto tra l'esecuzione dell'affare e il diritto dell'agente a ricevere la provvigione.

3.     Restituzione delle Provvigioni (comma 6): L'agente è tenuto a restituire le provvigioni riscosse solo se è certo che il contratto tra il terzo e il preponente non avrà esecuzione per cause non imputabili al preponente. È nullo qualsiasi patto che sia più sfavorevole all'agente. Questo implica che l'agente può essere tenuto a restituire la provvigione se l'affare non si concretizza per motivi non attribuibili al preponente.

Del che, anche se un contratto di agenzia include una clausola che considera approvato il conto provvigionale se non contestato entro un certo periodo (ad esempio, 30 giorni), l'approvazione dell'estratto conto non impedisce l'impugnabilità della validità e dell'efficacia dei singoli rapporti obbligatori.[7]

Ad ogni modo, l'inserimento nel conto provvigionale inverte l'onere della prova dell'esistenza del rapporto fondamentale.[8] Tuttavia, questo non impedisce al preponente di sottrarsi al pagamento della provvigione, dimostrando (tramite specifiche allegazioni e prove da parte dello stesso) che il contratto non è stato eseguito per cause a lui non imputabili.

__________________________

5. Accesso ai libri contabili

Corte d'Appello Bari, Sez. lavoro, Sentenza, 28/06/2023, n. 1038

L'articolo 1749 del codice civile italiano stabilisce un principio fondamentale nel contesto dei rapporti di agenzia: il preponente è tenuto ad agire con lealtà e buona fede nei confronti dell'agente. Questo principio implica l'imposizione di specifici doveri sul preponente per assicurare una gestione trasparente e corretta del rapporto di agenzia. Tra questi doveri rientra l'obbligo di fornire all'agente tutta la documentazione e le informazioni necessarie per l'adempimento efficace e completo del suo incarico. Inoltre, il preponente deve regolarmente, almeno su base trimestrale, fornire all'agente un dettagliato estratto conto delle provvigioni spettanti, offrendo così una visione chiara e dettagliata delle transazioni effettuate.

Parallelamente, la normativa riconosce all'agente un diritto esplicito di richiedere e ricevere tutte le informazioni necessarie per la verifica dell'importo delle provvigioni liquidate. Questo include, in particolare, il diritto di accesso agli estratti dei libri contabili del preponente. L'obiettivo è di consentire all'agente di controllare in modo autonomo e accurato le provvigioni a lui dovute, in linea con i principi di buona fede e correttezza che governano il rapporto di agenzia.

Deve però puntualizzarsi che il diritto all'accesso alla documentazione contabile non è fine a sé stesso, ma è funzionalmente e strumentalmente collegato al soddisfacimento del diritto alle provvigioni ed alle indennità collegate al rapporto di agenzia. In questo senso è stato affermato che l'acquisizione della documentazione in possesso solo del preponente dev'essere indispensabile per sorreggere, sul piano probatorio, la domanda formulata in relazione a diritti determinati o determinabili, ammettendosi la carenza di indicazione di tali dati quantitativi, quando essa derivi dall' inadempimento dell'obbligo di informazioni posto dalla legge a carico del preponente e, in primis, dell'obbligo contrattuale concernente l' invio degli estratti conto provvigionali.[9]

Incombe quindi alla parte che agisce al fine di ottenere l'esibizione documentale dedurre e dimostrare l'esistenza dell'interesse ad agire, con circostanziato riferimento alle vicende rilevanti del rapporto (tra cui, in primis, l'invio o meno degli estratti conto provvigionali ed il loro contenuto) e l'indicazione dei diritti, determinati o determinabili, al cui accertamento è finalizzata l'istanza.[10]

Va altresì evidenziato che nell'ambito dell'autorità istruttoria del giudice del lavoro, l'emissione di un ordine di esibizione ai sensi dell'articolo 210 del codice di procedura civile rimane una facoltà discrezionale del giudice di merito. Tale giudice non è tenuto a motivare la decisione di ricorrere a tale strumento istruttorio residuale, il quale si rende operante esclusivamente qualora non vi siano altri mezzi disponibili per acquisire la prova dei fatti, e non deve servire a fini meramente esplorativi da parte di chi sollecita l'ordine.[11]

In tale contesto, la Corte ha stabilito che l'esibizione di documenti non può essere ordinata quando la parte avrebbe avuto la possibilità di acquisire autonomamente tali documenti e presentarli in giudizio. Solo nel caso in cui specifici documenti non siano altrimenti ottenibili e la parte dimostri di essere stata impedita nel produrli, l'ordine di esibizione può essere considerato giustificato.

Nel caso specifico posto in esame, l'appellante ha invocato il diritto alla verifica dei Registri IVA relativi alle fatture di vendita emesse dalla controparte con una richiesta che è stata ritenuta genericamente esplorativa e priva della necessaria finalità strumentale. L'appellante, infatti, non ha fornito indicazioni concrete che tali registri avrebbero potuto rivelare discrepanze rispetto agli estratti conto già sottoposti all'analisi del consulente tecnico, risultando così una domanda priva del necessario fondamento che ne giustificherebbe l'ammissibilità secondo i criteri delineati dalla giurisprudenza citata.

__________________________

6. Scioglimento del contratto

Corte d'Appello Milano, Sez. lavoro, Sentenza, 10/02/2023, n. 1033

L'indennità di fine rapporto di agenzia, prevista dall'articolo 1751 del codice civile italiano, impone all'agente l'obbligo di dimostrare la conclusione effettiva del rapporto. Senza questa comprovazione, l'indennità non viene riconosciuta.

Nella situazione in esame, la preponente aveva informato l'agente della risoluzione del contratto di concessione di vendita in essere con la società produttrice dei prodotti promossi dall'agente. La Corte ha considerato che la mera notifica di estinzione del contratto di concessione da parte della mandante non è sufficiente a dimostrare l'intenzione di porre termine anche al rapporto di agenzia correlato. Si noti che nella comunicazione inviata all'agente, la preponente annunciava che stavano valutando la possibilità di negoziare, in qualità di singolo dealer, nuovi termini contrattuali con la società concedente, concludendo l'avviso con l'impegno di aggiornare l'agente sugli sviluppi delle trattative.

 

Tribunale Roma, Sez. XVII, Sentenza, 11/04/2023, n. 5790

In materia di contratto di agenzia, l'art.1751 c.c. prevede che l'agente, entro il termine breve di un anno, deve formulare a pena di decadenza una richiesta scritta di pagamento delle indennità di fine rapporto, mentre entro il termine di prescrizione quinquennale lo stesso deve proporre la relativa azione giudiziaria.

 

Corte d'Appello Cagliari Sassari, Sez. lavoro, Sentenza, 22/02/2023, n. 37

In tema di contratto di agenzia, fatto costitutivo del diritto all’indennità ex art. 1751 c.c. è la cessazione del rapporto, di cui al primo comma della citata disposizione codicistica, unitamente alle condizioni previste nelle successive articolazioni dello stesso articolo, mentre costituiscono fatti impeditivi le circostanze tipizzate al secondo comma.

__________________________

7. Clausola risolutiva espressa

Si osserva che in tema di clausola risolutiva espressa si riscontrano due orientamenti giurisprudenziali divergenti, che qui di seguito si riportano.

  1. Cassazione civile, Sezione II, Ordinanza, 23/06/2023, n. 18030

Secondo questa interpretazione, il recesso senza preavviso da un rapporto di agenzia è consentito solo in presenza di una causa che impedisca la prosecuzione anche provvisoria del rapporto, come previsto dall'articolo 1751, comma 2, del codice civile. Questa sentenza sottolinea che il ricorso da parte della impresa preponente ad una clausola risolutiva espressa, richiede comunque una verifica giudiziale dell'esistenza di un inadempimento che costituisca giusta causa di recesso, ai sensi dell'articolo 2119 del codice civile. In tale verifica, il giudice deve considerare le dimensioni economiche del contratto, l'impatto dell'inadempimento sull'equilibrio contrattuale e la gravità della condotta, tenendo conto della posizione dell'agente e dell'intensità della relazione di fiducia nel rapporto di agenzia. La sentenza si richiama ai più recenti orientamenti della Cassazione.[12]

 

  1. Corte d'Appello Milano, Sez. lavoro, Sentenza, 16/02/2023, n. 120

Questo secondo orientamento stabilisce che, nel rapporto di agenzia, è legittimo includere una clausola risolutiva espressa ai sensi dell'articolo 1456 del codice civile. In presenza di tale clausola, il giudice non deve valutare l'entità dell'inadempimento rispetto all'interesse della controparte, ma deve soltanto accertare se l'inadempimento sia imputabile al soggetto obbligato. La clausola risolutiva espressa, dunque, conferisce al contraente il diritto di ottenere la risoluzione del contratto per un determinato inadempimento dell'altra parte, senza doverne dimostrare l'importanza. Anche qui, la sentenza cita precedenti della Cassazione, seppure più risalenti.[13]

Nel caso di specie il Giudice ha accertato la circostanza documentale che il minimo concordato non sia stato raggiunto e ha ritenuto non rilevante il fatto che la decisione di risolvere in tronco la collaborazione sia avvenuta due anni dopo il mancato raggiungimento del budget, anche tenuto conto del fatto che nel caso di specie ill recesso del 24/3/15 è basato pure sul mancato raggiungimento del budget per il 2014 e non solo per il 2013) o che non ci siano state preventive contestazioni ad opera della preponente.

__________________________

 

Sempre in tema di rinuncia della clausola risolutiva espressa, la Corte d'Appello Bari, Sez. lavoro, Sent., 28/06/2023, n. 1038, ha richiamato un orientamento della Cassazione, che ha escluso la possibilità di ritenere provata la rinuncia implicita alla risoluzione del contratto ex art. 1456 c.c. in forza della sola tolleranza della parte creditrice, chiarendo che

"L'operatività della clausola risolutiva espressa viene meno in conseguenza della rinunzia della parte interessata ad avvalersene, ma, qualora si deduca la rinunzia tacita - che è pur sempre un atto di volontà abdicativa, ancorché non manifestato espressamente, bensì mediante comportamenti incompatibili con la conservazione del diritto - l'indagine del giudice volta ad accertarne l'esistenza, implicando la risoluzione di una questio voluntatis, deve essere condotta in modo che non risulti alcun ragionevole dubbio sull'effettiva intenzione del preteso rinunziante. La tolleranza dell'avente diritto - che può estrinsecarsi sia in un comportamento negativo (mancata comunicazione della dichiarazione di avvalersi della clausola subito dopo l' inadempimento) che in un comportamento positivo (accettazione di un adempimento parziale) - non costituisce di per sé prova di rinunzia tacita, ove non risulti determinata dalla volontà di non più avvalersi della clausola, ma da altri motivi, e il giudice, qualora accerti che non è configurabile una rinunzia tacita ma solo un comportamento tollerante, non può attribuire ad esso alcuna rilevanza giuridica ai fini della inoperatività della clausola risolutiva".[14]

__________________________

8. Indennità di fine rapporto

Cass. civ., Sez. lavoro, Ordinanza, 02/08/2023, n. 23547

Ai fini della determinazione dell’indennità in caso di cessazione del rapporto di agenzia per recesso del preponente, ex art. 1751 c.c., nella base di computo vanno ricomprese non soltanto le provvigioni maturate, ma anche quelle percepite come "fisso provvigionale", atteso che la previsione codicistica fa riferimento, in relazione al profilo del "quantum", al più ampio concetto di "retribuzioni riscosse" e non solo di provvigioni. Ciò in conformità alla direttiva Europea 86/653, la quale distingue retribuzione e provvigioni agli artt. 6, commi 1 e 2 e 17, ma ai fini del computo dell’indennità fa riferimento non soltanto alle provvigioni ma anche alle altre somme che la norma indica col termine retribuzioni. La Corte, sulla base di questo ragionamento, ha ritenuto possibile utilizzare come base di computo del tetto massimo non unicamente le provvigioni maturate dall’agente, ma altresì quelle percepite come "fisso provvigionale" (in questo caso superiore a quanto effettivamente maturato).

Considerando che nel calcolo massimo di cui all'art. 1751 c.c. possono computarsi anche le provvigioni fisse, è importante notare che la norma non specifica un metodo preciso di computazione. Pertanto, per il calcolo, si deve fare riferimento ai criteri ivi indicati. Questi criteri non riguardano esclusivamente lo sviluppo della clientela o degli affari da parte dell’agente e il mantenimento, da parte del preponente, di vantaggi sostanziali derivanti dall'attività di promozione svolta dall'agente stesso, ma anche alla rispondenza ad equità dell'attribuzione, in considerazione delle circostanze del caso concreto ed in particolare delle provvigioni perse da quest'ultimo.[15]

Tenuto conto che la disposizione codicistica mira ad indennizzare l'agente per la perdita del contratto e perciò dei vantaggi che il contratto gli avrebbe procurato, se il recesso ingiustificato avviene dopo un breve periodo di tempo dall'inizio del rapporto, la perdita può essere correlata al lavoro effettivamente svolto per la penetrazione in un mercato nuovo e dall'impegno profuso nella medesima direzione, prendendo come parametro per il calcolo dell’indennità anche delle provvigioni fisse. Queste provvigioni, pur non essendo direttamente indicative dell'attività di promozione delle vendite, possono essere un parametro utile nel determinare il compenso adeguato.

 

Corte d'Appello Milano, Sez. lavoro, Sentenza, 17/02/2023, n. 1111

In tema di contratto di agenzia, l'art. 1750 c.c. esprime un precetto materiale che vieta pattuizioni che alterino la parità delle parti in materia di recesso, con la conseguenza di reputare nullo per frode alla legge (ai sensi dell'art. 1344 c.c.) il patto che contempli, in aggiunta all'obbligo di pagare l’indennità di mancato preavviso, una clausola penale che, in quanto eccessivamente onerosa a cagione del proprio rilevantissimo importo, incida in misura significativa sulla normale facoltà di recedere di una delle parti, limitandola fortemente ed eludendo, per tale via, il principio imperativo della parità delle parti medesime nella materia del recesso.

Diverso è il caso esaminato dalla Corte di Appello di Brescia richiamata nella sentenza,[16] che ha invece ritenuto legittima una clausola penale prevista in caso di recesso, tenuto conto che la stessa non sarebbe stata applicata nel caso di recesso della società mandante senza giusta causa e, soprattutto, nel caso di recesso del promotore per giusta causa.

 

Corte giustizia Unione Europea, Sez. III, 23/03/2023, n. 574/21

L’art. 17 comma 3 della direttiva 86/653 ha quale fine quello di riparare il pregiudizio subìto dalla cessazione dei suoi rapporti con il preponente. Ciò si verifica nel caso in cui l’agente commerciale venga privato delle provvigioni che gli sarebbero derivate dall'esecuzione del contratto, procurando al tempo stesso al preponente vantaggi sostanziali in connessione con l'attività dell'agente commerciale, ovvero in condizioni che non abbiano consentito all'agente commerciale di ammortizzare gli oneri e le spese sostenuti per l'esecuzione del contratto dietro raccomandazione del preponente.

L'articolo 17, paragrafo 2, della direttiva 86/653 include anche le provvigioni future che l’agente avrebbe guadagnato se il contratto di agenzia non fosse terminato. Pertanto, nella determinazione dell’indennità di fine rapporto, secondo le condizioni di legge, devono essere considerate le provvigioni per le operazioni che sarebbero state concluse dopo l'estinzione del contratto, sia con nuovi clienti acquisiti dal preponente prima dell'estinzione, sia con i clienti con cui l'agente ha significativamente sviluppato gli affari.

Parimenti, l'articolo 17, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 86/653 deve essere interpretato nel senso che il versamento di provvigioni una tantum non esclude dal calcolo dell’indennità, prevista da tale articolo 17, paragrafo 2, le provvigioni che l'agente commerciale perde e che risultano dalle operazioni realizzate dal preponente, dopo l'estinzione del contratto di agenzia commerciale, con i nuovi clienti che l'agente commerciale gli ha procurato prima di tale estinzione, o con i clienti con i quali quest'ultimo ha sensibilmente sviluppato gli affari prima di detta estinzione, quando tali provvigioni corrispondono a remunerazioni forfettarie per ogni nuovo contratto concluso con tali nuovi clienti, o con i clienti esistenti del preponente, con l'intermediazione dell'agente commerciale.

__________________________

9. Patto di non concorrenza

Corte d'Appello Milano, Sez. lavoro, 23/03/2023, n. 327

Sebbene l’art. 1751-bis, comma secondo, preveda espressamente che l’accettazione del patto di non concorrenza comporta, in occasione della cessazione del rapporto, la corresponsione all’agente commerciale di una indennità di natura non provvigionale, secondo l’orientamento della Corte, tale previsione normativa può essere pattiziamente derogata pattiziamente dalle parti, non essendo presidiata da una sanzione di nullità espressa e non diretta a tutelare un interesse pubblico. Inoltre, la previsione vigente non opera per i contratti d’agenzia sottoscritti precedentemente all'entrata in vigore dell'art. 23, comma 1, L. 29 dicembre 2000, n. 422 (Legge comunitaria 2000), considerata l'irretroattività della legge e la conseguente operabilità della stessa solo per l'avvenire.

__________________________

10. Risarcimento del danno

Tribunale Cosenza, Sez. lavoro, Sentenza, 11/01/2023, n. 1969

Nel contesto del rapporto di agenzia, in tema di risarcimento del danno all'immagine, non è sufficiente per la mandante affermare genericamente di aver subito una perdita di prestigio e credibilità professionale a causa delle azioni dell'agente. Questo presunto danno non può essere assunto in re ipsa solo perché gli assicurati, venendo a conoscenza del cambio di agente, potrebbero sviluppare un'opinione negativa sull'ex agente.

È necessario, invece, che il danno all'immagine venga specificamente dimostrato e provato dal richiedente. Il giudice, nella sua valutazione, non deve basarsi su ipotesi astratte, ma piuttosto su evidenze concrete del pregiudizio effettivamente subìto dalla parte lesa. Pertanto, la sua liquidazione deve essere compiuta dal giudice, con accertamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità, sulla base non di valutazioni astratte, bensì del concreto pregiudizio presumibilmente patito dalla vittima, per come da questa dedotto e dimostrato, anche attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti, che siano fondate.[17]

__________________________

11. Fallimento

Cass. civ., Sentenza del 26/09/2023 n. 27384

La messa in liquidazione coatta amministrativa della società preponente non comporta automaticamente la cessazione del rapporto di lavoro con l'agente, consentendo così all'agente di richiedere indennità di mancato preavviso o di fine rapporto, per il periodo in questione, qualora riesca a provarne la sussistenza dei presupposti.

Cass. civ., Sentenza n. 10046 del 14/04/2023

In questa sentenza si afferma che, in caso di fallimento del preponente, il contratto di agenzia in corso non comporta lo scioglimento automatico del contratto di agenzia, ma si applica la regola generale di sospensione e la scelta del curatore se continuare o sciogliere il contratto. Secondo l'articolo 72 della legge fallimentare, il contratto è sospeso e non segue le disposizioni dell'articolo 78, non potendo il contratto di agenzia essere assimilato a quello di mandato, data la natura continua e stabile dell'attività dell'agente.

Il curatore ha la discrezionalità di decidere se subentrare o meno nel contratto di agenzia pendente, senza necessità di autorizzazione del comitato dei creditori. La scelta può essere manifestata anche tramite fatti concludenti, come l'esclusione dei crediti dell'agente dallo stato passivo.

Nel caso di scioglimento del rapporto di agenzia a seguito del fallimento del preponente, i crediti dell'agente relativi all'indennità sostitutiva del preavviso e all'indennità suppletiva di clientela possono essere ammessi allo stato passivo del fallimento, avendo queste indennità una natura non retributiva o risarcitoria, ma indennitaria.

