Il nuovo regolamento sulle vendite verticali ha introdotto per la prima volta una disciplina delle vendite online, introducendo all’art. 4 lett. e) un generico divieto di impedire “l’uso efficace di internet” da parte dell’acquirente o dei suoi clienti per vendere i beni o servizio oggetto del contratto.

Il precedente regolamento (330/2010) non disciplinava direttamente eventuali restrizioni sulle vendite online e tali tematiche erano state sviluppate unicamente attraverso un’importante evoluzione giurisprudenziale, tra cui spiccano due sentenze della Corte di Giustizia considerate pietre miliari nel settore.

In questo articolo si analizzeranno brevemente i principali impatti che le nuove normative possono avere sulle vendite online nei diversi sistemi distributivi, ossia esclusivo, selettivo e libero, con l’obiettivo di fornire una panoramica generale (evitando eccessivi tecnicismi) e aiutare gli operatori del settore a orientarsi in un contesto sempre in evoluzione e tutt’altro che lineare.

1. Le vendite online nel precedente regolamento 330/2010.

Come accennato, in assenza di una disciplina legislativa, la Corte di Giustizia ha contribuito a regolamentare una tematica assai importante attraverso due sentenze, che sono tuttora attuali e aiutano a interpretare anche la novella introdotta dal vigente regolamento.

La prima, del 13 ottobre 2011, relativa al caso Pierre Fabre.[1] In tale circostanza, la società produttrice di cosmetici e prodotti per l’igiene personale aveva adottato un sistema di distribuzione selettiva che imponeva la presenza fisica e permanente di un farmacista laureato nel punto vendita, al fine di fornire una consulenza adeguata ai consumatori. Quindi la società non aveva direttamente vietato la vendita online, ma l’aveva resa di fatto impraticabile subordinandola a una condizione irrealizzabile. La Corte ha stabilito che tale disposizione comportava (di fatto) un divieto assoluto di utilizzare Internet, ritenendo la disposizione contrattuale contraria alle norme sulla libera concorrenza europea e al regolamento antitrust, con l’effetto di rendere nullo l’intero accordo.

La seconda sentenza, nota come “Coty Germany”, del 6 dicembre 2017,[2] riguardava l’ammissibilità, in un contratto di distribuzione selettiva, della clausola che vieta ai distributori di utilizzare, per la vendita dei prodotti contrattuali, piattaforme di terzi riconoscibili (come, ad esempio, Amazon), ossia piattaforme che recano un nome diverso da quello dei prodotti del fornitore.

La questione era stata portata davanti al tribunale di Francoforte, il quale aveva deciso che la clausola doveva considerarsi contraria al divieto previsto dall’art. 101(1) e non autorizzabile ai sensi del par. 3 della stessa norma, né in virtù del regolamento di esenzione allora in vigore (330/2010), poiché in contrasto con l’art. 4, lett. b) e c) del medesimo regolamento. In appello, l’Oberlandesgericht Frankfurt ha deciso di sottoporre alla Corte di Giustizia una questione pregiudiziale relativa alla legittimità di tale clausola.

La Corte di Giustizia ha stabilito che il divieto, imposto ai membri di una rete selettiva di prodotti di lusso, di utilizzare in maniera riconoscibile imprese terze per le vendite tramite Internet:

  1. non viola l’art. 101, comma 1 del TFUE “qualora tale clausola sia diretta a salvaguardare l’immagine di lusso di detti prodotti, sia stabilita indistintamente e applicata in modo non discriminatorio, e sia proporzionata rispetto all’obiettivo perseguito, circostanze che spetta al giudice del rinvio verificare”;
  2. non costituisce una restrizione della clientela ai sensi dell’art. 4, lett. b), di tale regolamento, né una restrizione delle vendite passive agli utenti finali ai sensi dell’art. 4, lett. c) del medesimo regolamento.