__________________________

12. Procacciamento d’affari

Corte d'Appello Roma, Sez. III, 17/03/2023, n. 1119

I caratteri distintivi del contratto di agenzia sono la continuità e la stabilità dell'attività dell'agente di promuovere la conclusione di contratti in una zona determinata per conto del preponente (art. 1742 c.c.), realizzando in tal modo con quest'ultimo una non episodica collaborazione professionale autonoma, con risultato a proprio rischio e con l'obbligo naturale di osservare, oltre alle norme di correttezza e di lealtà, le istruzioni ricevute dal preponente medesimo; invece il rapporto del procacciatore d'affari si concreta nella più limitata attività di chi, senza vincolo di stabilità ed in via del tutto episodica, raccoglie le ordinazioni dei clienti, trasmettendole all'imprenditore da cui ha ricevuto l'incarico di procurare tali commissioni; mentre la prestazione dell'agente è stabile, avendo egli l'obbligo di svolgere l'attività di promozione dei contratti, la prestazione del procacciatore è occasionale nel senso che dipende esclusivamente dalla sua iniziativa.[18] Ne consegue che il rapporto di agenzia e il rapporto di procacciamento di affari non si distinguono solo per il carattere stabile del primo e facoltativo del secondo, ma anche perché il rapporto di procacciamento d'affari è episodico, ovvero limitato a singoli affari determinati, è occasionale, ovvero di durata limitata nel tempo ed ha ad oggetto la mera segnalazione di clienti o sporadica raccolta di ordini e non l'attività promozionale stabile di conclusione di contratti.[19]

__________________________

 

[1] Cass. Civ. n. 1657 del 2017.

[2] Cass. n. 20461/20, conf. Cass. n.. 17073/13.

[3] Cassazione n. 18040 del 2007.

[4] Cassazione n. 11003 del 1997

[5] Cassazione n. 11003 del 1997.

[6] Cassazione n. 4504 del 1997.

[7] Cassazione n. 14767 del 2000.

[8] Cassazione n. 13506 del 2014

[9] cfr. Cassazione n. 18586 del 2007, Cassazione n. 14968 del 2011, Cassazione n. 21219 del 2015.

[10] Cassazione n. 19319 del 2016.

[11] Cassazione n. 31251 del 2021.

[12] Cassazione Sez. lav. n. 30488 e n. 22246 del 2021; Cassazione Sez. lav. n. 24368 del 2015; Cassazione Sez. lav. n. 10934 del 2011; Cassazione n. 6008 del 2012.

[13] Cassazione n. 7063 del 1987; Cassazione n. 4659 del 1992; Cassazione n. 4369 del 1997; Cassazione n. 8607 del 2002.

[14] Cassazione civile, Sez. I, 18 giugno 1997, n. 5455.

[15] Cassazione n. 23966 del 2008; Cassazione n. 15203 del 2010; Cassazione n. 15375 del 2017.

[16] Corte d’Appello di Bresca n. 246 del 2021.

[17] Cassazione n. 4005 del 2020.

[18] Cassazione n. 19828 del 2013; Cassazione n. 13629 del 2005.

[19] Cassazione n. 2828 del 2016; Cassazione n. 19828 del 2013.


Quali rinunce e transazioni possono essere impugnate dall'agente di commercio ex art. 2113 c.c.?

In concomitanza con la chiusura di un rapporto di agenzia è consuetudine che le parti formalizzino con un documento tutte le pendenze esistenti tra loro (indennità, provvigioni ancora dovute, etc.).

Valutare la validità e l’efficacia di tale documento è tutt’altro che agevole, posto che dipende da diverse circostanze, che non si limitano unicamente ad un’analisi ed interpretazione del contenuto del testo, ma altresì dal momento in cui tale accordo è stato stilato (ossia prima o dopo la cessazione del rapporto), così come dalla forma giuridica ricoperta dall’agente (persona fisica o società).


L’art. 6 della legge 11 agosto 1973, n. 533 ha integralmente modificato l’art. 2113 c.c., relativo all’invalidità delle rinunzie e transazioni, andando ad estenderne (come si andrà a sviluppare qui di seguito) l’applicazione a tutti i rapporti previsti dall’art. 409 c.p.c., ivi compresi i rapporti di agenzia. La norma civilistica dispone al primo comma che:

le rinunce e le transazioni, che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di cui all'articolo 409 del codice di procedura civile, non sono valide.”

Il secondo comma ha imposto un termine di sei mesi per l’impugnazione a decorrere dalla data di cessazione del rapporto, ovvero della rinuncia o transazione qualora la stessa sia avvenuta in un momento successivo; l'impugnazione può essere eseguita, in base al terzo comma dell’art. 2113 c.c., in maniera non particolarmente ortodossa, ossia “con qualsiasi atto scritto, anche stragiudiziale, del lavoratore idoneo a renderne nota la volontà.”

Il quarto e ultimo comma dell’art. 2113 c.c., dispone invece che sono sempre valide le rinunce e transazioni se formalizzate in sede protetta nei termini previsti dall’art. 410 c.p.c., ossia dinanzi al giudice del lavoro, ovvero alla direzione territoriale del lavoro.

La norma si pone, quindi, come limite alla facoltà di disposizione dei diritti del lavoratore ed ha il fine di offrire allo stesso uno strumento, consistente nella facoltà di impugnare degli atti dispositivi che possono essere stati determinati da una situazione di squilibro nel rapporto contrattuale, a condizione che:

  • oggetto dell’accordo siano vere e proprie rinunce e transazioni e non si tratti di mere quietanze;
  • il rapporto rientri per struttura, caratteristiche e modalità operative tra quelli menzionati nell’art. 409 c.p.c.;
  • oggetto della transazione siano norme inderogabili di legge della contrattazione collettiva.

Qui di seguito una breve esamina dei punti qui sopra elencati.


1. Quietanze, rinunce e transazioni.

In prima istanza, l’art. 2113 c.c. si applica unicamente alle rinunce e transazioni effettuate da parte del lavoratore, che si differenziano rispetto alle generiche quietanze a saldo non aventi alcuna sostanza transattiva e non trattandosi quindi di vere e proprie dichiarazioni di una volontà negoziale. Le quietanze sono ritenute mere attestazioni sottese ad affermare la soddisfazione di determinati diritti e, pertanto, non ostative di una successiva richiesta di tutela giurisdizionale di ulteriori diritti non ancora soddisfatti.[1]

Perché sia ipotizzabile una rinuncia o transazione è necessario che il lavoratore, nel rendere la dichiarazione, abbia l'esatta rappresentazione dei diritti, determinati o determinabili, dei quali intende volontariamente privarsi in favore del datore di lavoro o sui quali vuole transigere;[2] se, invece, l'oggetto non è delimitato e di esso la parte non ha consapevolezza, non si configura né rinuncia, né transazione, quale che sia la realtà nella quale la dichiarazione venga resa e sottoscritta. Si legge:

la quietanza a saldo sottoscritta dal lavoratore, che contenga una dichiarazione di rinuncia a maggiori somme riferita, in termini generici, ad una serie di titoli di pretese in astratto ipotizzabili in relazione alla prestazione di lavoro subordinato ed alla conclusione del relativo rapporto, può assumere il valore di rinuncia o di transazione, che il lavoratore ha l'onere di impugnare nel termine di cui all'art. 2113 c.c., alla condizione che risulti accertato, sulla base dell'interpretazione del documento o per il concorso di altre specifiche circostanze desumibili aliunde, che essa sia stata rilasciata con la consapevolezza di diritti determinati od obiettivamente determinabili e con il cosciente intento di abdicarvi o di transigere sui medesimi.”[3]


2. Prestatore di lavoro, agente di commercio e 2113 c.c.

Come anticipato, l’art. 2113 c.c. fa riferimento al “prestatore di lavoro” stante l'espresso richiamato ai rapporti previsti dall’art. 409 c.p.c.

L’art. 409 individua le controversie che devono essere decise secondo il rito del lavoro, includendovi anche i rapporti di lavoro autonomo a carattere non subordinato, tra cui quelli di rappresentanza e agenzia, a condizione che la prestazione lavorativa sia caratterizzata da una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale.

Sorge spontanea la domanda se sono soggetti al rito lavoro solamente gli agenti commerciali che agiscono in qualità di persone fisiche, oppure anche gli agenti che, seppure operino sotto forma di società di capitali, abbiano una struttura tale per cui di fatto prevale l’elemento personale della prestazione (ad es. società unipersonali, società tra singoli agenti, etc.).

Secondo la più recente giurisprudenza della Cassazione, si ritengono essere soggetti al rito del lavoro solamente gli agenti che agiscono come persone fisiche, escludendone tutte le ipotesi di agente costituito in forma societaria, sia di persone che di capitali, regolare o irregolare che esse siano:

La società in accomandita semplice, quale che ne sia il numero di soci, costituisce comunque un centro autonomo d'imputazione di rapporti giuridici rispetto ai soci stessi; pertanto, concluso un contratto di agenzia tra l'impresa preponente ed una società in accomandita semplice, la controversia sulla risoluzione di tale contratto esula dalla competenza per materia del giudice del lavoro, a nulla rilevando che uno dei soci abbia materialmente svolto attività personale di agente, in quanto tale attività viene necessariamente mediata dalla società, perdendo il carattere della personalità nei confronti del preponente[4]

Ove si tratti di una rinunzia o transazione effettuata da parte di un agente che non svolga la propria prestazione in maniera prevalentemente personale, questa non sarà assoggettata alla disciplina garantistica dell'art. 2113 c.c., che sarà quindi riservata unicamente agli agenti che svolgono l'attività in qualità di persone fisiche.


3. Norme inderogabili.

Il concetto di norma inderogabile è indirettamente collegato al principio dell’autonomia contrattuale, sancita all’art. 1322 c.c., in forza del quale “le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge.” Si dicono, quindi, inderogabili quelle norme la cui applicazione è imposta dall’ordinamento prescindendo dalla volontà dei singoli.[5]

Nell’ambito del diritto del lavoro la norma inderogabile ha il fine di ristabilire quella parità fra contraenti, propria dei rapporti privati, che la diversità di situazione sociale ed economica potrebbe impedire nell’ambito del rapporto lavorativo.[6]La norma inderogabile ha quindi la funzione non di mera garanzia formale della libertà personale, ma si muove nel senso di rendere effettiva questa libertà, e parte dall’idea che l’esistenza dell’uomo non dipenda solo dalla sua autodeterminazione, ma anche dai rapporti economici e/o di potere nei quali egli vive e che lo portano a dipendere da varianti sulla cui produzione egli non esercita (in genere) nessuna influenza.[7]

L'art. 2113 c.c. opera proprio in tale ambito, con specifico riguardo alla validità di eventuali transazioni o rinunce effettuate dal lavoratore su diritti derivanti da norme inderogabili. Comprendere quindi cosa si intenda nello specifico per norma inderogabile è essenziale per potere applicare tale disposizione normativa anche nell'ambito dell'agenzia commerciale.

La dottrina concorda quasi unanimemente nel distinguere un gruppo di diritti assolutamente indisponibili e garantiti a livello costituzionale (definiti primari strettamente personali quali ad esempio il diritto alla salute, al riposo settimanale, alle ferie, alla previdenza, etc. ), i cui atti dispositivi sarebbero totalmente nulli ex art. 1418 c.c. e resterebbero fuori del campo di applicazione della norma ed altri diritti, di natura patrimoniale (c.d. secondari), che, invece, pur essendo posti da norme inderogabili, non sono assolutamente irrinunziabili: è in relazione ad essi che opererebbe la norma in esame con conseguente annullabilità dell'atto dispositivo.[8]

Soltanto per suddetti diritti patrimoniali - i quali sarebbero pienamente dismissibili - opera la speciale disciplina dettata dall'art. 2113 c.c. che rende annullabili i negozi di rinunzia e transazione, a condizione che siano tempestivamente impugnati nel termine semestrale ed aventi ad oggetto diritti già maturati. Contrariamente l'art. 2113 c.c.non opera nei confronti di diritti ancora non sorti o maturati, poiché in tal caso il negozio dispositivo sarebbe diversamente diretto a regolamentare gli effetti del rapporto di lavoro in maniera diversa da quella fissata da norme di legge e ne potrebbe comportare la nullità dell'atto.[9]


3.1. Provvigioni.

In tale contesto, la giurisprudenza maggioritaria è orientata nel ritenere che non devono considerarsi inderogabili eventuali rinunce o transazioni relative a provvigioni maturata da parte dell’agente. Si legge:

sono valide - e non sono pertanto assoggettate al regime d'impugnazione di cui all'art. 2113 c.c. - le rinunzie e transazioni aventi ad oggetto la misura delle provvigioni spettanti all'agente, la cui determinazione è rimessa alla libera disponibilità delle parti.[10]


3.2. Indennità ex art. 1751 c.c. e indennità AEC.

Differente discorso, invece, riguarda il diritto dell’agente all’indennità di fine rapporto ex art. 1751 c.c., posto che il testo risultante a seguito delle modifiche effettuate in attuazione della direttiva 86/653 non pare lasciare molti dubbi in merito;  il penultimo comma di tale norma recita: “le disposizioni di cui al presente articolo sono inderogabili a svantaggio dell’agente”.

L’assoluta certezza e chiarezza normativa (e la sua conseguente attività interpretativa), viene meno se si analizza tale norma in relazione all’art. 19 della Dir. CE 653/1986, che dispone l’inderogabilità del diritto all’indennità solo nel periodo antecedente la fine del contratto:

Le parti non possono derogare, prima della scadenza del contratto, agli articoli 17 e 18 a detrimento dell'agente commerciale.”

Si pone il problema che, incrociando l’art. 1751 c.c. penultimo comma, con l’art. 19 della direttiva, la norma sull’indennità potrebbe non più considerassi inderogabile a seguito della cessazione del rapporto, con l’implicita conseguenza che la rinunzia o transazione successiva all’estinzione del rapporto non avrebbe per oggetto un diritto inderogabile e così assoggettabile alla disciplina di cui all’art. 2113 c.c., che resterebbe applicabile solamente alle rinunce e transazioni avvenute in fase di esecuzione del rapporto.

A fare maggiore chiarezza, la Cassazione, in una sentenza parzialmente risalente, ha comunque rilevato che il legislatore italiano, nel recepire la norma comunitaria ha omesso l'inciso - prima della scadenza del contratto - sancendo semplicemente che le disposizioni di cui allo stesso articolo sono inderogabili a svantaggio dell'agente.

Secondo la Corte, ciò significa che seppure, secondo la direttiva, potevano dirsi pienamente leciti gli accordi transattivi raggiunti dopo la scadenza del contratto relativi alla misura della indennità di fine rapporto, ora, nel sistema delineato dalle nuove disposizioni del nostro codice civile, il legislatore ha voluto mantenere il carattere inderogabile dell’art. 1751 c.c. anche dopo la cessazione del contratto.[11]

Ne deriva che, a seconda che la norma in oggetto venga considerata, a seguito dell’interruzione del contratto, come derogabile o inderogabile, l’eventuale rinuncia potrà essere considerata come impugnabile o non impugnabile.

Non bisogna comunque distrarsi dal fatto che oggetto di impugnazione ex art. 2113 c.c. dovrà rimanere comune ciò che l'art. 1751 c.c. preclude, ossia delle disposizioni pattizie che siano sfavorevoli per l'agente: la giurisprudenza ha infatti riconosciuto che se una tale pattuizione è possibile a modifica di un contratto già concluso, a fortiori deve ritenersi consentita una deroga, "non in peius", rispetto alla disciplina legale a seguito della conclusione del contratto. [12]

Traducendo in pratica tale principio, se al contratto si applica solamente l'art. 1751 c.c., l'agente dovrà provare che l'accordo transattivo/rinuncia è stata per lui peggiorativa, dimostrando che ricorrono le condizioni previste dalla normativa codicistica (ossia di avere procurato nuovi clienti al preponente o avere sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti, nonché i vantaggi che il preponente ne riceve), così come l'iniquità del pagamento concordato.

Meno chiaro è il caso in cui le parti abbiano concordato l'applicabilità degli AEC commercio e siano addivenuti ad un accordo che di fatto riconosce esattamente le indennità previste da tale disciplina; va dato atto che l'orientamento prevalente della giurisprudenza seppure attribuisce alla disciplina collettiva un valore di "minimo garantito", riconosce comunque all'agente, che provi che sussistono le condizioni di cui all'art. 1751 c.c., di chiedere al giudice un integrazione necessaria per portarla ad equità [13]. Seguendo questo orientamento, anche un accordo transattivo avvenuto dopo lo scioglimento del contratto, ove le parti riconoscono all'agente le indennità di cui agli AEC, sarebbe impugnabile, nella misura in cui tale indennità si dimostri essere inferiore a quella dovuta all'agente in forza delle disposizioni civilistiche.


3.3. Patto di non concorrenza post-contrattuale e art. 2113 c.c.

Seppure non si sono riscontrati precedenti giurisprudenziali, si evidenzia un'altro elemento che potrebbe essere oggetto di potenziali vertenze, inerente al rapporto che intercorre tra l'art. 2113 c.c. e l'art. 7 AEC commercio 2009, in tema di patto di non concorrenza post contrattuale. La norma dispone:

"In attuazione di quanto previsto dall'articolo 1751-bis c.c. compete il pagamento di una
indennità non provvigionale, inderogabilmente in un’unica soluzione alla fine del rapporto,
a fronte del patto di non concorrenza post contrattuale, quando sia inserito nel singolo
incarico di agenzia
."

Trattandosi di una norma espressamente inderogabile derivante da un accordo economico collettivo, sembrerebbe rientrare perfettamente nell'ambito di applicazione dell'art. 2113 c.c., con la conseguenza che una pattuizione che prevede il pagamento rateizzato di suddetta indennità, potrebbe essere potenzialmente oggetto di impugnazione da parte dell'agente.


Stante la delicatezza dell'argomento si consiglia pertanto di formalizzare eventuali rinunce o transazioni relative all’indennità di fine rapporto, nei termini previsti dall’art. 410 c.p.c., ossia dinanzi al giudice del lavoro, oppure, in via alternativa, alla direzione territoriale del lavoro, posto che le stesse divengono per legge inoppugnabili.


[1] Tribunale Cassino, 1.7.2008, n. 997.

[2] Cass. Civ. 2006, n. 11536, Cass. Civ. 2004, n. 11627, Civ. 2003, n. 9636.

[3] Corte d'Appello Catanzaro, 18.4.2017, n. 423

[4] Cass. Civ. 2022, n.10184; in tal senso anche Cass. Civ. 2012, n. 2158. Contra Cass. Civ. 1997, n. 4928 "E' configurabile un rapporto di parasubordinazione, con la conseguente competenza del giudice del lavoro, anche nel caso di attività fornita nell'ambito di una gestione societaria, a mezzo di società di fatto o di persone, anche irregolari, ove risulti che la suddetta attività venga in concreto prestata con modalità tali che sussista quello stato di dipendenza socio-economica che costituisce l'elemento essenziale della parasubordinazione e di cui l'attività prevalentemente personale è l'indice rivelatore tipico.

Ben potrà il profilo societario limitarsi ad un semplice patto fra i soci avente ad oggetto la distribuzione del lavoro e dei ricavi, con sintomatica attenuazione, pertanto, dell'elemento costituito dall'esercizio in comune di una attività economica, previsto dall'art. 2247 c.c., come pure di quello, di cui all'art. 2082 dello stesso codice, dell'organizzazione al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi."

[5] Torrente – Schlesinger, Manuale di diritto privato, Giuffrè Editore.

[6] Cester – www.treccani.it.

[7] Di Meo, La norma legale inderogabile nel Diritto del Lavoro, Università politecnica delle Marche.

[8] One Legale, Codice civile commentato, Wolters Kluwer.

[9] Cass. Civ. 2006, n. 2360, Cass. Civ. 2004, n. 2734.

[7] Torrente – Schlesinger, Manuale di diritto privato, Giuffrè Editore.

[8] Cester – www.treccani.it.

[9] Di Meo, La norma legale inderogabile nel Diritto del Lavoro, Università politecnica delle Marche.

[10] Tribunale Trieste, 2.1.2001.

[11] Cass. Civ. 2004, n. 7855; in questo senso Venezia, Il contratto di agenzia, 2020, Giuffé; Saracini-Toffoletto, Il contratto di agenzia, Giuffré.

[12] Cass. Civ. 2000, n. 11402.

[13] Tribunale Trieste, 2.1.2001, Cass. Civ. 1988, n. 6.


Gli elementi essenziali del contratto di agenzia.

Per identificare gli elementi essenziali del contratto di agenzia, ossia quegli elementi che sono talmente caratterizzanti da renderli imprescindibili per potere qualificare il rapporto come tale, è certamente opportuno partire dalle definizioni di agente che ci vengono fornite dall’Ordinamento.

Tale passaggio, che ad un primo esame parrebbe essere quasi elementare, si rende assai più complesso quando ci si scontrata con la realtà: la “nozione” di agenzia fornitaci dall’art. 1742 c.c., è in parte difforme rispetto a quella a cui tale norma si è uniformata,[1] ossia quella dettata dalla direttiva europea 86/653, relativa al coordinamento dei diritti degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti.


L’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 86/653, dispone che:

Ai sensi della presente direttiva per «agente commerciale» si intende la persona che, in qualità di intermediario indipendente, è incaricata in maniera permanente di trattare per un'altra persona, qui di seguito chiamata «preponente», la vendita o l'acquisto di merci, ovvero di trattare e di concludere dette operazioni in nome e per conto del preponente.”

Già da una prima lettura della norma, si può dedurre che gli elementi che caratterizzano l’agente di commercio sono essenzialmente tre, ossia:

  • l'indipendenza nello svolgimento della propria attività commerciale;
  • la continuità del rapporto con il preponente;
  • l’attività di compravendita di merci.

Questa certezza viene (probabilmente) subito meno, leggendo la nozione (non tanto di agente, quanto di contratto di agenzia) che ci viene fornita dall’art. 1742 c.c.:

Col contratto di agenzia una parte assume stabilmente l'incarico di promuovere, per conto dell'altra, verso retribuzione, la conclusione di contratti in una zona determinata.”

In questo caso gli elementi (caratterizzanti il contratto) sono essenzialmente:

  • la stabilità dell’incarico;
  • la promozione di contratti;
  • la zona.

Da una prima analisi, ci si rende conto che le difformità più rilevanti tra le due definizioni consistono, in primo luogo, nel concetto di promozione (la direttiva, fa riferimento alla compravendita di merci, mentre il codice civile, alla promozione di contratti) e, in secondo luogo, al concetto di zona, presente unicamente nella nozione propostaci dall’art. 1742 c.c.

Invero, diversamente dalla direttiva, nel cui contesto la previsione di un ambito territoriale costituisce una mera eventualità (rilevante eventualmente sotto il profilo delle provvigioni indirette, ex. art 7 della direttiva stessa), l’art. 1742 c.c. definisce come agente il soggetto incaricato della promozione di affari in una zona determinata.

Qui di seguito si vanno ad analizzare gli elementi che ci vengono forniti dalle due definizioni, andandole brevemente a comparare, partendo dal concetto di zona, che, certamente, è quello che crea maggiori dubbi e contrasti interpretativi.


1. La zona

La Corte di Giustizia, ha più volte confermato essere sufficiente che una persona soddisfi le tre condizioni dettate dall’art. 1, paragrafo 2, della direttiva, per essere qualificata come agente commerciale, a prescindere dalle modalità con cui detta persona esercita la propria attività (e purché la stessa non rientri nelle ipotesi di esclusione di cui all’articolo 1, paragrafo 3, e all’articolo 2, paragrafo 1, della stessa).[2]

Seppure, applicando rigorosamente questo orientamento, si giungerebbe alla conclusione che la zona non rientri tra i requisiti necessari del contratto di agenzia, non si può certamente non tenere conto del fatto che l’art. 1742 richiami espressamente all’interno della definizione proprio tale concetto.

In linea con ciò, si registra un orientamento della più autorevole dottrina,[3] secondo la quale, l’inserimento del concetto di “zona” all’interno della normativa nazionale, rappresenterebbe una caratteristica imprescindibile del rapporto, tant’è che non potrebbe esserci contratto di agenzia senza fissazione di un territorio determinato riservato all’agente (o lo stesso possa essere individuato in via indiretta[4]).

Ma cosa si intende per zona e fino a che punto questo concetto può essere esteso (importante, mai confondere il concetto di zona, con quello di esclusiva)?

- Leggi anche: L’esclusiva di zona nel contratto di agenzia.

Normalmente la zona viene individuata nel contratto in riferimento ad una estensione geografica, ad ogni modo la giurisprudenza non considera il requisito della zona determinata con eccessiva rigidità, potendo la stessa risultare implicitamente, qualora ciò sia evincibile dal riferimento all’ambito territoriale nel quale le parti incontestabilmente operano.[5]

In alternativa alla zona, la giurisprudenza ha ritenuto che rientri in tale concetto anche quello di gruppo di persone/clienti, richiamato dall’art. 7 della direttiva e dall’art. 1748, comma terzo, c.c., nell’ambito delle provvigioni indirette.[6]

È stato addirittura escluso (seppure in una sentenza risalente) che possa essere qualificato come agenzia un contratto che limita l’ambito di azione dell’agente stesso alla promozione delle vendite nei confronti di un unico cliente.[7]

Parte della migliore dottrina (alla quale ci si associa) ritiene comunque che, il contrasto tra la definizione dell’art. 1742, comma 1, c.c. e la direttiva sarebbe probabilmente superabile attraverso un’interpretazione “correttiva”[8] della norma in questione, che consideri il riferimento alla zona come elemento descrittivo della situazione normale e non invece come requisito essenziale ed imprescindibile di un contratto di agenzia.[9]


2. Indipendenza (e svolgimento dell’attività presso i locali del preponente)

Come si è avuto modo di analizzare, la normativa annovera tra i requisiti essenziali del rapporto di agenzia quello dell’indipendenza.

Invero, quando si analizza tale requisito, bisogna tenere ben presente che l’indipendenza dell’agente non viene meno solamente nel caso più lampante in cui il rapporto presenti le caratteristiche della subordinazione, ma vi sono altre numerose circostanze di interdipendenza, certamente più grigie e, quindi, ancor più difficilmente identificabili, che possono comunque pregiudicare l’autonomia dell’agente, e, quindi, la configurabilità di tale fattispecie contrattuale.

- Leggi anche: Il contratto di agenzia e il rapporto di lavoro subordinato: criteri distintivi e parametri valutativi.

Si pensi al caso, tutt’altro che raro, dell’itermediario che svolge la propria attività di promozione presso la sede del preponente (ove, ad esempio, nel settore dell’automotive, costituisce addirittura la norma che l’agente svolga la propria attività presso il concessionario-preponente).

Ci si chiede se la figura dell’agente sia compatibile con lo svolgimento dell’attività economica all’interno dei locali del preponente, tenuto conto che né la normativa civilistica, né nessun’altra disposizione della direttiva 86/653 subordina espressamente la qualifica di “agente commerciale” al fatto che l’interessato svolga la propria attività economica fuori dei locali della sede del preponente.

La corte di Giustizia Europea ha escluso che la tutela concessa dalla direttiva possa essere a priori esclusa alle persone che esercitano la loro attività presso la sede del preponente,[10] partendo dal presupposto che sottoporre la qualifica di agente a condizioni supplementari rispetto a quelle previste all’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva, limiterebbe la portata di tale tutela e pregiudicherebbe quindi il raggiungimento dell’obiettivo dalla stessa perseguito.

Sarà necessario verificare di volta in volta il caso di specie e analizzare se l’esercizio dell’attività di promozione presso la sede del preponente incida effettivamente sull’indipendenza dell’agente e, auindi, comprendere se, a causa della sua presenza fisica nella sede del preponente, l’agente si trovi, di fatto, in una posizione che gli impedisca di esercitare la sua attività in maniera indipendente, sia dal punto di vista dell’organizzazione del proprio lavoro, che dal punto di vista dei rischi economici connessi alla stessa (anche banalmente grazie ad una riduzione delle spese sostenute dall’agente stesso, essendo incardinato all’interno della realtà commerciale del preponente).

Anche la giurisprudenza italiana è giunta alla medesima conclusione, partendo dal presupposto che l’obbligazione principale dell’agente (ossia la promozione di contratti), può adempiersi, a seconda del tipo di organizzazione di cui l’agente si avvale e del settore commerciale in cui esso opera, con le modalità più svariate;[11] “discriminante” principale per la sussistenza di un rapporto di agenzia è e rimane l’effettiva sussistenza o mancanza di autonomia decisionale e rischio imprenditoriale da parte dell’agente.


3. Continuità dell’attività

Uno degli elementi caratterizzanti l’attività dell’agente, e che lo contraddistingue dagli altri intermediari (ad es. mediatore, procacciatore d’affari), è che questi si impegna a svolgere l’attività promozionale degli affari in via continuativa.

– Leggi anche: Quale è la differenza fra contratto di agenzia e procacciatore di affari?

Tale obbligazione, che si traduce da un lato nel tentativo di concludere per il preponente il maggior numero di affari e, dall'altro lato, nella stabilità nella frequentazione della clientela, in un rafforzamento della fedeltà ed in un ampliamento numerico della clientela stessa, non è stata espressamente inserita tra i requisiti principali all’interno della disciplina civilistica (neppure l’art. 1746, comma 1, intitolato obblighi dell’agente ne fa espresso riferimento).

La giurisprudenza italiana ha superato tale “lacuna”, facendo rientrare tra i requisiti essenziali del rapporto la continuità dell’attività, al punto tale che è stato ritenuto inadempiente un agente per aver curato solo saltuariamente l'attività di contatto con la clientela, pur avendo ugualmente concluso diversi affari, anche di notevole entità.[12]

Ciò premesso, molto frequentemente accade che l’attività di promozione, seppure svolta continuativamente e in maniera indipendente, venga svolta affianco ad un’altra attività, che può assumere carattere accessorio, se non anche principale.

Cosa succede, in tali casi?


3.1. Contratto di agenzia e attività accessoria

L’articolo 2, paragrafo 2, della direttiva 86/653 riconosce agli Stati membri la facoltà di prevedere che la direttiva non si applichi alle persone che svolgono le “attività di agente commerciale considerate accessorie secondo la legge di tali Stati membri.”

Nel nostro ordinamento non è stata assunta alcuna specifica disposizione in materia, con la conseguenza che al contenuto caratteristico del contratto di agenzia possono accompagnarsi obbligazioni accessorie per l'agente, che non snaturano il contratto e mantengano una rilevanza meramente strumentale rispetto all'obbligo principale dell'agente stesso (si pensi, al classico esempio di agente di commercio che svolge altresì l’attività di area manager).[13]

- Leggi anche: Agente e/o Area Manager? Una breve panoramica.

Anche la giurisprudenza della corte di Giustizia Europea, è giunta alla conclusione che l’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 86/653 deve essere interpretato nel senso che l’agente commerciale non può essere escluso dal beneficio di tale tutela nel caso in cui il contratto che lo vincola al preponente prevede l’esecuzione di compiti diversi rispetto a quelli connessi all’attività di agente commerciale, a condizione che tale circostanza non abbia l’effetto, in considerazione di tutte le circostanze del caso in esame (natura dei compiti svolti, proporzione di tali compiti, modalità di determinazione della retribuzione, sussistenza del rischio economico incorso), di impedire l’esercizio in maniera indipendente dell’attività principale di agenzia.[14]

Lo stesso principio vale anche nel caso in cui il contratto di agenzia venga eseguito in via cumulativa (e quindi con un rapporto separato al contratto stesso), tramite la prestazione di un’attività di natura diversa che le lega al preponente stesso. Anche in questo caso, il rapporto di agenzia godrà delle tutele della direttiva, fintanto che l’attività cumulativa non pregiudichi l’indipendenza di quella principale.[15]


3.2. Attività di agenzia accessoria al contratto principale

Diversa è invece la fattispecie per cui l’attività di promozione delle vendite (anche in maniera continuativa), abbia carattere accessorio rispetto ad un diverso rapporto principale.

In tal caso, la disciplina a cui si dovrà fare riferimento e che regolamenterà l’intero contratto, sarà quella dell’attività prevalente.[16]

Da un punto di vista pratico, l’applicazione di tale principio è tutt’altro che facile. Si pensi al classico cosa di contratto di distribuzione, che conferisce al suo interno (e non in un contratto ad esso accessorio o addirittura scollegato) la facoltà al concessionario di svolgere, in determinati casi e situazioni, un’attività (accessoria) di intermediazione e non di pura rivendita.

In tal caso, secondo una ormai data sentenza di legittimità, qualora l’attività di rivendita sia prevalente rispetto a quella di agenzia, la seconda non può comunque essere ricondotta al contratto di agenzia, ma può al massimo essere inquadrata come procacciamento d’affari.[17]


4. Vendita di merci

Ultimo requisito essenziale del contratto di agenzia, è che l’agente promuova la vendita o l’acquisto di merci per conto del preponente.

Una prima differenza rispetto alla normativa civilistica, è costituita dal fatto che quest’ultima, non copre solamente l’ipotesi di compravendita di merci, ma comprende la ben più ampia circostanza di intermediazione di qualsiasi tipo di contratto (cfr. art. 1742 c.c.).

Rientrano, senza ombra di dubbio, nella nozione “italiana” di agente la promozione e vendita di servizi di ogni genere (telecomunicazioni, telefonica, abbonamenti di ogni genere, etc.).

La conformità della nostra normativa rispetto alla direttiva europea, è stata sancita dalla corte di Giustizia Europea, che ha chiarito che quando una Stato membro nell’attuarla ne estende l’ambito di applicazione, includendo l’intermediazione di contratti di servizi, anche tali norme nazionali andranno interpretate conformemente alla direttiva.[18]

Si riscontra, comunque, anche a livello di giurisprudenza europea, una tendenza ad un’interpretazione estensiva del concetto sia di “vendita”, che di “merci”, questo a favore di un ampliamento della tutela riconosciuta agli agenti di commercio, altrimenti preclusa da un approccio più rigoristico.

Quanto all’interpretazione del concetto di “merce”, la giurisprudenza della Corte ha ritenuto che con esso devono intendersi tutti i prodotti pecuniariamente valutabili e come tali atti a costituire oggetto di negozi commerciali.[19]

Con riferimento alla nozione di “vendita”, in base ad una definizione comunemente riconosciuta, essa consiste in un accordo con cui una persona cede ad altri, a fronte del pagamento di un prezzo, i propri diritti di proprietà su un bene materiale o immateriale ad essa appartenente.[20]

Sulla base di tali presupposti, la Corte ha ritenuto rientrare nel concetto di “vendita” ai sensi della direttiva 86/653, anche la fornitura di un programma informatico al cliente per via elettronica dietro pagamento di un prezzo, allorché tale fornitura è accompagnata dalla concessione di una licenza perpetua di utilizzo dello stesso programma informatico.[21]


[1] Il primo comma dell’art. 1742 c.c. è stato aggiunto inizialmente ex art. 1, d.lgs. 10.9.1991, n. 303 e successivamente sostituto ex art. 1, d.lgs. 15.2.1999, n. 65.

[2] Sentenza del 21 novembre 2018, Zako, C‑452/17, EU:C:2018:935, punto 23.

[3] Baldi – Venezia, Il contratto di agenzia, pag. 71.

[4] Cass. Civ. n. 20322, 2013, Cass. Civ. n. 2732, 1998.

[5] Cass. civ. 9063, 1994, Cass. civ., n. 2720, 1981

[6] Cass. Civ. n. 1916, 1993.

[7] Cass. Civ. n. 1916, 1993.

[8] Posto che il giudice nazionale non può disapplicare la norma interna contraria ad una direttiva, è tenuto ad interpretala conformemente alla direttiva stessa, con la conseguenza che lo stesso sarà tenuto a preferire, tra più interpretazioni possibili di tale norma, quella compatibile con la direttiva stessa (cfr. sentenza Marleasing del 13.1990, causa C-106-/89).

[9] Bortolotti, Contratti di distribuzione, pag. 102.

[10] Sentenza del 21 novembre 2018, Zako, C‑452/17, EU:C:2018:935, punto 28.

[11] Cass. Civ. n. 2853, 2001.

[12] Cass. Civ. n. 10130, 1995.

[13] Cass. Civ. n. 111, 1996.

[14] Sentenza del 21 novembre 2018, Zako, C‑452/17, EU:C:2018:935, punto 48-50.

[15] Sentenza del 21 novembre 2018, Zako, C‑452/17, EU:C:2018:935, punto 47.

[16] Bortolotti, Contratti di distribuzione, pag. 131.

[17] Cass. Civ. 2382, 1987.

[18] Sentenza 16.3.2006, causa C-3/04.

[19] In tal senso, sentenza del 26 ottobre 2006, Commissione/Grecia, C‑65/05, EU:C:2006:673, punto 23 e giurisprudenza ivi citata.

[20]Sentenza 3.7.2012, UsedSoft, causa C‑128/11, EU:C:2012:407, punto 42.

[21] Sentenza del 16 settembre 2021, The Software Incubator Ltd, Causa C-410/19.


Agente di commercio: responsabile o titolare del trattamento dei dati?

Avv. Riccardo Berti

La figura dell’agente non è per nulla facile da incasellare ed ha causato non pochi grattacapi ad aziende e all’Autorità Garante: per comprendere se l'agente agisce come responsabile del trattamento o titolare del trattamento è necessario, di volta in volta, verificare come il rapporto viene (e verrà) effettivamente eseguito dai contraenti.

L’adeguamento privacy dell’agente passa quindi necessariamente per una “classificazione” del suo ruolo rispetto all’azienda o alle aziende per cui opera.

1. Titolare, responsabile o incaricato?

La posizione dell'agente di commercio dal punto di vista privacy è sempre stata dibattuta, soprattutto per il fatto che l'agente devono agire in conformità con le istruzioni del preponente, ma al contempo esercita quest’attività con autonomia e indipendenza, non essendo sottoposto al potere di direzione e coordinamento del soggetto preponente.

Da un lato, infatti, i preponenti avevano tutto l’interesse a disinteressarsi dell’attività e dei metodi degli agenti e spingevano quindi per una loro qualificazione come titolari autonomi del trattamento, mentre dall’altro il Garante ha sempre spinto per una responsabilizzazione dei preponenti con riguardo all’attività degli agenti.

Secondo la prospettiva avallata dalle aziende mandanti, da un lato avremmo il preponente, titolare autonomo del trattamento, e dall’altro avremmo l’agente, anch’egli titolare autonomo del trattamento, che in un modo o nell’altro reperisce dei contatti per una potenziale contrattualizzazione in capo al preponente e comunica a quest’ultimo il dato.

Questo inquadramento è particolarmente vantaggioso per il preponente perché così lui non deve preoccuparsi del “come” gli agenti reperiscono i dati (magari contattando clienti persone fisiche con metodi invasivi e senza curarsi ad esempio di consultare il registro delle opposizioni o di verificare il loro consenso a ricevere comunicazioni marketing), in quanto il trattamento dati rimane “separato” fra i due soggetti e ognuno è responsabile per quanto accade sotto il proprio controllo.

È però da molti anni che il Garante privacy italiano ha sconfessato questa tesi, confermando che l’inquadramento degli agenti, salvo casi eccezionali, non va ricondotto nell’ipotesi del titolare autonomo, quanto piuttosto in quella del responsabile esterno del trattamento.

Dopo una serie di provvedimenti nei confronti di varie aziende (spec. compagnie telefoniche) che si servivano di agenti per la promozione e commercializzazione dei loro prodotti e che pretendevano di non rispondere dell’operato dei loro agenti proprio perché “titolari autonomi” del trattamento dati, il Garante già nel 2011 adottava un provvedimento generale in cui disponeva che:

 “tutti i preponenti [...] procedano, entro 60 giorni dalla pubblicazione del presente provvedimento sulla Gazzetta Ufficiale, a designare le società ovvero i soggetti terzi che agiscono in outsourcing, responsabili del trattamento”.[1]

Dopo l’entrata in vigore del GDPR (applicabile dal 25.05.2018) la situazione non è cambiata, come ci dimostrano le più recenti prese di posizione del Garante sul punto.

2. Il provvedimento del 9.7.2020 contro Wind Tre.

Un interessante esempio ci arriva dal recente provvedimento del Garante nei confronti di Wind Tre, dove l’Autorità precisa l’inquadramento di agenti e procacciatori alla luce delle categorie del GDPR.

In particolare, il provvedimento riguarda l’attività posta in essere da un agente di Wind, il quale, seppure fosse stato correttamente inquadrato da Wind quale responsabile esterno del trattamento (sottoscrivendo apposita nomina e offrendo anche un percorso di formazione al proprio collaboratore esterno a tema privacy[2]), quest’ultimo aveva indirizzato ai propri procacciatori direttive tese alla raccolta di consensi privacy decisamente “originali”. Come riferiva un procacciatore, infatti:

seguendo le indicazioni del capo area signor ..., nel corso di ogni attivazione di sim card, l’operatore di riferimento deve flaggare d’iniziativa tutti i consensi ivi previsti. Tale operazione tra l’altro è agevolata da un apposito pulsante presente all’interno del gestionale [...]. Solo qualora, in occasione della sottoscrizione del modello cartaceo stampato dal sistema e sottoposto all’attenzione dell’interessato per l’accettazione di presa visione dell’informativa e rilascio dei consensi, quest’ultimo dovesse manifestare perplessità sui consensi presenti nel modello di riferimento, l’operatore provvede a modificarli secondo le indicazioni fornite direttamente dall’interessato”.