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2. L’uso efficace di internet e le novità introdotte dal regolamento 720/2022

Come sottolineato, il regolamento introduce all’art. 4 lett. e) un divieto ampio che preclude ai fornitori la possibilità di limitare in modo significativo l’accesso a internet. Data l’ampiezza di questo divieto, le Linee Guida sono volte a chiarirne il significato e a offrire indicazioni concrete agli operatori del settore. In particolare, precisano che le restrizioni all’utilizzo ottimale di internet non sono imputabili soltanto a divieti espliciti, ma emergono anche attraverso limitazioni indirette, fornendo esempi di tali restrizioni indirette. Si richiamano alcuni di questi esempi:[3]

  • Impedire al distributore e ai suoi clienti di accedere al proprio sito web o negozio online da un territorio diverso, reindirizzandoli verso il negozio online del produttore o di un altro venditore.
  • L’obbligo per il distributore di annullare transazioni online se l’indirizzo del consumatore non è nel territorio dell’acquirente.
  • L’obbligo di vendere i prodotti contrattuali esclusivamente in uno spazio fisico o alla presenza di personale specializzato, e di ottenere l’autorizzazione preventiva del fornitore per le vendite online.
  • Il divieto per l’acquirente di usare marchi commerciali del fornitore nel proprio sito web o di gestire negozi online, indipendentemente dalla loro ubicazione.
  • Il divieto di utilizzare interi canali pubblicitari online, come motori di ricerca o servizi di comparazione prezzi.

Al contrario, generalmente si considerano legittime le clausole contrattuali che richiedono al distributore di:

  • Adottare standard specifici per assicurare la qualità o l’estetica del negozio online, in particolare nel contesto della distribuzione selettiva.
  • Imporre requisiti per la presentazione dei prodotti nel negozio online, come ad esempio un numero minimo di articoli esposti o l’utilizzo dei marchi.
  • Mantenere l’obbligo, per il rivenditore, di gestire negozi o showroom fisici come prerequisito per partecipare alla rete di distribuzione selettiva, vendendo offline una quantità minima, in termini di valore o volume, non proporzionale alle vendite totali.
  • Applicare differenze di prezzo all’ingrosso per i prodotti commercializzati online rispetto a quelli venduti offline. Quest’ultima condizione è considerata accettabile solo se non limita di fatto l’utilizzo di Internet per le vendite e se la variazione di prezzo corrisponde in modo giustificabile agli investimenti e ai costi sostenuti per la vendita attraverso ciascun canale.

Infine, si considerano lecite le restrizioni imposte alla pubblicità online, purché non vietino all’acquirente di sfruttare appieno un canale pubblicitario specifico.[4] Tali limitazioni sono legittime quando, ad esempio, impongono che le campagne pubblicitarie aderiscano a certi standard qualitativi o quando prevedono l’obbligo di evitare l’impiego di servizi pubblicitari online di bassa qualità.

Più in generale, il nuovo Regolamento ha portato interessanti cambiamenti che sono particolarmente rilevanti per la circostanza in esame e che possano avere importanti impatti anche sulla gestione delle vendite online, ossia:

  • La possibilità di trasferire ai clienti diretti del distributore le restrizioni delle vendite attive nei territori assegnati in via esclusiva;[5]
  • La possibilità di strutturare sistemi di distribuzione selettiva più chiusi[6] rispetto a quanto consentito dal regolamento precedente, il quale permetteva implicitamente ai distributori esclusivi di effettuare anche vendite attive all’interno del territorio selettivo e portava di fatto a rendere efficace questo modello solamente se introdotto in tutta Europa (leggi anche: distribuzione selettiva ed esclusiva il sistema misto funziona?);
  • L’introduzione della possibilità di applicare restrizioni sull’uso di internet anche per i distributori esclusivi, tra cui spicca la facoltà di adottare una doppia tariffazione per i prezzi destinati alle vendite online e offline e imporre un minimo di vendite offline quale requisito per la prosecuzione dell’accordo;[7]
  • La facoltà, all’interno di un sistema di distribuzione selettiva, di vietare sia le vendite attive che passive da parte dei dettaglianti agli utenti finali dirette in un territorio coperto da esclusiva.[8]

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3. I modelli distributivi del regolamento 720/2022.