L’attività posta in essere dall’agente era chiaramente illecita in quanto il consenso privacy deve essere “espresso mediante un atto positivo inequivocabile con il quale l'interessato manifesta l'intenzione libera, specifica, informata e inequivocabile di accettare il trattamento dei dati personali che lo riguardano[3] e non può essere coartato o implicito.

Chiarita quindi l’illiceità del comportamento dell’agente di Wind, rimaneva però da comprendere a chi fosse imputabile questo illecito.

Nel caso di specie, Wind (titolare del trattamento) affermava, difendendosi, di non essere responsabile per il comportamento autonomo e indipendente del proprio responsabile esterno (l’agente) che, nonostante la corretta formazione impartita e le corrette istruzioni ricevute, aveva agito di propria iniziativa violando il GDPR.

Questa tesi è stata però recisamente smentita dal Garante in quanto è evidente che l’agente non avesse un interesse proprio a raccogliere consensi per conto di Wind forzando la volontà dei clienti.

La pronuncia conferma poi il corretto inquadramento dell’agente come responsabile esterno, arrivando anzi ad affermare che:

tale qualificazione in ordine ai rapporti giuridici fra le parti si può ritenere esistente anche nel caso in cui il soggetto che materialmente effettua il contatto, pur rimanendo ignoto al titolare del trattamento, realizza di fatto un rapporto contrattuale analogo a quello in essere con i partner contrattualizzati direttamente”.

Il rapporto titolare/responsabile sussiste quindi, nei fatti, non solo se il preponente si disinteressa completamente dell’esistenza di un rapporto di mandato, ma anche qualora lo disconosce.

Ulteriore importante precisazione del Garante, contenuta nel provvedimento oggetto di analisi, riguarda gli stessi procacciatori che erano stati contrattualizzati dall’agente di Wind. In particolare, l’agente, che non li aveva inquadrati come responsabili del trattamento o comunque autorizzati a svolgere operazioni di trattamento, sul (erroneo) presupposto che gli stessi “operano autonomamente” e “ogni procacciatore è libero e, quindi, autonomo nella ricerca dei soggetti verso i quali indirizzare le proposte commerciali”.

Il Garante sconfessa la tesi avanzata dall’agente e “bacchetta” lo stesso, dichiarando che quest’ultimo avrebbe dovuto nominare i procacciatori quali responsabili esterni del trattamento (sub-responsabili nei confronti di Wind) e/o autorizzati al trattamento (categoria che raggruppa i dipendenti e i soggetti assimilabili e che quindi presuppone un rapporto di più ampia direzione e controllo in capo al datore di lavoro) a seconda del caso.

3. Il ruolo dell’Agente: titolare o responsabile?

Ciò chiarito, per valutare se, nel singolo caso, l’agente debba essere inquadrato come titolare o responsabile del trattamento, bisogna in primo luogo comprendere come il rapporto viene (e verrà) effettivamente eseguito dai contraenti. Per semplificare, possiamo individuare tre situazioni tipo:

  • l’agente reperisce e gestisce per conto proprio liste di clienti, fornisce loro un’informativa privacy in veste di titolare e in seguito sceglie a quale dei propri preponenti proporre la conclusione dell’affare (a quel punto il preponente “selezionato” produrrà al potenziale cliente la sua informativa privacy insieme al contratto). In questo caso l’agente sarà titolare autonomo del trattamento.
  • l’agente reperisce, per conto del preponente, dei clienti e/o lavora su liste di contatti che gli sono state sottoposte dal preponente. In questo caso l’agente sarà responsabile esterno del trattamento e il preponente sarà il titolare. L’agente non dovrà fornire la propria informativa, ma si limiterà a fornire al cliente la modulistica privacy predisposta dal preponente, salvo situazioni particolari (es. l’agente vuole gestire in autonomia i dati dei clienti del preponente, ove il mandato di agenzia lo consenta, per inviare ai clienti comunicazioni informative etc., in quel caso dovrà sottoporre ai clienti una seconda informativa raccogliendo in proprio il consenso per questo trattamento). Il trattamento dei dati avviene sotto il cappello dell’organizzazione del titolare, di cui l’agente costituisce un’appendice esterna.
  • l’agente non solo agisce per conto del preponente, ma opera esclusivamente con strumenti del preponente, in uffici messi a disposizione dal preponente, su gestionali del preponente e seguendo le istruzioni del preponente. In questo caso, ai fini privacy, l’agente diviene un soggetto che opera sotto l’autorità del preponente (ex 29 GDPR), in quanto non c’è più ragione di parlare di responsabile esterno del trattamento perché l’agente è del tutto interiorizzato nella struttura del titolare e non si distingue, almeno con riferimento al trattamento dei dati, da un dipendente qualsiasi.

– Leggi anche: Il contratto di agenzia e il rapporto di lavoro subordinato: criteri distintivi e parametri valutativi.

È evidente che nella maggioranza dei casi la figura dell’agente ricade nell’ipotesi di cui al punto (2) e che l’agente rivestirà il ruolo del responsabile esterno del trattamento.

4. Differenze in UE

Sul punto va solo evidenziato che in altri ordinamenti europei la situazione può variare, ad esempio in un commentario al GDPR prodotto in Inghilterra gli agenti vengono inseriti “di norma” nella categoria dei soggetti autorizzati al trattamento (ipotesi (3)):

The latter category of persons who are not third parties normally comprises the employees, agents and subcontractors of the controller or processor which/who process data for them under their direct authority[4]

In direzione contraria sembrerebbe muoversi, invece, il sistema tedesco, con la Corte d’Appello di Monaco che in un giudizio del 2019[5] riconduce il rapporto di agenzia ai fini privacy ad un rapporto fra titolari autonomi del trattamento.

La Corte, in particolare, nell’indagare sull’onere per il mandante di produrre all’agente un estratto conto relativo ai contratti conclusi grazie all’opera di intermediazione dell’agente, si scontra con l’eccezione della mandante relativa al fatto che tali dati non sarebbero suscettibili di trasmissione, perché tale trasmissione non potrebbe avvenire se non con il consenso dell’interessato (secondo la mandante, nel caso, non sussiste né un obbligo di legge alla trasmissione del dato, né questa condivisione è necessaria per adempiere il contratto fra mandante e cliente).

La Corte di Monaco, nel rigettare la ricostruzione della mandante, ne accetta però le premesse e conferma che di trasmissione (“übermittlung”) dei dati si tratta[6], salvo poi affermare che questa trasmissione può legittimamente avvenire per il legittimo interesse dell’agente a conoscere i dati.

La ricostruzione della Corte bavarese parte quindi dal presupposto che fra agente e preponente ci sia un rapporto paritario ed autonomo, senza che il primo debba inquadrarsi quale responsabile del secondo, per questo il Giudice risolve l’eccezione individuando nel legittimo interesse lo strumento per legittimare il fatto che l’agente conosca dati di terzi (clienti della mandante da egli contrattualizzati).

Un giudice italiano, investito della medesima questione, avrebbe probabilmente ricondotto la legittimità del passaggio di dai al rapporto titolare/responsabile che intercorre fra mandante ed agente, che legittima l’affidamento di dati (pur “sorvegliato” nella sua adeguatezza) fra un soggetto e l’altro sulla base del contratto di nomina che li vincola.

Verosimilmente una lettura come quella offerta dalla Corte tedesca, pur difficile da conciliare con le linee guida EDPB, trova fondamento nel rapporto di indipendenza dell’agente, enunciato dall’art. 1, comma secondo della direttiva Europea in tema di agenti di commercio (86/653/CEE) e recepito dal §84 del codice di commercio tedesco, che così recita:

A commercial agent is someone who, as an independent trader, is permanently entrusted with brokering transactions for another entrepreneur (entrepreneur) or concluding them on his behalf. Self-employed is one who is essentially free to shape his activity and determine his working time.[7]

A conferma di ciò, anche dalla lettura della “guida all'interpretazione” del GDPR, redatta dall’Ufficio statale bavarese per il controllo della protezione dei dati, si evince che l’ordinamento tedesco propende per l’inserito dell’agente di commercio tra i soggetti che ricoprono (normalmente) la funzione di titolare del trattamento e non quella di responsabile[8], dando, appunto, particolare valore al ruolo di operatore indipendente che quest’ultimo ricopre nel rapporto contrattuale.

Leggi anche: L’agente persona fisica, il lavoro parasubordinato e il rito lavoro.

5. L’adeguamento privacy dell’agente

Cosa deve fare quindi l’agente, per essere in regola dal punto di vista privacy?

Il documento fondamentale per l’agente, nella fisiologica ipotesi (2) che abbiamo visto, diventa la nomina a responsabile esterno, ex art. 28 GDPR, ovvero un vero e proprio contratto in cui viene disciplinata la natura e la finalità del trattamento, il tipo di dati personali e le categorie di interessati, gli obblighi e i diritti del titolare del trattamento, la durata del trattamento, etc.

Questo documento sarà quindi fondamentale per l’agente per comprendere che dati potrebbero essergli affidati, a chi li può comunicare, cosa deve fare se un cliente chiede di esercitare i propri diritti privacy, come deve comportarsi in caso di data breach (es. l’agente perde il laptop in cui conservava i dati dei clienti del preponente), etc.

Tre cose sono particolarmente importanti nella nomina:

  • cosa accade ai dati trattati per conto del cliente al termine del contratto di nomina, ovvero se questi vanno restituiti, distrutti o conservati (chiaramente l’agente potrà comunque trattenere i dati se questo gli serve per poter dimostrare la sua prestazione ed essere pagato ad esempio);
  • se l’agente può nominare sub-responsabili e le procedure da adottare nel caso. Alcune nomine prevedono la possibilità di nominare sub-responsabili solo previo assenso del titolare, altre invece lasciano maggiore libertà all’agente, alcune però prevedono che l’agente comunque comunichi al titolare i sub-responsabili che impiega per trattare i suoi dati. E bisogna tener conto che i sub-responsabili non sono solo i sub-agenti, ma tutti i fornitori che trattano i dati dei clienti del preponente (ad esempio, e banalmente, se conservo i dati su Google Drive, è Google ad essere mio sub-responsabile del trattamento, e se la nomina prevede il previo assenso del titolare per la nomina del sub-responsabile, dovrò chiedere al preponente se posso utilizzare Google per conservare i suoi dati ad esempio);
  • i diritti di audit del titolare, che a seconda dei casi potrebbe prescrivere dei semplici audit cartolari (questionari sul livello di adeguamento dell’agente) o anche più invasive ispezioni presso gli uffici dell’agente (che in alcuni casi, magari se plurimandatario, dovrà valutare se respingere una simile clausola perché magari rischia di contrastare con precedenti impegni privacy presi con altri preponenti).

Se manca la nomina, è opportuno che l’agente si confronti con il preponente sul punto e, nel caso di inerzia del preponente, prenda egli stesso l’iniziativa, sottoponendo al preponente una c.d. “auto-nomina” a responsabile esterno così da regolare efficacemente i rapporti fra le parti.

L’agente dovrebbe poi tenere un registro dei trattamenti, ex art. 30 GDPR (documento obbligatorio solo per aziende che hanno più di 250 dipendenti o che effettuano trattamenti dati che comportano rischi o che coinvolgono dati appartenenti a categorie particolari, ma sempre caldamente consigliato perché consente anche all’agente di individuare e monitorare i flussi dati della sua attività professionale).

Oltre a questo registro dei trattamenti (caldamente consigliato) andrà poi (questa volta obbligatoriamente) tenuto un registro dei trattamenti del responsabile. Questo particolare registro dei trattamenti va compilato per ciascun preponente che nomina l’agente quale responsabile esterno. Solitamente nelle singole nomine sono presenti riferimenti a questo registro e eventuali richieste del titolare sulla sua tenuta.

Sul sito del Garante privacy è presente, a questa pagina, sia un modello di registro dei trattamenti, sia un modello di registro dei trattamenti del responsabile.

6. B2C e B2B

Va poi tenuto presente che anche se questa nomina assume rilievo certo più pressante quando l’agente deve contattare persone fisiche per conto del preponente, non è una formalità che possa essere esclusa anche quando l’agente si occupi solo di B2B e debba contattare prevalentemente imprese per conto del preponente.

Anche in questo caso, infatti, l’agente potrebbe trattare dati dei singoli soggetti all’interno delle società clienti (anche, banalmente, nome, numero di telefono, email, etc.), ovvero dati di ditte individuali o di professionisti che sono a tutti gli effetti dati personali ed è quindi necessario in ogni caso formalizzare ai fini privacy il rapporto con la mandante.

7. Le informative

Chiariti i rapporti con il preponente, normati generalmente nel contratto di nomina, è opportuno che l’agente produca le proprie informative.

Normalmente l’agente non dovrà produrre informative ai clienti che contatta per conto del preponente (al massimo dovrà fornire, secondo le indicazioni di cui alla nomina, l’informativa del preponente), ma questo non toglie che l’agente abbia comunque bisogno di un’informativa.

Ad esempio, l’agente tratterà i dati del preponente, dei suoi fornitori, consulenti, collaboratori, dipendenti, sub-agenti, etc.

Tutti questi trattamenti dati l’agente non li fa “per conto” di un preponente, bensì li fa in autonomia, e sarà necessario sottoporre ai vari soggetti con cui entra in contatto per conto proprio un’informativa su come tratterà i dati di questi soggetti.

L’informativa, che generalmente non comporta la richiesta di un consenso privacy in quanto è finalizzata alla sola gestione del contratto fra le parti, deve essere comunque fornita al fine di documentare che il soggetto interessato dal trattamento dei dati è stato informato su come l’agente si comporterà con i suoi dati personali. La prova di aver sottoposto al soggetto interessato l’informativa (una firma sul modulo, la mail con la quale si è inviata l’informativa, il flag sul sito web dell’agente) va mantenuta per tutto il tempo per cui si trattengono i dati.

L’informativa va redatta con criterio, senza affidarsi acriticamente a moduli online (pensate ad esempio al responsabile esterno Google per il cloud aziendale, Google salvo determinati contratti comporta un trasferimento dati in USA, scegliere un’informativa base in cui è scritto che i dati non verranno in nessun caso trasferiti al di fuori dell’Unione Europea è già un errore facilmente individuabile in sede di eventuale controllo).

8. Nomine, autorizzazioni, etc.

Oltre a questi documenti e accorgimenti di base, l’architettura privacy dell’agente cresce al crescere della struttura. I sub-agenti andranno nominati come responsabili esterni, così come il consulente del lavoro, il soggetto che fornisce il cloud aziendale (nel caso si tratterà più che altro di rinvenire l’auto-nomina che queste grandi società predispongono quasi sempre ma a volte si fa fatica a rinvenire) nonché tutti quei partner che non si trovano in posizione di subordinazione rispetto all’agente e che nel fornirgli i loro servizi trattano dati per conto dell’agente (salvo casi particolari come ad esempio un partner con una particolare qualifica professionale, ad esempio un avvocato o un commercialista, che rimangono titolari autonomi anche se trattano dati per conto dell’agente).

I dipendenti (e i soggetti a loro assimilabili) dovranno ricevere più dettagliati incarichi su come trattare i dati sia cartacei che informatici, regolando i loro accessi ai sistemi e ai dispositivi aziendali e dovranno essere formati adeguatamente.

Il sito web andrà adeguato con privacy e cookie policy e all’aumentare di importanza della struttura sarà opportuno adottare policy per definire come gestire in maniera coordinata i data breach, come rispondere alle richieste di accesso, come gestire software e strumenti informatici etc.

9. L’adeguamento come work in progress

La normativa europea impone un approccio a 360 gradi al fenomeno privacy, verificando per ogni attività aziendale se può coinvolgere dati personali e come questi sono posizionati nella struttura privacy aziendale.

L’adeguamento deve poi essere sempre considerato un work in progress in quanto quello che è adeguato in un momento può diventare obsoleto successivamente. I nostri dati viaggiano sempre più spesso su sistemi e reti informatiche che evolvono a ritmi serrati, se fino a ieri gli standard di sicurezza di un laptop con Windows 7 erano adeguati oggi non è più così, se fino all’anno scorso la formazione per evitare attacchi ransomware comprendeva una serie di esempi adesso gli attaccanti non usano più nessuno di quei metodi e ne hanno inventati di nuovi e più subdoli.

Per quanto possa apparire burocratico e documentale, l’approccio descritto in queste righe è volto solo a creare procedure per rendere più facile un adeguamento sostanziale dell’agente, affinché questo possa guardare con un assetto organizzato a quello che davvero conta, ovvero evitare trattamenti di dati personali fatti con leggerezza e per questo molto rischiosi, pensare alla protezione informatica dei sistemi su cui l’agente lavora (crittografare un dispositivo portatile oggi è davvero banale e gratuito e può cambiare la vita in caso di perdita del dispositivo) e adeguare nel tempo la protezione dei dati all’assetto aziendale che cambia e all’evoluzione normativa e tecnologica.

Avv. Riccardo Berti


[1] Titolarità del trattamento di dati personali in capo ai soggetti che si avvalgono di agenti per attività promozionali - 15 giugno 2011, Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 153 del 4 luglio 2011, Registro dei provvedimenti, n. 230 del 15 giugno 2011.

[2] La forma scritta per la nomina a responsabile esterno non è un semplice suggerimento prudenziale, bensì un vero e proprio obbligo normativo, previsto dall’art. 29 par. 9 GDPR (si badi bene, nel linguaggio del GDPR “forma scritta” non vuol dire solo forma cartacea, anzi la normativa europea incoraggia la digitalizzazione della documentazione privacy).

Quanto invece all’obbligo di formazione la normativa prescrive che il responsabile può trattare i dati su istruzione documentata del titolare, quindi in un rapporto di agenzia “semplice” è possibile che siano sufficienti delle mere istruzioni all’agente, mentre nel caso di Wind, che propone agli agenti l’utilizzo di un gestionale proprio, è evidente che questo obbligo di istruzione si trasforma di fatto in un obbligo di formazione dei collaboratori esterni, per garantire che utilizzino in sicurezza e con consapevolezza gli strumenti che l’azienda mette loro a disposizione.

[3] Considerando 32 Reg. UE 679/2016 (GDPR)

[4] The EU General Data Protection Regulation (GDPR): A Commentary” C. Kuner, L. A. Bygrave, C. Docksey, L. Drechsler. Oxford University Press (2020).

[5] Caso 7 U 4012/17 del 31.07.2019   

[6] Ai sensi dell’art. 4 punto 2) GDPR la trasmissione è una forma di comunicazione dei dati che a sua volta, a mente dell’art. 14 par. 3 lett. c) GDPR, è un’attività che coinvolge due o più titolari (mentre a responsabili ed autorizzati non vengono comunicati/trasmessi i dati, bensì questi effettuano un trattamento dati per conto del titolare, mentre il soggetto che si presenta all’esterno è, di fatto, unico).

[7] §. 84 HGB “Handelsvertreter ist, wer als selbständiger Gewerbetreibender ständig damit betraut ist, für einen anderen Unternehmer (Unternehmer) Geschäfte zu vermitteln oder in dessen Namen abzuschließen. Selbständig ist, wer im wesentlichen frei seine Tätigkeit gestalten und seine Arbeitszeit bestimmen kann”.

[8] Auslegungshilfe | Bayerisches Landesamt für Datenschutzaufsicht.


L'informatore scientifico: dipendente, agente o lavoratore autonomo?

L’informatore scientifico è il soggetto che funge da tramite, altamente qualificato, tra la casa farmaceutica e chi è preposto alla somministrazione del farmaco (che sia il medico, l’ospedale o la farmacia).

La giurisprudenza italiana seppure non abbia del tutto escluso l’applicabilità delle norme sull’agenzia a tale figura, ne ha limitato la sua applicazione.