Nonostante il regolamento introduca diverse novità rispetto al modello precedente, l’impostazione di base rimane quella precedentemente sviluppata. Il regolamento consente alle imprese di stipulare accordi verticali seguendo essenzialmente tre modelli:

  • contratti di distribuzione esclusiva, nei quali il produttore concede al distributore un’area di esclusività;
  • contratti di distribuzione selettiva, in cui il produttore sceglie i propri distributori e membri della rete, basandosi su standard qualitativi prestabiliti;
  • contratti di distribuzione libera, in cui non viene riconosciuta alcuna esclusività né si opta per una distribuzione selettiva.

Di seguito vengono ripresi i vari modelli, schematizzando le principali caratteristiche a cui devono attenersi, come delineato dal nuovo regolamento e basato sull’interpretazione delle Linee Guida.

È importante ricordare che il nuovo regolamento specifica che i contratti di distribuzione sono conformi alla normativa antitrust solo se nessuna delle parti detiene una quota di mercato superiore al 30% nel settore di riferimento. In caso contrario, il contratto dovrà essere valutato caso per caso, senza beneficiare di una presunzione di legittimità. Questa tematica è stata già trattata in precedenza, si richiama quindi il punto: Quota di mercato superiore al 30% e impatti su contratti di distribuzione.

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3.1. I contratti di distribuzione esclusiva.

Secondo l’articolo 4, lettere a) e b) del Regolamento, il contratto di distribuzione esclusiva non può contenere clausole specifiche che ne comporterebbero la nullità dell’intero accordo. In particolare, sono illegittime clausole che comportano:

  • l’imposizione di prezzi di rivendita, sia in maniera diretta che indiretta;
  • il divieto imposto al distributore di effettuare vendite passive[9] in un territorio assegnato in esclusiva ad un altro distributore (ad esempio, proibire al distributore esclusivo in Italia di realizzare vendite passive in Francia, dove esiste un distributore esclusivo francese);
  • l’ostacolo all’uso efficace di internet da parte del distributore o dei suoi clienti.

Il produttore può invece imporre le seguenti restrizioni:

  • vietare al distributore e ai suoi clienti di effettuare vendite attive, ossia di intraprendere azioni di promozione commerciale, in territori assegnati in esclusiva ad altri;
  • proibire al distributore e ai suoi clienti di realizzare sia vendite attive che passive in aree designate per una distribuzione selettiva;
  • limitare il luogo di stabilimento del distributore, definendo dove può operare o stabilire i suoi punti vendita;
  • restringere le vendite, sia attive che passive, agli utenti finali da parte di distributori che operano a livello di commercio all’ingrosso.

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3.2. I contratti di distribuzione selettiva.

La distribuzione selettiva si riferisce a un sistema di distribuzione in cui i prodotti vengono commercializzati esclusivamente attraverso rivenditori che soddisfano specifici standard di competenza professionale, qualità del servizio e prestigio del punto vendita, stabiliti dal produttore. Questo metodo viene impiegato principalmente per la commercializzazione di prodotti tecnicamente complessi, che necessitano di una qualificazione tecnica specifica da parte del rivenditore, e di prodotti di lusso, per i quali è fondamentale che la vendita avvenga in contesti adeguati al loro prestigio. Al fine di garantire che il rivenditore rispetti le caratteristiche richieste, il produttore seleziona i rivenditori (secondo criteri più o meno rigidi) e impone loro di non vendere i prodotti al di fuori della rete autorizzata (in quanto ciò comprometterebbe lo scopo della selezione).[10]

In tale contesto, in base all’art. 4 lett. c) del Regolamento, il produttore non può vietare al proprio distributore selettivo:

  • le forniture incrociate tra i membri del sistema di distribuzione selettiva che operano allo stesso o a diversi livelli commerciali;
  • la restrizione di un uso efficace di internet.

Contrariamente, il produttore può imporre al distributore selettivo divieti specifici quali:

  • proibire ai membri della distribuzione sia le vendite attive che passive nei confronti di distributori non autorizzati situati all’interno del territorio selettivo;
  • vietare ai membri della distribuzione selettiva di effettuare vendite attive in territori coperti da esclusiva;
  • restringere le vendite attive e passive ai consumatori finali da parte dei membri del sistema di distribuzione selettiva che operano nel settore del commercio all’ingrosso.
  • limitare le vendite, sia attive che passive, ai consumatori finali da parte dei membri del sistema di distribuzione selettiva attivi nel commercio al dettaglio, quando queste avvengono in territori soggetti a distribuzione esclusiva;
  • imporre limitazioni riguardanti la localizzazione degli stabilimenti dei membri del sistema di distribuzione selettiva.

La distribuzione selettiva si distingue dalla distribuzione esclusiva principalmente per la facoltà del produttore di scegliere i rivenditori della propria rete, un’opzione che introduce una limitazione alla concorrenza, giustificabile come inizialmente delineato dalla sentenza Metro[11] (e confermato dalle Linee Guida pubblicate dalla Commissione Europea[12]) solo quando la natura dei beni richiede tali misure per tutelarne la qualità e garantirne l’uso corretto. Proprio questo motivo, la giurisprudenza ammette l’applicazione di questa tipologia di distribuzione esclusivamente a prodotti tecnicamente di alto contenuto tecnologico,[13] di alta qualità,[14] di lusso o a quelli che almeno ne trasmettono una aura[15] e impone che la selezione dei rivenditori sia effettuata seguendo criteri qualitativi oggettivi, applicati uniformemente e senza discriminazioni. Inoltre, ogni criterio stabilito dal produttore per la scelta dei rivenditori deve essere proporzionato e necessario per mantenere la qualità e l’immagine dei prodotti, senza imporre restrizioni o requisiti non indispensabili per il conseguimento di tali fini.[16]

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3.3. Contratti di distribuzione libera.

Il regolamento, all’art. 4. Lett. d) prevede inoltre la possibilità di imporre delle limitazioni anche per gli accordi di distribuzione che non rientrano nelle categorie di esclusività o selettività. Queste restrizioni mirano a prevenire che tali contratti compromettano i sistemi di distribuzione selettiva o esclusiva stabiliti dal produttore in vari territori, come, ad esempio, un sistema selettivo in Italia e uno esclusivo in Francia. Qui di seguito l’elenco delle restrizioni principali:

  • le restrizioni sulle vendite attive effettuate dal distributore e dai suoi clienti diretti in un territorio coperto da esclusiva.
  • le restrizioni sulle vendite, sia attive che passive, da parte del distributore e dei suoi clienti verso distributori non autorizzati all’interno di un sistema di distribuzione selettiva a qualsiasi livello della catena commerciale.
  • la restrizione riguardante la localizzazione degli stabilimenti degli acquirenti.

Ovviamente, queste restrizioni hanno lo scopo di proteggere i mercati soggetti a distribuzione esclusiva o selettiva. Al contrario, i mercati liberi rimangono aperti a qualsiasi attività di vendita, sia attiva che passiva, da parte di distributori esterni a tali reti.

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4. Le limitazioni a internet nei diversi sistemi distributivi.

Per conferire un approccio pratico e quindi comprendere con quali limitazioni possono essere apportati dei blocchi alle vendite online, si procederà di seguito alla valutazione degli impatti potenziali nelle seguenti ipotesi:

  • l’adozione di un sistema di distribuzione esclusiva in Italia accoppiato a un sistema di distribuzione libero in Francia;
  • l’adozione di un sistema di distribuzione selettiva in Italia accoppiato a un sistema di distribuzione libera in Francia;
  • l’applicazione di un sistema di distribuzione esclusiva sia in Italia che in Francia;
  • l’introduzione di un sistema di distribuzione selettiva in Italia e esclusiva in Francia.