Si vanno qui di seguito a dare alcuni strumenti per comprendere se e quando un informatore scientifico debba essere inquadrato come dipendente, agente o lavoratore autonomo.

La promozione e intermediazione delle vendite nel mercato farmaceutico è caratterizzata da rilevanti peculiarità. Uno dei principali elementi di atipicità del settore è sicuramente individuabile nel fatto che i destinatari dei prodotti farmaceutici sono i pazienti, il cui rapporto con le imprese è però mediato da un terzo (il medico, l’ospedale o la farmacia) a cui l’ordinamento giuridico attribuisce, per un gran numero di farmaci, la funzione esclusiva di identificare la terapia più appropriata attraverso la prescrizione.

L’attività di connessione tra la causa farmaceutica e il soggetto preposto alla somministrazione del farmaco viene in buona parte svolta dall'informatore scientifico (anche detto propagandista farmaceutico).

L’informatore farmaceutico è disciplinato nel nostro ordinamento dal D.lgs. 219/2006 art. 122, norma che esige il possesso, da parte del soggetto che svolge tale attività, di un diploma di laurea in discipline scientifiche tassativamente elencate, così come l’obbligo per ogni impresa farmaceutica di comunicare all’Agenzia entro il mese di gennaio di ogni anno l’elenco degli informatori scientifici impiegati nel corso degli anni precedenti.

Dall'esame di tale normativa non si emerge un obbligo per le imprese farmaceutiche che intendano avvalersi di un informatore scientifico, di inquadrare tale soggetto come dipendente, essendo libere di adottare per lo svolgimento di tale attività sia un contratto di lavoro subordinato, di agenzia, così come di lavoro autonomo, in base alle effettive modalità di esecuzione del rapporto[1]

Si vanno qui di seguito a dare alcuni spunti e strumenti, per comprendere se e quando un informatore scientifico debba essere considerato dipendente, agente o lavoratore autonomo.

1. Lavoratore subordinato o agente?

Stante l'assoluta apertura da parte della giurisprudenza nel ritenere che l'informatore scientifico possa essere liberamente inquadrato come lavoratore subordinato,[2] qualora le parti dovessero scegliere di adottare tale disciplina, si dovrà certamente escludere l'applicabilità al rapporto delle norme in tema di agenzia.

Nel caso invece il rapporto dovesse essere classificato come agenzia, al fine di verificare se lo stesso sia stato inquadrato correttamente, bisognerà verificare, nel caso concreto, il contenuto effettivo delle prestazione rese, tenuto conto del reale atteggiamento delle parti; in pratica, accertare se vi sia o meno un'effettiva subordinazione dell'informatore scientifico al potere gerarchico e disciplinare dell’imprenditore, così come un’assunzione del rischio dell’attività.[3]

Una cassazione piuttosto datata (Cass. Civ. 1992 n. 9676), ma non per questo ancor oggi non attuale, ha sostenuto che l’attività di informatore scientifico può svolgersi sia nell'ambito del rapporto di lavoro autonomo, che in quello del rapporto di lavoro subordinato, evidenziando come nel caso del propagandista "agente" il rapporto sia caratterizzato da un'obbligazione di risultato, mentre, nel secondo caso, di mezzi. Si legge, invero, che

“a seconda che la prestazione dell'attività si caratterizzi - per le modalità del suo svolgimento - come mero risultato o come messa a disposizione di energie lavorative con l'inserzione del propagandista nell'organizzazione produttiva dell'imprenditore e l'assoggettamento alle disposizioni da questo impartite”

In particolare viene affermato dalla Corte che:

“dall'anzidetta attività - che (svolta in via autonoma o subordinata) consiste nel persuadere la potenziale clientela dell'opportunità dell'acquisto, informandola del prodotto e delle sue caratteristiche, ma senza promuovere (se non in via del tutto marginale) la conclusione di contratti - differisce l'attività dell'agente, il quale, nell'ambito di un'obbligazione non di mezzi, ma di risultato, deve altresì pervenire alla promozione della conclusione dei contratti, essendo a questi direttamente connesso e commisurato il proprio compenso.”

Un ulteriore elemento che dovrà essere tenuto in considerazione per un corretto inquadramento del rapporto, riguarda certamente le modalità di retribuzione dell’informatore scientifico. Se la retribuzione di tale soggetto non è in alcun modo parametrata a quelle che sono le vendite che vengono effettuate dal preponente della sua zona e che, quindi, il rischio economico venga ribaltato integralmente su tale soggetto, sarà certamente molto più complesso sostenere la sua inquadrabilità all’interno della disciplina dell’agenzia, o comunque di rapporto di lavoro autonomo.

- Leggi anche: Il contratto di agenzia e il rapporto di lavoro subordinato: criteri distintivi e parametri valutativi.

2. Agente o lavoratore autonomo?

In linea di massima la giurisprudenza italiana seppure non abbia del tutto escluso l’applicabilità delle norme sull’agenzia all’informatore farmaceutico, ne ha limitato la sua applicazione.

Punto di partenza di tale processo interpretativo, la definizione di "agenzia" di cui all’art. 1742 c.c., ove viene inserita tra le prestazioni caratteristiche dell'agente di commercio, quella di promozione dei contratti. Si legge:

Col contratto di agenzia una parte assume stabilmente l'incarico di promuovere, per conto dell'altra, verso retribuzione, la conclusione di contratti in una zona determinata.”

Se si analizza, invece, l’attività di diversi informatori scientifici, si può rilevare che gli stessi (e da qui anche il nome) svolgono principalmente non tanto l'attività di promozione, quanto quella (diversa) di propaganda.

Per distinguere le due attività, si può semplificare facendo presente che l’attività di propaganda consiste essenzialmente nell’illustrare, seppure anche in maniera assai analitica, dettagliata e scientifica, le qualità di un determinato prodotto (nel caso di specie un farmaco), pur esalandone le sue qualità e le caratteristiche che lo contraddistinguono rispetto alla concorrenza.

Dall’altra parte, l’attività di promozione consiste, invece, in una serie di attività volte a stimolare la domanda di un prodotto, quali ad esempio, il lancio di campagne promozioni, sviluppo di strategie di marketing, etc.

Quindi, sul presupposto della significativa differenza tra tali tipologie di attività, parte della giurisprudenza ha ritenuto che la mera propaganda svolta da un informatore scientifico, mediante visite a medici o dirigenti sanitari,

"allo scopo di favorire l'adozione dei farmaci dagli stessi rappresentati debba considerarsi quale rapporto atipico, non inquadrabile nello schema del rapporto di agenzia, tenuto conto del fatto che il propagandista, oltre a non stipulare alcun contratto con clienti della casa editrice, non svolge neppure attività volta alla conclusione di contratti, ponendosi tale evento come un fatto esterno all'attività di pubblicità e, per di più, eventuale.”[4]

In particolare la Cassazione ha affermato che l'attività di promozione della conclusione di contratti per conto del preponente, che costituisce l'obbligazione tipica dell'agente, non può consistere in una mera attività di propaganda, da cui possa solo indirettamente derivare un incremento delle vendite, ma deve consistere nell'attività di convincimento del potenziale cliente ad effettuare delle ordinazioni dei prodotti del preponente, atteso che è proprio con riguardo a questo risultato che viene attribuito all'agente il compenso, consistente nella provvigione sui contratti conclusi per suo tramite ed andati a buon fine.

Si registra un’ulteriore problematica, o forse è meglio dire che tale problematica si acuisce e si rende ancora più palese quando l’informatore farmaceutico presta la propria attività nei confronti di strutture ospedaliere o aziende sanitarie pubbliche. In tal caso, parte della giurisprudenza ritiene addirittura che bisognerebbe a priori escludere la sussistenza di un'attività di promozione, posto che l'intermediario che entra in contatto con enti pubblici, non può in alcun modo convincere la P.A. ad ordinare il prodotto, atteso il vincolo delle procedure amministrative di evidenza pubblica in materia di conclusione di contratti.”[5]

In altre pronunce, soprattutto quanto l’informatore scientifico svolge contemporaneamente i compiti tipici dell’agente, è stato ritenuto che l’attività di propaganda pur non potendo costituire di per sé sola l’attività tipica dell’agente, integra il presupposto della promozione della conclusione di contratti.

Si ritiene opportuno riportare qui di seguito un estratto di una pronuncia della Corte, con cui viene dato atto che, seppure la prestazione dell'agente consiste in atti di contenuto vario e non predeterminato che tendono tutti alla promozione della conclusione di contratti, l'attività tipica dell'agente di commercio non richiede:

necessariamente la ricerca del cliente ed è sempre riconducibile alla prestazione dedotta nel contratto di agenzia anche quando il cliente, da cui proviene la proposta di contratto trasmessa dall'agente, non sia stato direttamente ricercato da quest'ultimo ma risulti acquisito su indicazioni del preponente (o in qualsiasi altro modo), purché sussista nesso di causalità tra l'opera promozionale svolta dall'agente nei confronti del cliente e la conclusione dell'affare cui si riferisce la richiesta di provvigione.

In ogni caso, perché possa configurarsi un contratto di agenzia non occorre che l'agente abbia la possibilità di fissare prezzi e sconti e comunque quella di modulare le condizioni del servizio alle peculiari esigenze dei clienti del servizio stesso, potendo la standardizzazione delle condizioni di vendita rendere preminente l'azione di propaganda rispetto a quella di preparazione e allestimento del contratto.”[6]

Può pertanto concludersi che la propaganda è una componente della promozione, considerata dall’art. 1742 c.c., e che la stessa è sufficiente ad integrarla quando riassume, congiunta ad altri compiti tipici dell'agente, la funzione di organizzazione e sviluppo di collocamento del prodotto, in modo da attribuire all’incaricato il ruolo di effettivo intermediario tra l’impresa ed i suoi clienti, anche attraverso una attività di sollecitazione mediata dei possibili acquirenti del bene o servizio.

In altre parole, non può escludersi a priori l’esistenza di un contratto di agenzia solo perché la promozione dei contratti si rivolga nei confronti di persone diverse a clienti finali (cioè quelle persone che effettuano l’acquisto del bene o del servizio), dovendo nel caso di specie verificare se il soggetto svolge un'effettiva attività di promozione delle vendite, anche seppure di carattere indireto.

____________________________________________

[1] Sul punto cfr. Venezia, Il contratto di agenzia, pag. 667, 2020, Giuffrè.

[2] Cass. Civ. 2006 n. 4271, Cass. Civ. 2001 n. 9167.

[3] Cass. Civ. 2009 n. 9696, “L'elemento distintivo tra il rapporto di agenzia e il rapporto di lavoro subordinato va individuato nella circostanza che il primo ha per oggetto lo svolgimento a favore del preponente di un'attività economica esercitata in forma imprenditoriale, con organizzazione di mezzi e assunzione del rischio da parte dell'agente, che si manifesta nell'autonomia nella scelta dei tempi e dei modi della stessa, pur nel rispetto - secondo il disposto dall'art. 1746 c.c. - delle istruzioni ricevute dal preponente, mentre oggetto del secondo è la prestazione, in regime di subordinazione, di energie lavorative, il cui risultato rientra esclusivamente nella sfera giuridica dell'imprenditore, che sopporta il rischio dell'attività svolta.” Cass. Civ. 2008 n. 21380.

[4] Cass. Civ. 2006 n. 3709.

[5] Cass. Civ. 2008 n. 18686.

[6] Cass. Civ. 2018, n. 20453.


Derogabilità in peius AEC

Contratto di agenzia e derogabilità in peius degli AEC.

Seppure l’agente di commercio rientra nella categoria dei lavoratori autonomi, la giurisprudenza maggioritaria non ritiene doversi escludere l'applicabile a tale rapporto della disciplina di cui all’art. 2077 c.c., che stabilisce l'inderogabilità in peius dei contratti collettivi ad opera delle parti.

Pertanto, in caso di applicazione al contratto degli AEC, un eventuale contrasto tra disciplina collettiva e quella risultante dal contratto individuale, prevarrà quella individuale solamente se più sfavorevole all’agente.

Si registrano comunque orientamenti giurisprudenziali e dottrinali difformi, che propendono per la validità di una pattuizione individuale peggiorativa rispetto alla disciplina collettiva di diritto comune.

Nell’ordinamento italiano, la figura dell’agente che opera in qualità di persona fisica, sia per questioni di carattere storico, che culturale, è assai peculiare, tale da avere portato dottrina e giurisprudenza a inquadrarla nel tertium genus di lavoratore “parasubordinato”.

Sul punto basti ricordare che a tale figura vengono applicati istituti tipici del lavoro dipendente, quali ad esempio la nozione di giusta causa ex art. 2119 c.c., la disciplina delle rinunzie e transazioni di cui all’art. 2113 c.c., così come la devoluzione delle controversie al rito lavoro prevista espressamente dall’art. 409 c.p.c.

A rendere il tutto ancora più “ibrido”, interviene certamente l’applicazione al contratto di agenzia degli accordi economici collettivi, che si ha ogniqualvolta che:

  • entrambe le parti (quindi sia l’agente che il preponente), aderiscono alle associazioni sindacali stipulanti;
  • vi sia un richiamo espresso all’AEC nel contratto di agenzia;
  • vi sia un richiamo tacito, ossia se si può evincere l’applicazione continua e costante delle norme AEC da parte dei contraenti.[1]

Leggi anche - La contrattazione collettiva. Origini, valore ed applicabilità. E se un contraente è straniero, si applicano oppure no?

Si pone quindi la questione se, essendo gli accordi collettivi assimilabili ai contratti collettivi di lavoro, sia corretto o meno estendere ai primi la disciplina dei secondi, con particolare alla norma di cui all’art. 2077, comma secondo c.c. che prevede che:

Le clausole difformi dei contratti individuali, preesistenti o successivi al contratto collettivo, sono sostituite di diritto da quelle del contratto collettivo, salvo che contengano speciali condizioni più favorevoli ai prestatori di lavoro.

Tale norma di divieto di deroga in peius è pensata ed è compatibile con i principi privatistici della contrattazione collettiva, finalizzati a sottoporre i soggetti rappresentati dalle associazioni stipulanti ad una disciplina comune ed a sottrarre la regolamentazione di determinati rapporti all’eccessiva influenza dei datori di lavoro.

Ad ogni modo, se da una parte vi è un'effettiva applicabilità alla disciplina dell’agente di determinati istituti giuslavoristici, la figura dell’agente (soprattutto come pensata dalla Direttiva europea 86/653) deve essere certamente inserita nella categoria dei lavoratori autonomi, assumendo questi il rischio del risultato utile della sua attività, contrariamente al lavoratore dipendente il quale trasferisce tale rischio, attraverso la sicurezza della retribuzione, sul proprio datore di lavoro.

In sostanza, la collaborazione prestata dall’agente si svolge in regime di piena autonomia, mentre quella prestata dal lavoratore dipendente si attua in regime di subordinazione gerarchica, con organizzazione da parte del datore di lavoro delle energie prestate dal dipendente.[2]

Sulla base di tale presupposto, ossia del carattere dell'agente dotato di autonomia organizzativa e non sottoposto a potestà disciplinare cogente, la giurisprudenza - seppure risalente - della Corte, ha ritenuto che il parziale assoggettamento dello stesso alle norme dettate per i rapporti di lavoro subordinato

“non comporta alcuna equiparazione tra i due contratti con la conseguenza che il principio della nullità delle modifiche in pejus dei patti contrattuali valido per il contratto di lavoro non è applicabile a quello di agenzia.”[3]

La Corte ha ritenuto compatibile con l'autonomia contrattuale delle parti e, quindi, non soggetta alla disciplina di cui all'art. 2077 c.c. una pattuizione individuale peggiorativa rispetto alla disciplina collettiva applicabile al singolo rapporto di agenzia, proprio stante la natura non subordinata di tale contratto.

Più recentemente si è letto in giurisprudenza che, essendo la disciplina collettiva dei contratti di agenzia vincolante sul presupposto di implicita o esplicita adesione,[4] deve ritenersi preferibile la tesi che esclude: “l’inderogabilità dell’AEC e l’applicabilità dell’art. 2077 c.c. al rapporto di agenzia come fonte esterna. [5]

Tale tesi si fonda ancora una volta sul presupposto che l’assimibilità del rapporto di agenzia a quello di lavoro subordinato deve intendersi limitata solo ad alcuni specifici istituti, quale ad esempio la nozione di giusta causa ex art. 2119 c.c., mentre resta ferma e netta la differenza di natura e di disciplina tra i due rapporti.

In dottrina è stato altresì notato giustamente che l’inderogabilità degli AEC di diritto comune pone molti dubbi in quanto non trova riscontro in nessuna norma di legge. L’unica disposizione che tratta dell’inderogabilità degli accordi collettivi è infatti l’art. 2113 c.c. in materia di rinunzie e transazioni che, seppure si applichi anche agli agenti “parasubordinati”, non prevede la nullità di eventuali clausole del contratto individuale contrarie all’AEC, ma soltanto la possibilità di impugnare entro un periodo di sei mesi la rinuncia o transazione avente per oggetto la norma collettiva.[6]

Si registra comunque un orientamento giurisprudenziale prevalente che ritiene, senza andare ad approfondire in maniera troppo sviluppato le regioni, nulla una clausola contrattuale difforme e peggiorativa rispetto alla disciplina degli AEC, facendo specifico riferimento alla disciplina di cui all'art. 2077 c.c.[7]


[1] Cass. Civ. 1993 n. 1359, In questo caso la Cassazione ha ritenuto applicabile l’AEC al rapporto al contratto di agenzia, seppure il preponente non fosse iscritto all’associazione sindacale e nel contratto non vi fosse alcun richiamo espresso: è stato invece riconosciuta l’esistenza di una prassi consolidata aziendale succedutasi del tempo, del rispetto del preponente della normativa collettiva.

[2] BALDI – VENEZIA, Il contratto di agenzia, pag. 33, 2020, Giuffrè.

[3] Cass. civ., 03/11/1980, n. 5860.

[4] Cass. Civ. 1999 n. 368.

[5] Corte di Appello Venezia, 25.1.2011.

[6] TOFFOLETTO – SARACINI.

[7] Tribunale Torino 25.5.2021, Cass. Civ. 2004, n. 10774, Cass. Civ. 2000, n. 8133.


contratto di agenzia e vendite online

Contratto di agenzia e vendite online: esclusiva, non concorrenza e provvigioni indirette.

Se un produttore sceglie di vendere online tramite un proprio e-commerce, dovrà certamente fare i conti con le reazioni dei propri agenti, parimenti se il produttore vende a grossisti o distributori che decidono di mettere in rete i prodotti acquistati. Per non parlare se tale strategia viene posta in essere da qualche agente, il quale decide di iniziare a promuovere le vendite tramite l’ausilio del web.

Con questo articolo si andranno ad analizzare quelli che sono gli impatti giuridici che le vendite online hanno sulla rete vendita “tradizionale”, esaminate da tre punti di vista, quello appunto del produttore, del terzo e dell’agente.

1. Vendite online da parte del produttore e impatti sugli agenti di commercio.

Prima di analizzare quelle che sono le ripercussioni giuridiche in caso di decisione di mettere online i prodotti contrattuali, bisognerebbe rispondere alla seguente domanda: il produttore può vendere nelle zone in cui operano i propri agenti?

Per rispondere a tale domanda bisogna fare qualche passo indietro e comprendere in che maniera il preponente possa effettivamente operare all’interno della zona conferita all’agente in esclusiva.

– Leggi anche: L’esclusiva di zona nel contratto di agenzia.

L’esclusiva viene disciplinata all’art. 1743 c.c. che vieta al preponente, salvo patto contrario, di avvalersi dell’opera di altri agenti all’interno del territorio. Secondo costante giurisprudenza, tale clausola, che costituisce elemento naturale del contratto, ((Cass. Civ. 2012 n. 16432; Cass. Civ. 2002 n. 5920; Cass. Civ. 1994 n. 2634; Cass. Civ. 1992 n. 5083.)) non vincola il preponente unicamente a non nominare più agenti all’interno del medesimo territorio, ma altresì è volta a proteggere l’agente da qualsiasi ingerenza del preponente all’interno della zona, tra cui anche la conclusione di affari oggetto dell'attività di impresa all’interno del territorio stesso.((Cass. Civ. 2004 n. 14667.))