Ovviamente, questa rappresenta un’analisi preliminare, al fine di aiutare a comprendere quale strategia adottare e su quale concentrarsi per ulteriori approfondimenti.

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4.1. Distribuzione esclusiva in Italia e libera in Francia.

In questo contesto, non si potrebbe vietare al distributore esclusivo italiano e ai suoi clienti di effettuare vendite attive verso la Francia, dato che il territorio francese non è soggetto a esclusiva. Al contrario, è possibile imporre al distributore francese di non effettuare vendite attive in Italia e limitare le vendite a quelle non passive.

Una restrizione rilevante che potrebbe essere implementata consisterebbe nel vietare ai distributori di effettuare vendite attive e passive al dettaglio, ivi incluse le vendite dirette agli utenti finali in Francia, al fine di mantenere separati i livelli di distribuzione commerciale.

Certamente, potrebbe essere rilevante utilizzare la doppia tariffazione, valutando l’introduzione di sconti differenziati per le vendite effettuate online, purché ciò possa essere giustificato sulla base di parametri oggettivi.

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4.2. Distribuzione selettiva in Italia e libera in Francia.

Questo modello avrebbe gli stessi risvolti di quello precedente. Dato che il territorio di destinazione delle vendite non è coperto da alcuna forma di contenimento.

L’unica restrizione rilevante che potrebbe essere implementata consisterebbe nel vietare ai distributori che operano all’ingrosso di effettuare vendite attive e passive al dettaglio, ivi incluse le vendite dirette agli utenti finali in Francia, al fine di mantenere separati i livelli di distribuzione commerciale.

Anche in questo caso, la doppia tariffazione potrebbe avere un impatto positivo, così come il subordinare l’accesso al sistema di distribuzione selettiva alla gestione di negozi fisici o showroom. Più in generale, la gestione di un sistema di distribuzione selettiva comporterebbe comunque un aumento dei costi di gestione per i distributori e i membri della rete. Questa circostanza, di per sé, contribuirebbe (magari solo in parte) ad allineare i prezzi a quelli del mercato francese, o comunque sarebbe un elemento da valutare nello sviluppo della strategia distributiva.

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4.3. Distribuzione esclusiva in Italia e in Francia.

Qui ci si ricolloca nel modello classico di distribuzione esclusiva, dove il produttore può proibire solo le vendite attive, ma non quelle passive. Un elemento molto rilevante e innovativo rispetto al regolamento precedente è la possibilità di estendere ai clienti diretti del distributore le restrizioni sulle vendite attive nei territori assegnati esclusivamente ad altri distributori.

Per il resto, si applicherebbero tutte le valutazioni già effettuate per il modello descritto nel punto 5.1, a cui si fa riferimento. Queste includono:

  • il divieto per i distributori che operano all’ingrosso di effettuare vendite attive e passive al dettaglio;
  • l’utilizzo della doppia tariffazione.

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4.4. Distribuzione selettiva in Italia ed esclusiva in Francia.

L’articolo 4, lettera c), punto iii, apporta indubbiamente vantaggi significativi nel controllo della rete e, per effetto diretto, delle vendite online: permette al produttore di proibire ai membri di una rete di distribuzione selettiva di effettuare sia vendite attive che passive al dettaglio nei territori sottoposti a esclusività territoriale. Di conseguenza, il divieto, che nella distribuzione esclusiva si applica unicamente ai distributori all’ingrosso, può essere esteso ai dettaglianti nel contesto della distribuzione selettiva. Questo significa che potrebbe essere vietato ai dettaglianti che fanno parte del sistema di distribuzione selettiva italiana di effettuare vendite nel territorio francese, nel caso in cui tale territorio fosse soggetto a un accordo di esclusiva.