Dall’altro canto, l’ordinamento prevede altresì che l’agente ha diritto alle provvigioni anche su affari conclusi dal preponente direttamente con clienti “appartenenti alla zona o alla categoria o gruppo di clienti riservati” (art. 1748, comma 2, c.c.); tale disposizione sembrerebbe conferire al preponente un “libero mandato” a vendere direttamente all’interno del territorio, alla sola condizione che riconosca all’agente le c.d. provvigioni indirette.

La giurisprudenza italiana è giunta ad un compromesso che tiene conto degli interessi contrapposti dalle parti, così come disciplinati dalle norme qui sopra richiamate, ritenendo che la libertà del preponente debba essere limitata all’esercizio in via occasionale di vendite all’interno del territorio, dovendosi escludere che il preponente possa ivi svolgere una sistematica ed organizzata attività di vendita. ((Si legge ad esempio in una recente sentenza della Cassazione che: “in materia di rapporto di agenzia, il proponente non può operare, con continuità, nella zona di competenza dell’agente ma, ai sensi dell’art. 1748, secondo comma, cod. civ., ha solamente la facoltà di concludere, direttamente, singoli affari, anche se di rilevante entità, dal cui compimento sorge il diritto dell’agente medesimo a percepire le cosiddette provvigioni indirette. Ne consegue che, ove l’intervento del proponente sia meramente isolato, il diritto al pagamento della provvigione ha, a sua volta, natura episodica e non periodica, e, come tale, è soggetto alla prescrizione ordinaria di cui all’art. 2946 cod. civ. e non alla prescrizione “breve” ex art. 2948, n. 4, cod. civ. (Cass. Civ. 2008, n. 15069); Cfr. anche Cass. Civ. 2009 n. 8948, Cass. Civ. 1993 n. 5591; sull’argomento cfr. Bortolotti, Contratti di distribuzione, 2016, Walters Kluver.))

Seguendo tale orientamento, qualora nel contratto non sia espressamente riconosciuto al preponente il diritto di effettuare (anche in maniera strutturata) vendite diretta all’interno del territorio esclusivo, il preponente che decidesse di impostare una strategia di vendita tramite canali online si sottopone al rischio di essere soggetto a contestazioni da parte dei propri agenti, per violazione dell’esclusiva, soprattutto se il commercio via web genera un quantitativo sostanzioso di vendite.((Cfr. Cass. Civ. 2009 n. 8948 in cui è stato “escluso di poter ravvisare la sussistenza di una giusta causa di recesso senza preavviso dell'agente dal rapporto di agenzia sulla sola base dell'omesso versamento da parte del preponente delle esigue provvigioni su appena nove contratti conclusi direttamente e di un ammontare complessivo marginale.”))

Molto interessante lo spunto promosso da una parte della dottrina, ((Baldi – Venezia, Giuffrè Editore, pag. 73 e ss.)) (che verosimilmente ritiene l’orientamento della giurisprudenza qui sopra richiamato troppo aleatorio e non in linea con il letterario dettato normativo dell’art. 1748, comma 2 c.c.) in base al quale dovrebbe essere vietato al preponente unicamente lo svolgimento di una vera e propria attività promozionale, ritenendo invece lecita la risposta alle domande di clienti che si rivolgono spontaneamente al preponente,  estendendo così anche a questa ipotesi la distinzione tra vendite attive e passive del diritto antitrust.


2. Vendite online all’interno del territorio dell’agente esclusivo attraverso terzi distributori.

Un problema in parte differente è comprendere quando le vendite effettuate da soggetti terzi all’interno del territorio dell’agente possano costituire violazione dell’esclusiva.

Come si è già avuto modo di analizzare, salvo patto contrario, l’agente esclusivo ha diritto ex art. 1748, comma 2, c.c. alle provvigioni anche su tutte le vendite che il preponente effettua all’interno del proprio territorio; è perciò pacifico che qualora il preponente effettui delle vendite ad un grossista con sede nel territorio contrattuale, l’agente potrà rivendicare il diritto al pagamento delle provvigioni indirette. Per comprendere se il cliente (persona giuridica) possa considerarsi appartenente alla zona, è opportuno richiamare una abbastanza risalente sentenza della Corte di Giustizia,((Sentenza Kotogeorgas / Kartonpak del 12.12.1996, causa C-104/95.)) più recentemente confermata dalla Corte di Cassazione,((Cass. Civ. 2012 n. 5670.)) che ha chiarito essere appartenente alla zona ogni persona giuridica avente sede nel territorio in cui l’agente gode del regime di esclusiva.

Meno chiaro ed evidente è comprendere se tale soggetto terzo, una volta acquistati i prodotti dal preponente effettui delle vendite online direttamente a dei clienti appartenenti alla zona riservata all’agente, questi possa reclamare il diritto alle provvigioni nei confronti del preponente stesso.

Anche a risposta a tale questione è intervenuta una più recente pronuncia della Corte di Giustizia che ha sancito:

“L’art. 7, n. 2, primo trattino, della direttiva del Consiglio 18 dicembre 1986, 86/653/CEE, relativa al coordinamento dei diritti degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti, deve essere interpretato nel senso che l’agente commerciale incaricato di una zona geografica determinata non ha diritto alla provvigione per le operazioni concluse da clienti appartenenti a tale zona con un terzo senza l’intervento, diretto o indiretto, del preponente.” Ne consegue che sussisterà violazione dell’esclusiva e competerà all’agente il diritto alla provvigione indiretta, solamente se nelle vendite effettuate nel territorio da soggetti terzi, vi sia stato un intervento diretto o indiretto del preponente, ((Cass. civ. 2017 n. 2288.)) con il fine di sottrarre di fatto all’agente affari che quest’ultimo avrebbe potuto concludere.((Cfr. il principio statuito dalla Corte di Cassazione sez. Lav. nella sentenza 2011 n. 11197.))


3. Vendite online da parte degli agenti di commercio.

Contrariamente ai contratti di distribuzione, nei contratti di agenzia il preponente può impedire che l’agente effettui attività di promozione delle vendite online (a meno che l’agente, per le modalità in cui svolge la propria attività, non debba essere ritenuto soggetto alla normativa antitrust).

– Leggi anche: Un produttore può impedire ai suoi distributori di vendere online?

Sorge quindi spontanea le domanda, l’agente è libero di decidere di iniziare a promuovere le vendite online?

Invero, nel caso in cui un agente decidesse di muoversi in tal senso, si sconterà con quella che è la prerogativa tipica del web, ossia che sia per sua natura visibile ovunque e che una eventuale limitazione volta ad impedire i blocchi geografici ingiustificati sarebbe addirittura contraria alla normativa europea.

Leggi anche:  Geoblocking: che cos’è e quando si applica?

D’altro canto, come si è avuto modo già di spiegare all’inizio di questo articolo, il rapporto di agenzia prevede come elemento naturale del contratto l’obbligo di esclusiva a cui le parti sono tenute ad attenersi e che eventuali violazioni comportano degli illeciti contrattuali. In particolare, se l’agente effettua vendite fuori zona violerà il patto di esclusiva verso il preponente, non potendo in tal caso vantare alcuna provvigione essendo riservata esclusivamente all’agente della zona ove ha effettuato la vendita.

Nel caso, invece, il contratto preveda tale vendita fuori zona, l’agente esclusivista ove la vendita è stata effettuata, potrà esercitare un’azione verso il preponente, per violazione dei patti tra loro internamente intercorsi.

Calando tali principi nel mercato online, la questione che si pone è comprendere se la mera esistenza di un sito internet ove vengono offerte le vendite dei prodotti contrattuali (che per sua natura è visibile anche fuori dalla zona attribuita all’agente) debba essere considerata come un’attività di promozione delle vendite che viola l’esclusiva degli altri agenti.

Ad oggi non risultano esserci dei precedenti giurisprudenziali che abbiano dato risposta a tale domanda e per trovare una soluzione (quantomeno plausibile) è necessario ripercorrere i principi generali in tema di agenzia, richiamando i principi dettati dalla normativa antitrust, tenuto conto delle peculiarità del mercato online.

In base agli Orientamenti della Commissione, la mera esistenza di un sito Internet deve essere considerata, in linea di principio, come una forma di vendita passiva. Si legge infatti:

se un cliente visita il sito Internet di un distributore e lo contatta, e se tale contatto si conclude con una vendita, inclusa la consegna effettiva, ciò viene considerato come una vendita passiva. Lo stesso avviene se un cliente decide di essere informato (automaticamente) dal distributore e questo determina una vendita.”((LGC n. 52.))

Contrariamente, deve considerarsi vendita attiva:

La pubblicità on-line specificamente indirizzata a determinati clienti […]. I banner che mostrino un collegamento territoriale su siti Internet di terzi […] e, in linea generale, gli sforzi compiuti per essere reperiti specificamente in un determinato territorio o da un determinato gruppo di clienti”.((LGC n. 52.))

Risulterebbe quindi coerente con la normativa antitrust e il diritto della concorrenza europea, ritenere che la violazione dell’esclusiva da parte dell’agente si ha unicamente in caso di attività di promozione delle vendite “attive”, dovendo in caso contrario ritenere che la mera risposta alle domande di clienti non appartenenti alla zona, che si rivolgono spontaneamente all’agente avrebbe come conseguenza unicamente il mancato riconoscimento della provvigione all’agente stesso.

Tenuto conto di quelli che sarebbero comunque gli impatti sulla rete vendita dell’instaurazione di un sistema distributivo online, si consiglia di valutare con grande attenzione di regolamentare i rapporti contrattuali, in maniera coerente ed allineata con quelle che sono le effettive strategie distributive che si intendono attuare.



Provvigioni su affari conclusi dopo lo scioglimento

Diritto dell'agente alle provvigioni su affari conclusi dopo la cessazione del rapporto.

Quando il rapporto di agenzia viene a cessare, spesso accade che l'agente ha segnalato alcuni affari, oppure ha semplicemente iniziato delle trattative che sono confluite in un accordo a seguito dello scioglimento del contratto.

In alcune (più rare ipotesi), l’agente ha concluso prima dello scioglimento del rapporto dei contratti di lunga durata.

Comprendere se l'agente ha diritto o meno alle provvigioni su affari conclusi dopo lo scioglimento è di essenziale importanza

Per comprendere se l'agente ha diritto alle provvigioni su affari conclusi dopo lo scioglimento del contratto, bisogna in prima analisi individuare quali tra questi affari rientrino sotto il rapporto terminato e quali invece debbano considerarsi esclusi, posto che proprio da ciò si determina l’effettiva maturazione o meno della provvigione.

Con questo articolo si va in prima sede ad analizzare brevemente la fattispecie più tipica, relativa appunto agli affari conclusi dopo lo scioglimento del rapporto, per poi approfondire la più rara (ma non per questo meno importante) ipotesi di contratti di lunga durata, che sono stati conclusi prima dello scioglimento del rapporto di agenzia.


1. Provvigioni su contratti conclusi dopo lo scioglimento del contratto.
1.1. La disciplina civilistica.

A seguito della chiusura di un rapporto di agenzia spesso accade che l’agente ha segnalato al preponente determinati affari, ovvero abbia iniziato alcune trattative che sono confluite in un accordo a seguito dello scioglimento del contratto. In tali casi bisogna comprendere quali tra questi affari rientrino sotto il rapporto terminato e quali invece debbano considerarsi esclusi, posto che da ciò si determina l’effettiva maturazione o meno della provvigione.

Tale questione viene regolata dal terzo comma dell’1748 c.c., che dispone l’agente ha diritto alla provvigione sugli affari conclusi dopo la data di scioglimento del contratto se:

  • “la proposta è pervenuta al preponente o all’agente in data antecedente o
  • gli affari sono conclusi entro un termine ragionevole dalla data di scioglimento del contratto e la conclusione è da ricondurre prevalentemente all’attività da lui svolta, salvo che da specifiche circostanze risulti equo ripartire la provvigione tra gli agenti intervenuti.”

Tale impostazione[1] è volta ad evitare che il preponente possa correre il rischio di pagare una doppia provvigione: una all’agente uscente ed una a quello entrante.[2] In caso di scioglimento del rapporto, pertanto, l’agente avrà diritto alla provvigione:

  • se ha inoltrato l’ordine al preponente prima dello scioglimento del contratto, oppure se il preponente lo ha ricevuto direttamente dal cliente di zona (nel caso in cui spetti all’agente la provvigione indiretta);
  • negli altri casi, la provvigione è dovuta unicamente se l’affare è stato concluso entro un termine ragionevole dalla data di scioglimento del contratto e la conclusione è da ricondurre prevalentemente all’attività svolta dall’agente stesso.

Richiede certamente maggiore attenzione la seconda ipotesi, ossia quella che riconosce la provvigione all’agente, anche se la proposta è pervenuta dopo lo scioglimento del rapporto, purché la stipula sia avvenuta entro un termine ragionevole.

Uno dei maggiori problemi interpretativi è individuare cosa si debba intendere per “termine ragionevole”, ossia quale sia la durata temporale massima, perché possa riconoscersi all’agente ancora il diritto alla provvigione. Sul punto la giurisprudenza non è uniforme, si legge di casi che hanno fissato tale termine in sei mesi[3] ed altri che hanno ritenuto ragionevole un termine addirittura biennale.[4] Si deve comunque ritenere che la ragionevolezza del termine debba essere parametrata anche in base al settore merceologico in cui l’agente ha operato ed agli usi in vigore in tale rapporto.

1.2 La disciplina AEC.

Certamente più chiara è la disciplina degli AEC Industria 2014, che all'art. 6, ultimo comma, prevedono che l’agente ha diritto alla provvigione sugli affari proposti e conclusi anche dopo lo scioglimento del contratto, non solo se la conclusione dell’affare sia effetto della sua attività, ma altresì la subordinano al fatto che:

  • all’atto della cessazione del rapporto, l’agente deve relazionare dettagliatamente la preponente sulle trattative commerciali intraprese, ma non concluse, a causa dell’intervenuto scioglimento del contratto di agenzia;
  • qualora, nell’arco di sei mesi dalla data di cessazione del rapporto, alcune di tali trattative vadano a buon fine, l’agente avrà diritto alle relative provvigioni;
  • decorso tale termine, la conclusione di ogni eventuale ordine, inserito o meno nella relazione dell’agente, non potrà più essere considerata conseguenza dell’attività da lui svolta e non sarà quindi riconosciuta alcuna provvigione;
  • alcuna provvigione sarà dovuta per gli affari conclusi anche entro sei mesi, ma non indicati all’interno della relazione.

2. Il diritto alle provvigioni sui contratti di lunga durata.

Nel caso in cui l’agente nel corso del rapporto promuova contratti di durata, il diritto alla provvigione sulle forniture effettuate in esecuzione del contratto procurato successivamente allo scioglimento del rapporto, dipende essenzialmente dalla natura del contratto di durata.

In linea di massima, nel caso in cui il contratto di durata sia un contratto di somministrazione, di subfornitura, ovvero un contratto di vendita a consegne ripartite, si può affermare che (salvo non sia stato diversamente pattuito),[5] l’agente abbia diritto alla provvigione su tutte le forniture effettuate anche a seguito dello scioglimento del contratto di agenzia, essendo questi di fatto atti di esecuzione di un contratto concluso nel corso del rapporto.

Contrariamente, qualora il contratto promosso sia un contratto quadro, in cui ciascuna fornitura deve formare oggetto di un ulteriore accordo (ordine - accettazione), in tal caso le singole forniture dovranno essere considerate come contratti di vendita indipendenti,[6] seppure conclusi nel contesto del contratto quadro, con la conseguenza che tali successivi contratti di vendita non daranno diritto alla provvigione (fatto salvo che l’agente non riesca a dimostrare che tali affari, siano riconducibili alla sua attività di promozione e siano stati conclusi entro un termine ragionevole).

Proseguendo con il ragionamento, nel caso in cui, invece, il rapporto di durata venga sottoscritto dal preponente a seguito dello scioglimento del rapporto, per comprendere se l’agente possa avere diritto alla provvigione, non sarà sufficiente accertare la natura del rapporto di durata, ma, altresì, dimostrare che la conclusione dell’affare, sia riconducibile all’attività di promozione dell’agente.

Si richiama qui di seguito un caso molto interessante,[7] che è stato deciso da una serie di tre sentenze del Tribunale di Grosseto, avente ad oggetto la seguente fattispecie: un agente, a seguito di gravose trattative protrattesi per diversi mesi, aveva procurato alla preponente (una società che opera nel settore degli alimenti surgelati) un affare con una catena di supermercati, avente ad oggetto la somministrazione a tempo indeterminato di piatti pronti surgelati e preconfezionati. Il contratto di somministrazione veniva stipulato qualche mese dopo lo scioglimento del rapporto di agenzia.

L’agente conveniva in giudizio la preponente, affinché gli venissero riconosciute le provvigioni sulle forniture effettuate in esecuzione del contratto di somministrazione. Con sentenza n. 52/2012 il Tribunale di Grosseto accoglieva le richieste attoree, ritenendo che:

il contratto di somministrazione, è stato formalmente stipulato […] poco più di due mesi dopo lo scioglimento del contratto di agenzia […], termine che deve essere considerato, per la sua oggettiva brevità, assolutamente ragionevole.

Seppure il Tribunale avesse accertato il diritto dell’agente alle provvigioni, ha respinto la domanda attorea, volta ad ottenere la condanna del preponente al pagamento delle stesse

fino al termine del contratto di somministrazione […] in quanto si tratterebbe di una pronuncia di condanna “in futuro” correlata, per di più ad un termine che nel contratto di somministrazione non è stato individuato dalle parti, giacché lo stesso contratto risulta essere stato stipulato a tempo indeterminato.”

L’agente, qualche anno dopo l’emanazione della prima sentenza, ha promosso un ulteriore giudizio, con il quale ha domandato la condanna della preponente al pagamento delle provvigioni sulle forniture eseguite dopo l’accertamento peritale di cui al primo giudizio. L’agente ha fondato la propria richiesta, sul principio di cui all’art. 2909 c.c., in base al quale l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti. Il Tribunale ha condannato nuovamente la preponente, asserendo che

il diritto ad ottenere il pagamento delle provvigioni via via che matureranno in relazione all’esecuzione protratta nel tempo del contratto di somministrazione, è pacifico e già accertato nella sentenza irrevocabile emessa da questo Ufficio con conseguente applicazione dell’effetto revulsivo previsto dall’art. 2909 (sul punto tra le tante Cass. Sez. Lav. 2001 n. 4304).”

A seguito di tale pronuncia, al fine di evitare il pagamento delle provvigioni sugli affari futuri, la preponente ha provveduto a cedere di fatto l’affare  ad una società dello stesso gruppo, anch’essa attiva nel settore degli alimenti surgelati. L’agente è ricorso, quindi, nuovamente al Tribunale di Grosseto, sostenendo che la cessione del contratto di durata ex art. 1406 c.c., comportava l’obbligo del cessionario di provvedere al pagamento delle provvigioni. Il Tribunale di Grosseto,[8] sposava nuovamente la tesi dell’attore, affermando che:

poiché la caratteristica della cessione del contratto ex art. 1406 c.c. è l’avere ad oggetto la trasmissione di un complesso unitario di situazioni giuridiche attive e passive che derivano da ciascuna delle parti del contratto […], la cessionaria sarà tenuta a corrispondere al ricorrente le provvigioni – nella stessa misura convenuta nel contratto di agenzia à sulle forniture di prodotti alimentari surgelati effettuate in favore della X srl.


3. Provvigioni su contratti di lunga durata ed indennità di fine rapporto.

Da ultimo, si tiene altresì a sottolineare, che la sottoscrizione di contratti di durata, possa essere utilizzato come elemento determinante per provare che sussistono le condizioni richieste dall’art. 1751 c.c., perché scaturisca il diritto dell’agente a percepire l’indennità di fine rapporto (cfr. Indennità di fine rapporto dell’agente. Come si calcola se non si applicano gli AEC?). Si legge in una interessante sentenza della Cassazione che:

L'indennità di cessazione del rapporto di agenzia compensa l'agente per l'incremento patrimoniale che la sua attività reca al preponente sviluppando l'avviamento dell'impresa. Ne consegue che tale condizione deve ritenersi sussistente, ed è quindi dovuta l'indennità, ove i contratti conclusi dall'agente siano contratti di durata, in quanto lo sviluppo dell'avviamento e la protrazione dei vantaggi per il preponente, anche dopo la cessazione del rapporto di agenzia, sono in re ipsa”.[9]


[1] Articolo riformato con D.Lgs. n. 65/1999, con il quale il legislatore ha recepito i principi della Direttiva europea n. 86/653 e, in particolare, di cui all’art. 8 che così dispone: “Per un'operazione commerciale conclusa dopo l'estinzione del contratto di agenzia, l'agente commerciale ha diritto alla provvigione; a) se l'operazione è dovuta soprattutto al risultato dell'attività da lui svolta durante il contratto di agenzia e se l'operazione è conclusa entro un termine ragionevole dopo l'estinzione del contratto, o b) se, conformemente alle condizioni di cui all'articolo 7, l'ordinazione effettuata dal terzo è stata ricevuta dal preponente o dall'agente commerciale prima dell'estinzione del contratto di agenzia.”

[2] Cfr. Tribunale di Rimini, 22.9.2004, n. 238 che ha escluso il diritto dell’agente alle provvigioni in caso di proroghe delle offerte di fornitura, stante l’assenza del preponderante intervento promozionale dell’ex agente. Sul punto cfr. VENEZIA, Il contratto di agenzia, pag. 281, 2015, CEDAM.

[3] Cass. Civ. 2006, n. 2824, in Leggi d’Italia

[4] Cass. Civ. 2013, n. 894, in Leggi d’Italia

[5] L’art. 1748 comma 3 c.c., sulle provvigioni spettanti per affari conclusi dopo lo scioglimento del contratto è interamente derogabile: a favore Saracini-Toffoletto, Il contratto di agenzia. Commentario, 2014, GIUFFRÈ e Bortolotti, opera cit., pag. 276; contrario, Trioni, che ritiene che tale norma non è inderogabile, posto che il terzo comma dell’art. 1748 c.c., diversamente dal secondo e quarto, non prevede espressamente la salvezza dei patti contrari.

[6] Cfr. sul punto BORTOLOTTI, Concessione di Vendita, Franchising e altri contratti di distribuzione, pag. 8, 2007, CEDAM.

[7] Per maggiori approfondimenti cfr. Giulia Cecconi, Le provvigioni sui contratti di durata, in Agenti e rappresentanti di commercio, 1/2019, AGE EDITRICE.

[8] Tribunale di Grosseto, sentenza n. 269 del 2018.

[9] Cass. Civ. sez. lav. n. 24776 del 2013.


influencer e agente di commergio

L'influencer (o lo youtuber) è un agente di commercio: spunti di riflessione.

L'influencer spesso svolge un'attività di promozione delle vendite dietro retribuzione di un corrispettivo: questo fa di lui un agente di commercio?

Per potere inquadrare giuridicamente la figura dell’influencer, bisogna partire da una breve un’analisi dell’attività da questi svolta, cercando di darne una, seppur generica, definizione.  L’influencer, come dice la parola stessa, è un soggetto che è in grado di influenzare le opinioni e gli atteggiamenti di altre persone, in ragione della sua reputazione e autorevolezza rispetto a determinate tematiche o aree di interesse.[1]

In particolare, il marketing influencer è un esperto di settore (che può andare dal fashion, ai viaggi, dalla musica, alla tecnologia, etc.) che, con i propri post, permette di offrire maggiore visibilità a prodotti o servizi da lui promossi, avvalendosi dei canali web che ritiene più opportuni ed adeguati (Instagram, Youtube, Facebook, un blog personale, etc.).

L’influencer proprio per il ruolo determinante che svolge all’interno dei processi comunicativi, viene spesso incaricato dalle imprese del settore in cui esso opera, per pubblicizzare i loro prodotti, andando così a svolgere un’attività promozionale delle vendite, che viene retribuita tramite il pagamento di un compenso.

Proprio perché l’influencer spesso svolge un’attività di promozione delle vendite dietro retribuzione di un corrispettivo, tipica della ben più nota figura dell’agente di commercio, può sorgere la domanda se l’influencer (in alcune ipotesi), possa essere accumunato a tale figura contrattuale (cfr. sul punto Ma le piattaforme online sono agenti di commercio?)

Prima di procedere a tale analisi, è importante chiarire che, con il presente articolo, si vogliono dare alcuni spunti di riflessione, volti principalmente a cercare di meglio inquadrare le nuove modalità di intermediazione, con l’intento di “monitorare” lo sviluppo delle tecniche distribuzione, tramite l’ausilio delle nuove tecnologie.

Qualora il rapporto contrattuale tra azienda ed influencer sia regolato da un accordo scritto, il punto di riferimento dell’attività dell’interprete deve essere certamente in primo luogo il testo della dichiarazione negoziale.

Ad ogni modo, seppure il testo negoziale rappresenti il primo parametro interpretativo, per una corretta esegesi non ci si deve limitare “al testo letterale delle parole” (art. 1362 c.c.), ma occorre ricercare, attraverso un esame complessivo dell’atto, interpretando le clausole del negozio “le une per mezzo delle altre” (art. 1363 c.c.), quale sia stato il risultato perseguito con il compimento dell’accordo, ossia quale sia stata “la comune intenzione delle parti”, vale a dire il significato che entrambe attribuivano all’accordo[2].

Per risalire alla volontà delle parti bisognerà tenere conto di come si è sviluppato effettivamente il rapporto che lega l'influencer alla società produttrice, andando ad analizzare alcuni degli elementi contrattuali tipici dell’agenzia, ovvero se:

  1. sussiste o meno un’attività di consulenza, oltre a quella di promozione delle vendite;
  2. è previsto un obbligo di stabilità dell’incarico;
  3. l'azienda ha il potere di impartire le linee guida e le strategie di mercato dell’influencer;
  4. sussiste un divieto di non concorrenza contrattuale;
  5. è previsto un pagamento provvigionale, basato sulle vendite effettuate.

Non essendoci un unico e “risolutivo” elemento che permette di comprendere se un determinato rapporto possa essere qualificato come agenzia, dovranno essere considerati nel singolo caso di specie i differenti elementi tipici di tale figura contrattuale, tenendo presente che nessuno di essi permette da solo di inquadrare correttamente il rapporto, dovendosi piuttosto effettuare una valutazione complessiva dell’insieme degli stessi.[3]


1. Sussiste un’attività di consulenza, affiancata a quella di promozione?

Talvolta i rapporti contrattuali che legano gli influencer alle aziende vengono disciplinati da dei contratti di consulenza, retribuiti tramite il pagamento di un compenso fisso, talvolta affiancato ad un compenso variabile, calibrato sulle vendite generate dall’attività promozionale dell’influencer.

È infatti indubbio che spesso l’influencer svolge una e vera propria attività di consulenza, essendo questi un professionista che conosce il mercato dei social e l’azienda lo contatta, non solo per la sua notorietà, ma altresì per comprendere in che maniera pubblicizzare i prodotti tramite l’utilizzo di piattaforme digitali.

È anche vero che è tutt’altro che insolito che i post e i video pubblicati siano “accompagnati” da un link, che reindirizza il consumatore verso un determinato negozio online (che può essere sia del produttore, che di un soggetto terzo), ove è possibile acquistare il prodotto pubblicizzato dall’influencer.

L’eventuale acquisto da parte del consumatore tramite l’utilizzo di tale link viene tracciato, permettendo così alle parti di verificare le vendite effettivamente realizzate tramite l’attività promozionale dell’influencer, su cui eventualmente calcolare i compensi variabili.

In tal caso, ci si troverebbe di fronte ad un contratto c.d. “misto, costituito dalla fusione delle cause di due contratti: un contratto di intermediazione e un contratto d’appalto di servizi di consulenza. Secondo la giurisprudenza, nel caso le parti stipulino un contratto avente tale natura mista, lo stesso dovrà essere assoggettato alla disciplina unitaria del contratto prevalente. Si legge sul punto che:

“Il contratto misto, costituito da elementi di tipi contrattuali diversi, non solo è unico, ma ha causa unica ed inscindibile, nella quale si combinano gli elementi dei diversi tipi che lo costituiscono. Esso è soggetto alla disciplina del contratto prevalente e la prevalenza si determina in base ad indici economici od anche di tipo diverso, come la "forza" del tipo o l'interesse che ha mosso le parti, salvo che gli elementi del contratto non prevalente, regolabili con norme proprie, non siano incompatibili con quelli del contratto prevalente.[4]

Alla luce di quanto sopra, per comprendere a quale categoria assoggettare il rapporto di intermediazione/consulenza, bisognerà fare riferimento a come si è sviluppato effettivamente il rapporto nel corso degli anni e verificare se l’attività di consulenza abbia o meno prevalenza su quella di intermediazione, rilevando che, in caso affermativo, sarebbe più complesso considerare il rapporto come un contratto di agenzia (Differenze principali tra il contratto di agenzia e il contratto di distribuzione commerciale).


2. Assenza di un obbligo di stabilità dell’incarico

Per comprendere se il rapporto tra azienda ed influencer possa essere assoggettato alla disciplina dell’agenzia, è certamente essenziale accertare che l’attività di promozione delle vendite (e non unicamente del posizionamento del brand) venga effettuata con stabilità. Come si è già avuto modo di approfondire (cfr. Quale è la differenza fra contratto di agenzia e procacciatore di affari?)  è proprio l’obbligo di promuovere con stabilità le vendite uno degli elementi distintivi del contratto di agenzia.  Si legge in giurisprudenza che:

“mentre l'agente è la parte che assume stabilmente l'incaricodi promuovere per conto dell'altra (preponente o mandante), la conclusione di contratti in una zona determinata, il procacciatore d'affari è colui che raccoglie le ordinazioni dei clienti, trasmettendole alla ditta da cui ha ricevuto l'incarico di procacciare tali commissioni, senza vincolo di stabilità (a differenza dell'agente) e in via del tutto occasionale […].

Quindi, mentre la prestazione dell'agente è stabile, avendo egli l'obbligo di svolgere l'attività di promozione dei contratti, la prestazione del procacciatore è occasionale, nel senso che dipende esclusivamente dalla sua iniziativa.[5]

Se l’accertamento della stabilità dell’incarico è un’attività già complessa in caso di intermediazione “tradizionale”, lo è certamente ancora di più se l’attività di promozione viene effettuata online. Si pensi al (non raro) caso di un influencer che effettua la recensione di un prodotto su youtube. L’attività che questi pone in essere è creare un video e postarlo sulla piattaforma.

Gli effetti di tale attività promozionale, in ogni caso, perdurano nel tempo, a volte per mesi o addirittura anni (normalmente fino a che il prodotto recensito non viene superato da un nuovo prodotto lanciato dalla casa madre, oppure fino a quanto il video non viene cancellato dal web). In tale caso, bisognerebbe comprendere se tale attività di promozione che dispiega i suoi effetti nel tempo, possa o meno essere considerata come “stabile” ai sensi di un rapporto di agenzia.

Se a questa domanda non è certamente facile dare una risposta univoca, è certamente privo di dubbi consigliare di disciplinare contrattualmente le modalità di pagamento dei compensi sulle vendite veicolate da tale post realizzate successivamente la cessazione del rapporto di collaborazione tra influencer ed azienda.

(Sul tema, cfr. Le provvigioni dell’agente di commercio per gli affari conclusi dal preponente dopo lo scioglimento del rapporto; …ma se l’agente di commercio ha procurato contratti di lunga durata e il rapporto si scioglie prima della loro scadenza…).


3. Obbligo del preponente di impartire le linee guida e strategie di mercato

Un secondo punto distintivo della figura dell’agente di commercio è sicuramente costituito dall’obbligo che lo stesso assume di seguire le istruzioni del preponente, il quale è il soggetto preposto a decidere le politiche di mercato e impartire le strategie commerciali alla rete distributiva. L’art. 1746, comma 1, c.c., dispone espressamente che l’agente deve:

adempiere l’incarico affidatogli in conformità delle istruzioni ricevute […]”.[6]

Nel rapporto di agenzia compete alla casa mandante l’elaborazione delle strategie di vendita e di marketing, strategie di cui, normalmente, gli agenti fanno parte e a cui gli stessi dovranno attenersi per lo svolgimento dei propri compiti, sempre entro i limiti prescritti dalla casa mandante.

Ne consegue che l’agente ha il dovere di seguire le istruzioni del preponente ed è obbligato ad operare conformemente alle sue prescrizioni, anche relativamente agli obiettivi da perseguire ed ai risultati da raggiungere, non potendosi esimere dall’adottare determinate modalità di vendita o tecniche di marketing messe a punto dal preponente.[7]

Ancora una volta, come si è già avuto modo di analizzare al punto 1 di tale articolo, bisognerà verificare con grande attenzione se l’influencer sia tenuto a seguire le direttive generali dell’azienda, oppure se sia lui stesso che indirizza l’azienda nelle scelte di strategia e marketing nel settore si sua competenza (in tema cfr. Il contratto di agenzia e il rapporto di lavoro subordinato: criteri distintivi e parametri valutativi.).


4. Assenza del divieto di concorrenza

L’art. 1742 c.c. dispone che:

Il preponente non può valersi contemporaneamente di più agenti nella stessa zona e per lo stesso ramo di attività, né l'agente può assumere l'incarico di trattare nella stessa zona e per lo stesso ramo gli affari di più imprese in concorrenza tra loro.

Secondo giurisprudenza costante il divieto di concorrenza costituisce elemento naturale, ma non essenziale del contratto di agenzia[8], con la conseguenza che le parti sono libere di regolare diversamente i loro rapporti sia con una pattuizione espressa, sia a mezzo di un comportamento concludente[9] (in tema cfr. anche L’esclusiva di zona nel contratto di agenzia e Contratto di agenzia, esclusiva e provvigioni indirette.).

Seppure un agente sia di norma libero di agire promuovendo più prodotti in concorrenza tra loro, tale modalità di promozione così “aperta” è certamente anomala e si riscontra in un numero più limitato di rapporti contrattuali.

Calando tale principio al caso di specie, si potrebbe affermare che se un influencer svolge la propria attività in favore di diverse aziende tra loro concorrenti, senza che nessuno dei soggetti intermediati sollevi qualsiasi contestazione su dette modalità di operare, tale elemento potrebbe essere un indizio che, seppure di per se non può assolutamente escludere che il rapporto possa essere inquadrato come agenzia, se congiunto a quelli già sopra analizzati, potrebbe essere una componente che può influire sulla sua classificazione


5. Pagamento delle provvigioni

Qualora il contratto preveda espressamente quale modalità di calcolo del corrispettivo dell’influencer il pagamento provigionale, questo non può da solo ritenersi un elemento sufficiente per potere identificare il rapporto come agenzia. Le parti, infatti, sia che intendano stipulare un contratto di intermediazione, sia che vogliano concludere un contratto di consulenza/appalto di servizi, possono liberamente (ex art. 1322 c.c.) definire le modalità retributive che ritengono essere le più adeguate ed idonee al caso di specie.  

Basti pensare che, nell’ipotesi in cui il rapporto dovesse essere inquadrato come un contratto atipico di fornitura di servizi, l’art. 1657 c.c. in tema di appalti, conferisce alle parti la piena libertà di decidere quali siano le modalità di pagamento e conteggio delle prestazioni, che pertanto può essere anche di natura provvigionale.

Ciò premesso, non si può comunque negare che il pagamento dell'attività tramite il riconoscimento di una provvigione sia tipico del rapporto di agenzia e non si deve pertanto escludere che di ciò debba esserne tenuto conto in caso di interpretazione del rapporto contrattuale.

Qualora, il rapporto venisse retribuito unicamente con un compenso in forma fissa, seppure la direttiva europea non esclude la conciliabilità di tale modalità retributiva con la figura dell’agente, la giurisprudenza italiana (criticata da parte della dottrina[10]) si è dichiarata contraria a tale tesi,[11] ritenendo che in tal caso l’intermediario non assumerebbe alcun rischio di impresa, caratteristica che contraddistingue la figura dell’agente.

Diversa cosa, invece, se il rapporto dovesse essere retribuito tramite il pagamento di una remunerazione mista, con le quali viene abbinata una componente fissa ad una componente variabile. Tale soluzione con cui all’agente viene assicurato un “minimo garantito” viene considerato lecito e compatibile con il rapporto di lavoro d’agenzia.[12]


Quelli sopra analizzati sono solamente alcuni elementi che permettono all’interprete, di capire come meglio inquadrare un rapporto contrattuale “dubbio”, che dovrà comunque essere attentamente analizzato nella sua interezza, verificando i singoli elmenti che caratterizzano tale figura contrattuale così complessa e versatile.


[1] https://www.glossariomarketing.it/significato/influencer/.

[2] TORRENTE – SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, § 311, GIUFFRE EDITORE.

[3] Bortolotti, Contratti di distribuzione, pag. 129, 2016, Wolters Kluwer.

[4] Cfr. Trib. Cagliari, 4. 5.2017; Trib. Firenze Decreto, 2.11.2016, Trib. Taranto Sez. I, 11.8.2016, Trib. Milano Sez. VII, 29/02/2012; Cass. civ. Sez. Unite, 12.5.2008, n. 11656.

[5] Tribunale di Firenze Sez. lavoro, 4.3.2014.

[6] Tale obbligo si riscontra altresì nell’art. 5, comma 2, AEC Industria 2014 ed nell’art. 3, comma 2, AEC commercio 2009.

[7] Sul punto cfr. anche Bortolotti, contratti di distribuzione, Wolters Kluwer, 2016, pag. 166 e ss.

[8] Cass. Civ. 2002 n. 5920, Cass. Civ. 1994 n. 2634, Cass. Civ. 1992 n. 5083.

[9] Cass. Civ. 2007 n. 21073, Cass. Civ. 1992 n. 5083.

[10] PERINA – BELLIGOLI, Il rapporto di agenzia, pag. 27, Giappichelli Editore; Saracini-Toffoletto, p. 327 ss.

[11] Cass. Civ. 1986 n. 3507; Cass. Civ. 1991 n. 10588; Cass. Civ. 2012 n. 12776. Tale ultima sentenza si è spinta ad ammettere che “nel rapporto di agenzia le parti possono prevedere forma di compenso delle prestazioni dell’agente diverse dalla provvigione determinata in misura percentuale sull’importo degli affari conclusi (come ad esempio una somma fissa per ogni contratto concluso”, ma senza spingersi a riconoscere che la remunerazione in forma provigionale possa essere del tutto sostituita da una retribuzione fissa.

[12] Cfr. sul punto Cass. Civ. 1975 n. 1346; Cass. Civ. 1980 n 34; Trib. Di Milano 9 settembre 2011.


coronavirus contratti di distribuzione contratti di agenzia

Gli effetti del coronavirus sui contratti di agenzia e di distribuzione.

Le misure restrittive che il governo ha adottato contro il coronavirus tramite il DCPM del 11.3.2020,[1] hanno portato alla sospensione di un gran numero di attività commerciali, con grave incidenza sui rapporti contrattuali in essere. Con questo articolo si cercherà di focalizzare l’attenzione sui contratti di agenzia e di distribuzione, cercando di comprendere quelli che sono i rimedi che vengono forniti dal nostro ordinamento per gestire le problematiche che più verosimilmente potranno insorgere tra le parti.

In materia contrattuale, a seguito del succitato provvedimento ministeriale, il legislatore non è intervenuto con provvedimenti ad hoc (si riscontrano unicamente in tema di agenzia alcuni provvedimenti di carattere prevalentemente tributario e contributivo),[2] limitandosi a disporre all’art. 91 Decreto Legge 18 marzo 2020, meglio conosciuto come “Cura-Italia”, in tema di “disposizioni in materia ritardi o inadempimenti contrattuali derivanti dall'attuazione delle misure di contenimento”,quanto segue:

“il rispetto delle misure di contenimento di cui presente decreto è sempre valutata ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti.”

Il senso di tale provvedimento normativo sembrerebbe demandare al giudice una valutazione più accurata e prudenziale di un eventuale inadempimento colpevole (art. 1218 c.c.) causato dal “rispetto delle misure di contenimento” della pandemia, anche ai fini della quantificazione del danno (art. 1223 c.c.), elevando il rispetto di tali misure a parametro di valutazione dell’imputabilità e dell'importanza dell’inadempimento (art. 1455 c.c.).