Un aspetto pratico molto significativo è legato al fatto che, anche se è possibile impedire ai membri della rete di distribuzione selettiva di vendere verso la Francia, se questi mostrano i prezzi sui loro siti online, tali prezzi saranno comunque visibili in Francia (e non possono essere bloccati, in base al regolamento c.d. del Geoblocking 2018/302).

Si potrebbe quindi essere valutata l’opzione di proibire ai membri della rete di esporre listini e prezzi sui loro siti, rendendoli disponibili esclusivamente su richiesta di preventivo tramite form o chatbox, metodo che spesso viene utilizzato online dai rivenditori di beni di alta gamma e del lusso.

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5. Conclusioni.

In questa breve relazione si è cercato di illustrare i principali aspetti normativi e giurisprudenziali riguardanti le novità introdotte dal nuovo regolamento sulle vendite verticali, con particolare attenzione alle implicazioni per la vendita online. Tuttavia, si tratta di una panoramica generale del sistema, che non può esaurire tutte le sfaccettature e le specificità di una materia molto complessa e in continua evoluzione.

Pertanto, è sempre opportuno valutare caso per caso le condizioni e le modalità di applicazione delle restrizioni alla commercializzazione dei prodotti, tenendo conto delle caratteristiche del mercato e delle esigenze dell’impresa.

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[1] Pierre Fabre Dermo-Cosmétique SAS contro Président de l’Autorité de la concurrence, Causa-439/09,

[2] Coty Germany GmbH contro Parfümerie Akzente GmbH, Causa C-230/16.

[3] Cfr. Paragrafi 206 e successivi delle Linee Guida.

[4] Cfr. Paragrafo 206, lett. g) delle Linee Giuda.

[5] Art. 4, lett. b), punto i).

[6] Art. 4, lett. c), punto i, n. 1.

[7] Paragrafo 209 delle Linee Giuda.

[8] Art. 4, lett. c), punto i, n. 4.

[9] Art. 1 del Regolamento 2022/720 lett. l) e m): per «vendite attive» si intende il fatto di contattare in maniera attiva e mirata dei clienti mediante visite, lettere, e-mail, telefonate o altri mezzi di comunicazione diretta o attraverso azioni di pubblicità e promozione mirate, offline o online, ad esempio attraverso: media cartacei o digitali, compresi i media online; strumenti di confronto dei prezzi o pubblicità associata a motori di ricerca, che siano destinati a clienti in determinati territori o a gruppi di clienti; la gestione di un sito internet con un dominio di primo livello che corrisponde a determinati territori; l’offerta su un sito internet di opzioni linguistiche comunemente utilizzate in determinati territori, quando tali lingue siano diverse da quelle comunemente utilizzate nel territorio in cui è stabilito l’acquirente; per vendite «passive» si intendono vendite effettuate in risposta a richieste spontanee di singoli clienti, comprese la consegna di beni o la prestazione di servizi al cliente, senza che la vendita sia stata avviata sollecitando attivamente particolari clienti, gruppi di clienti o territori, incluse le vendite risultanti dalla partecipazione ad appalti pubblici o dalla risposta a bandi di gara privati.

[10] Art. 1 del Regolamento 2022/720 lett. g).

[11] Metro SB-Großmärkte GmbH & Co. KG contro Commissione delle Comunità europee, Causa C-26/76.

[12] Cfr. paragrafo 149 degli Orientamenti e più in generale paragrafo 4.6.2.3. “Orientamenti per la valutazione individuale degli accordi di distribuzione selettiva”.

[13] Cfr. causa C-26/76 – Metro/Commissione e causa C-107/82 – AEG/Commissione.

[14] Cfr. causa C-230/16 – Coty Germany.

[15] Cfr. causa C-230/16 – Coty Germany, punti da 25 a 29.

[16] Metro SB-Großmärkte GmbH & Co. KG contro Commissione delle Comunità europee, Causa C-26/76.