1. La disciplina civilistica.

Come è noto, l’art. 1218 c.c. fissa i criteri per determinare la responsabilità del debitore che non adempie la propria obbligazione, prevedendone l’esonero di una sua responsabilità per danni (art. 1223 c.c.) ogni qualvolta l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione, derivante da causa a lui non imputabile (ex art. 1256 c.c.).[3]

L’art. 1256 c.c. prevede altresì che l’impossibilità sopravvenuta possa portare all’estinzione dell’obbligazione, dovendosi comunque distinguere tra la fattispecie di impossibilità definitiva e impossibilità temporanea. Mentre la prima, essendo irreversibile, estingue l’obbligazione automaticamente (ex art. 1256, 1 comma c.c.), la seconda determina l’estinzione dell’obbligazione solo se perdura fino a quando, in relazione al titolo dell’obbligazione, il debitore non può più essere tenuto obbligato ad eseguire la prestazione, ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla.[4]

Posto che nei contratti a prestazioni corrispettive l’impossibilità di eseguire un’obbligazione, non sempre comporta automaticamente l’impossibilità di adempiere la controprestazione (ad es. se il venditore non può consegnare un prodotto, il compratore potrà essere ancora in grado di pagare il prezzo della cosa venduta)[5] il legislatore ha inteso tutelare la parte che ha subito l’inadempimento, disponendo all’art. 1460 c.c. che ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la propria obbligazione, se l’altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria, salvo che non sia diversamente pattuito contrattualmente (quindi il venditore può rifiutare di provvedere al pagamento, se il produttore non consegna la merce).

Tale eccezione potrà comunque essere sollevata solamente se vi è proporzionalità tra le due prestazioni, tenuto conto della loro rispettiva incidenza sull'equilibrio del rapporto.[6]

Al fine di evitare che il rapporto contrattuale si trasformi in un “limbo” in cui entrambe le parti si limitino unicamente a dichiarare di non volere adempiere alle loro rispettive obbligazioni, qualora l’inadempimento (nel nostro caso del venditore) dipende da fattori esterni sopravvenuti (ad es. le misure sospensive del covid-19) il legislatore (riprendendo i principi generali dettati in tema di risolubilità del contratto per inadempimento, di cui all’art. 1453 c.c.), conferisce alla parti alcuni rimedi, per i casi in cui l’impossibilità sia totale, oppure solamente parziale.

L’art. 1463 c.c. (impossibilità totale) prevede che la parte che è stata liberata dalla propria obbligazione a causa della sopravvenuta impossibilità di adempiere alla stessa (ad es. il venditore che a causa del covid-19 non può più consegnare la frutta che è deperita, in quanto non è stato possibile effettuare la raccolta durante la pandemia), non può pretendere la controprestazione (quindi pagamento del prezzo) e deve altresì restituire ciò che ha eventuamente già ricevuto (ad esempio un anticipo).

L’art. 1464 c.c. (impossibilità parziale) dispone invece che quando la prestazione di una parte è divenuta parzialmente impossibile (ad esempio consegna del 50% della merce venduta), l’altra parte ha diritto a una corrispondente riduzione della prestazione da essa dovuta (pagamento del 50% della merce consegnata), ovvero può sciogliere il contratto, qualora non abbia un interesse apprezzabile all’adempimento parziale.

Quindi, mentre nel caso di impossibilità totale l’estinzione del rapporto contrattuale opera di diritto, in quella parziale la parte che subisce l’inadempimento può optare tra un adempimento parzialmente proporzionato, ovvero (se vi è un interesse apprezzabile) alla risoluzione del rapporto contrattuale.

Ancora differente è la fattispecie disciplinata dagli art. 1467 c.c. ss., relativa ai rapporti a prestazione continuata o periodica, ovvero a esecuzione differita, ove a causa di fattori esterni l’adempimento della prestazione di una delle parti richieda degli sforzi che sono eccessivi e sproporzionati, rispetto a quelli che erano richiedibili una volta che il rapporto era stato stipulato. Anche in tal caso, la parte che subisce l’eccessiva onerosità della prestazione, potrà domandare la risoluzione del rapporto contrattuale, qualora si venga a creare un grave squilibrio economico tra prestazione e controprestazione.

In questo caso, la parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo (ex art. 1467, comma 3 c.c.) di modificare equamente le condizioni del contratto fino a ricondurre il rapporto tra le prestazioni entro i limiti dell’alea normale del contratto.

È assai importante sottolineare quindi che l’ordinamento non prevede un obbligo delle parti a rinegoziare e riprogrammare il rapporto medesimo, potendosi riscontrare tale fattispecie unicamente nell’ipotesi qui sopra richiamata. A parere di chi scrive, tale obbligo non si può neppure ricavare da un’applicazione estensiva del principio di buona fede di cui all’art. 1374 c.c., che ha ad oggetto la differente fattispecie di “integrazione del contratto”, nei casi di incompleta o ambigua espressione della volontà dei contraenti (e non di modifica dei termini pattizi, in caso di variazioni della posizione di equilibrio del rapporto contrattuale per fatti non imputabili alle parti).[7]

Tenuto conto che questi sono gli strumenti offerti dall’ordinamento, andiamo qui di seguito a cercare di rispondere ad alcune di quelle che sono le problematiche che potranno emergere nell’ambito della distribuzione commerciale, tenuto conto che il richiamo del legislatore agli istituti di cui agli art. 1218 c.c. e 1223 c.c., fa pensare che la preoccupazione del legislatore fosse soprattutto di mantenere in vita i rapporti contrattuali, laddove possibile e rispondente all’interesse delle parti.[8]


2. Effetti sui contratti di distribuzione
2.1. Cosa succede se il produttore non può più rifornire i propri distributori e/o clienti a causa del coronavirus?

In linea di massima, qualora il produttore non possa rifornire i propri distributori a causa di un blocco e/o rallentamento della produzione dovuta all’attuazione delle misure restrittive governative, questi non potrà essere ritenuto responsabile per tali ritardi se l'impossibilità era originaria (quindi non conosciuta al momento in cui era sorta l'obbligazione) e si sia verificata dopo la mora del debitore (art. 1219 c.c.), trovandosi il contratto in uno stato di “quiescenza”.

Se per la consegna della merce era stato previsto (espressamente o implicitamente)[9] un termine essenziale (art. 1457 c.c.), il rapporto si risolverà di diritto una volta scaduto il termine.

Qualora invece il termine della consegna della merce non sia essenziale, il rapporto contrattuale si estingue se l’impossibilità perdura fino a quanto questi non può più essere ritenuto obbligato a eseguirla, ovvero qualora nelle more venga meno l’interesse dell’acquirente a ottenere la prestazione.[10] È fatto comunque salvo il diritto dell’acquirente di non sciogliere il rapporto e chiedere unicamente una riduzione del prezzo, qualora la prestazione venga/possa essere eseguita solamente parzialmente (consegna ad es. di un solo lotto della merce acquistata).

2.2. L'accordo di distribuzione può essere risolto a causa degli della pandemia?

La tematica dello scioglimento del rapporto di distribuzione è stata già trattata in questo blog e si richiama tale articolo per eventuali approfondimenti.

Il recesso dal contratto di concessione di vendita (o di distribuzione che dir si voglia…).

Come si è avuto di spiegare (brevemente) nella parte introduttiva dell’articolo, la parte che “subisce” l’inadempimento temporaneo, può risolvere il rapporto se non ha interesse alla continuazione parziale della prestazione. Pertanto, posto che a causa del covid-19 il rapporto di distribuzione viene interrotto per un termine che può essere più o meno prolungato, l’interesse alla continuazione del contratto di distribuzione deve essere certamente calibrato tenuto conto principalmente di due fattori: la durata effettiva dell'evento (in questo caso la pandemia) e la durata residua del contratto.

In linea di massima, si può affermare che tanto più prolungati saranno gli effetti del blocco e tanto più prossima sarà la data di scadenza naturale del rapporto, tanto maggiori saranno le possibilità di risolvere il rapporto obbligatorio. Certamente in tale valutazione, si dovrà altresì tenere conto di quelli che sono gli effetti indiretti delle misure restrittive, collegati ad una ragionevole aspettativa di una delle parti del perpetuarsi di un calo assai importante del commercio anche a seguito del venir meno del blocco.

Inoltre, qualora una delle parti sia contrattualmente tenuta a sostenere costi elevati per il mantenimento del rapporto di distribuzione (locazione, dipendenti, collaboratori, showroom, etc.) che rendono la collaborazione di fatto non più sostenibile, questi potrà valutare di risolvere il rapporto per eccessiva onerosità ex. art. 1467 c.c.

In questo caso, la parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo (art. 1467, comma 3 c.c.) di modificare equamente le condizioni del contratto fino a ricondurre il rapporto tra le prestazioni entro i limiti dell’alea normale del contratto.

2.3. Le parti possono non rispettare il patto di non concorrenza?

Il patto di concorrenza nei rapporti di distribuzione (e di agenzia) può essere pattuito in duplice modo, ossia:

  • il produttore si impegna a rifornire solamente il distributore in un determinato territorio;
  • il distributore si impegna ad acquistare determinati prodotti solamente dal produttore.

Se a causa del covid-19 il produttore non può più rifornire il proprio distributore perché gli è stato imposto il blocco della produzione, ovvero il distributore non può più eseguire la propria prestazione a causa del blocco, nonostante il produttore abbia la possibilità di rifornirlo (ad es. perché aveva in stock il materiale), ci si chiede se la parte che non ha più interesse a mantenere l’obbligo di non concorrenza per fatto imputabile all'altro contraente, possa decidere di non adempiere ai propri obblighi utilizzando gli strumenti giuridici qui sopra richiamati.

Partendo dal presupposto che l’ordinamento non prevede alcun obbligo delle parti di rinegoziare l’originario assetto contrattuale,[11] non si ritiene possa desumersi l’esistenza di un principio che autorizzi una parte a obbligare l’altra a modifica il contratto in funzione di un riequilibrio.

Ne consegue che una sospensione temporanea della clausola di non concorrenza (a parere di chi scrive) non è giuridicamente fondata, se ciò non deriva da un accordo di entrambe le parti. Contrariamente, qualora il divieto di svolgere attività “in concorrenza” per il periodo in questione crei delle condizioni non sostenibili, si può eventualmente considerare l’ipotesi di risolvere il rapporto contrattuale per impossibilità sopravvenuta, oppure per eccessiva onerosità.

2.4. I budget pubblicitari devono essere forniti e spesi come concordato anche se la distribuzione non è possibile a causa della pandemia?

Qualora una delle parti sia contrattualmente tenuto a sostenere dei costi fissi per attività di marketing e pubblicitaria, potrebbe trovarsi nella posizione di decidere di non affrontare tali spese ritenendo che le stesse non siano necessarie a causa del blocco della produzione.

Per comprendere se (e quali) attività di marketing possano essere bloccate, bisogna analizzare la natura delle singole attività di pubblicità/azioni di marketing. Tendenzialmente si può affermare che tutte quelle attività “generali” che servono a mantenere il posizionamento del marchio all’interno del mercato, devono essere eseguite anche in caso di blocco della distribuzione, essendo di fatto necessarie propedeutiche alla riapertura.

Un ragionamento diverso bisognerebbe fare sulle attività di marketing relative alle azioni di vendita che non possono essere eseguite durante la pandemia. In tal caso, il problema non è tanto che tali prestazioni non possono essere eseguite (e quindi permettano di invocare l’impossibilità sopravvenuta), quanto piuttosto il fatto che le stesse non portano alcun vantaggio commerciale al soggetto che le promuove; inoltre molto spesso tali spese non graveranno economicamente così tanto sul soggetto tenuto a sostenerle, da potere sostenere la rottura dell’equilibrio contrattuale e, quindi, permettere di invocare l’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione.

In tal caso, qualora le parti non trovino un accordo, la parte tenuta a svolgere l’attività promozionale, potrebbe avere come unica arma (assai spuntata) quella di decidere di non adempiere e quindi di non svolgere tali attività, puntando essenzialmente sul fatto che l’inadempimento possa essere ritenuto dal giudice (tenuto conto anche dell’art. 91 Decreto Cura Italia sopra richiamato)  di scarsa importanza (art. 1455 c.c.), tenuto conto che la prestazione, non avrebbe comunque portato alcun vantaggio commerciale alle parti.


3. Effetti sui contratti di agenzia
3.1. Il preponente deve ancora pagare un fisso provvigionale/rimborso spese, se concordato contrattualmente?

Soprattutto nei contratti di agenzia, è spesso previsto che l'imprenditore paghi un fisso mensile (a titolo di rimborso spese, oppure come provvigione fissa) a cui normalmente si aggiunge una parte variabile.

In questo periodo, dato che l’attività di promozione è stata di fatto in gran parte bloccata, ci si chiede se il preponente possa decidere di togliere (almeno tale fase) questa parte fissa.

Come si è avuto modo di rilevare, seppure l’ordinamento non prevede uno strumento che legittima una parte a modificare unilateralmente il contratto, non è per nulla atipico riscontrare nei contratti di agenzia delle clausole contrattuali che conferiscono al preponente il diritto potestativo di modificare unilateralmente le provvigioni, il territorio e/o i clienti dell’agente.

Cfr. Le modifiche unilaterali del contratto di agenzia da parte del preponente.

Secondo l’orientamento prevalente della Corte, l’attribuzione al preponente di tale potere deve “essere giustificata dalla necessità di meglio adeguare il rapporto alle esigenze delle parti, così come si sono modificate durante il corso del tempo”.[12] Si può quindi ritenere che l’adeguamento del compenso provvigionale a causa del covid-19, possa essere attuato legittimamente, solamente se vi sia una clausola contrattuale che preveda tale facoltà in capo al preponente, il quale sarà comunque tenuto ad avvalersene in maniera ragionevole ed adeguata.

Diverso discorso, invece, se al contratto di agenzia si applicano gli AEC, i quali conferiscono sì da un lato la possibilità del preponente di modificare le provvigioni dell’agente, ma dall’altro lato il diritto dell’agente di rifiutare le modifiche e chiudere il rapporto per giusta causa se tali modifiche siano significative (sul tema cfr. modifiche provvigioni in base agli AEC). Si ritiene che tale norma non possa essere alterata a favore del preponente neppure tenuto conto dell'impatto che il covid-19 ha avuto sulla rete vendita del preponente, il quale dovrà essere consapevole che una eventuale modifica delle provvigioni, potrà condurre a uno scioglimento del rapporto per giusta causa da parte del proprio agente.

3.2. Cosa devono fare gli agenti se non possono visitare i propri clienti?

È chiaro che se l’agente che non può più andare a visitare i propri clienti, non potrà essere costretto a svolgere tali adempimenti; inoltre, se prima della pandemia questi non svolgeva alcuna attività di promozione online e non era contrattualmente obbligato a fare ciò, il preponente non potrà certamente imporre al proprio agente degli sforzi sproporzionati, richiedendo a questi di iniziare una attività di promozione “telematica”, tramite l’utilizzo di nuovi strumenti informatici.

3.3. Quali sono le conseguenze del mancato raggiungimento dei minimi di fatturato a causa del covid-19?

Negli ultimi anni, si sta sempre più affermando l’orientamento giurisprudenziale[13] che, seppure conferma la pacifica applicabilità della norma generale di cui all’art. 1456 c.c.  in tema di clausola risolutiva espressa, ha tuttavia precisato che al fine di azionare legittimamente il relativo meccanismo risolutorio, il giudice deve comunque accertare la sussistenza di un grave inadempimento, integrante gli estremi della giusta causa.[14]

Cfr. La clausola di “minimi di fatturato” nel contratto di agenzia.

Seguendo tale orientamento, il mancato raggiungimento dei minimi di fatturato a causa del covid-19, non potrà essere considerato di per sé inadempimento tale da legittimare uno scioglimento del rapporto per fatto imputabile all’agente, dovendo comunque il giudice valutare caso per caso l'effettiva imputabilità e colpevolezza di tale inottemperanza.

3.4. L'agente commerciale conserva il diritto alla provvigione se il cliente scioglie il contratto con il preponente a causa del coronavirus?

Se il cliente risolve il contratto con il preponente a causa del coronavirus (ad esempio perché il suo negozio ha dovuto chiudere o i suoi trasportatori si sono fermati), si pone la questione se l'agente commerciale perda il diritto alla provvigione ai sensi dell’art. 1748 c.c.

L'attuale art. 1748, 6 comma c.c. prevede che l'agente è tenuto a restituire le provvigioni riscosse nella sola ipotesi in cui il contratto tra preponente e terzo non è stato eseguito per cause non imputabili al preponente (norma tra l'altro inderogabile dalle parti).

La nozione di causa imputabile al preponente è stata intesa come qualsiasi comportamento doloso o colposo del preponente che abbia determinato la mancata esecuzione del contratto.[15]

Posto che l'inadempimento contrattuale del cliente per impossibilità e/o eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione (a causa del coronavirus) non è un fatto imputabile al preponente, l’agente non avrà diritto a percepire la provvigione su tale affare e sarà tenuto a restituirla al nel caso in cui questa fosse stata già integralmente o parzialmente versata.

3.5. Le ripercussioni sulle indennità di mancato preavviso e fine rapporto.

Come è noto le parti hanno il diritto di chiudere il rapporto riconoscendo all’altra parte un preavviso. L’agente a seguito dello scioglimento del contratto ha diritto ad un’indennità di fine rapporto, salvo il fatto che:

  • il preponente risolve il contratto, per un fatto imputabile all’agente;
  • l’agente recede dal contratto, per fatto imputabile all’agente.

Tenuto conto di quanto sopra esposto, si può ragionevolmente sostenere che i ragionamenti fatti al precedente paragrafo "L'accordo di distribuzione può essere risolto a causa degli effetti della pandemia di Corona?” possano essere in linea di massima validi anche per il contratto di agenzia, dovendo comunque essere consapevoli che è comunque necessario operare con massima attenzione e consapevolezza prima di procedere alla chiusura del rapporto contrattuale, valutando prudenzialmente caso per caso.

Una cosa comunque è certa, che tale pandemia avrà un rilevante effetto sui calcoli dell’indennità di fine rapporto e di mancato preavviso per tutte le cessazioni dei contratti che avvengono in prossimità dell’arrivo della pandemia.

Se tali indennità dovessero venire eccessivamente distorte a causa del quadro economico collegato al covid-19, ci si chiede se l'agente possa integrarle avvalendosi del diritto garantito dall'art. 1751, comma 4 c.c., che riconosce all'agente il diritto di richiedere un risarcimento del danno ulteriore rispetto a suddette indennità.

L’orientamento prevalente sostiene che i danni che l'agente può richiedere in aggiunta all'indennità siano unicamente quelli da inadempimento o fatto illecito.[16] Ne consegue che sarà assai complesso per l’agente richiedere ulteriori somme, oltre quelle a questi riconosciute a titolo di indennità di fine rapporto, tenuto conto che il calo di fatturato (che ha comportato la diminuzione delle indennità), difficilmente potrà essere imputabile ad una colpa del preponente.


[1] Misure urgenti di contenimento del contagio sull’intero territorio nazionale.

[2] Limatola, Novità in materia di contratti di agenzia nel mese di aprile 2020.

[3] Trabucchi, Istituzioni di diritto civile, § 310, CEDAM.

[4] Torrente – Schlesinger, Manuale di diritto privato, §210, Giuffrè Editore.

[5] In tal caso non rileveranno in ogni caso le difficoltà finanziare del debitore, sul punto Cfr. Gazzoni, Manuale di diritto privato, Edizioni Scientifiche Italiane.

[6] Cass. Civ. 2016, n. 22626.

[7] Sul punto, cfr. Vertucci, L’inadempimento delle obbligazioni al tempo del coronavirus: prime riflessioni, ilcaso.it

[8] Vertucci, op. cit.

[9] Cfr. Cass. Civ. Cass. del 2013, n. 3710: l’essenzialità è una caratteristica che deve risultare o dalla volontà espressa delle parti o dalla natura del contratto.

[10] Cfr. sul punto Studio Chiomenti, Incidenza del Covid-19 sui contratti.

[11] Cfr. sul punto Vertucci, op. cit.

[12] Cfr. Cass. Civ. 2000, n. 5467.

[13] Cass. Civ. 2011, n. 10934, Cass. Civ. 2012, n. 8295.

[14] Venezia, Il recesso, la giusta causa e la clausola risolutiva espressa nel contratto di agenzia, marzo 2020, La consulenza del lavoro, Eutekne.

[15] Toffoletto, Il contratto di agenzia, Giuffrè.

[16] Bortolotti, Indennità di cessazione e risarcimento di danni ulteriori, www.mglobale.it