L’indennità di fine rapporto per distributori o concessionari di vendita in Italia è stata oggetto di recenti sviluppi legislativi, che hanno determinato cambiamenti di notevole importanza.

La legge recentemente introdotta nel settore della distribuzione di autoveicoli stabilisce un diritto “innovativo” a un equo indennizzo per i distributori autorizzati e una durata contrattuale minima di cinque anni per i contratti a termine, così come un preavviso di ventiquattro mesi per i contratti a tempo indeterminato.

Nonostante l’interpretazione della norma e la determinazione dell’importo dell’indennità di fine rapporto presentino ancora significative complessità, in attesa di ulteriori sviluppi normativi e giurisprudenziali, il modello tedesco, che da anni la riconosce in tutti i settori commerciali, potrebbe fornire interessanti indicazioni.

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1. Introduzione. Risarcimento del danno e indennità.

Sino a pochi mesi fa, nel panorama giuridico italiano, l’indennità di fine rapporto nei contratti di concessione di vendita era privo di ogni regolamentazione normativa e la giurisprudenza è restata salda ed unanime nel ritenere che alcun indennità  debba essere riconosciuta al concessionario per la clientela da questi apportata, escludendo così un’applicazione analogica delle disposizioni in ambito di agenzia.

Nell’Ordinamento giuridico italiano, alla chiusura del rapporto contrattuale, gli interessi del concessionario sono erano principalmente tutelati nell’ambito di una valutazione della legittimità e/o congruità del recesso o dello scioglimento del contratto, tramite una stima degli utili che il concessionario avrebbe potuto ricevere se il contratto fosse stato adempiuto sino alla sua naturale scadenza. Lo strumento utilizzato è quello del risarcimento del danno, calcolato nella perdita dell’utile atteso e nell’assorbimento dei costi inerenti all’organizzazione e alla promozione delle vendite, nonché agli investimenti intrapresi confidando nella prosecuzione contrattuale.[1]

Il risarcimento non è invece inteso a ricompensare il concessionario per il lavoro svolto nel costruire una base di clienti, così come di fatto previsto nei rapporti di agenzia all’art. 1751 c.c.

Il recesso dal contratto di concessione di vendita e/o distribuzione. Breve analisi.

Così che, per i contratti a tempo determinato, è escluso il recesso unilaterale dal rapporto (salvo che questo non sia stato espressamente pattuito dalle parti) e la chiusura del contratto può realizzarsi unicamente in caso di grave inadempimento.[2]

Diversamente, per i contratti a tempo indeterminato, è consentito il recesso unilaterale, anche in assenza di un inadempimento, purché si fornisca un congruo preavviso.[3] Nel caso in cui le parti non avessero concordato un preavviso, lo stesso deve essere valutato facendo riferimento agli interessi del soggetto che “subisce” il recesso, dovendo il recedente concedere un termine che possa permettere di prevenire, almeno parzialmente, gli effetti negativi derivanti dall’interruzione del rapporto;[4] il concessionario dovrà avere la possibilità di recuperare una parte degli investimenti compiuti (ad es. lo smaltimento delle rimanenze di magazzino), mentre il concedente avere tempo sufficiente per potere riacquistare le merci ancora giacenti presso il concessionario, così da poterle reinserire nel circuito distributivo.[5]

Qualora le parti avessero pattuito e quantificato contrattualmente il termine di preavviso si discute se il giudicante possa svolgere valutazioni sulla sua congruità; la giurisprudenza maggioritaria ritiene che questo termine anche se breve, debba essere rispettato, e che il giudice non debba valutare la sua adeguatezza.[6]

Si deve tuttavia citare un caso in cui la Corte di Cassazione, in una sentenza del 18 settembre 2009 proprio nel settore automotive,[7] ha affrontato una controversia tra un’associazione di ex concessionari di auto e Renault; in particolare, la casa produttrice era receduta dai contratti con i concessionari, riconoscendo il preavviso contrattuale, pari a dodici mesi. I concessionari hanno ritenuto il recesso abusivo e la corte ha accolto le domande dei ricorrenti, stabilendo che il giudice può valutare se il diritto di recesso è stato esercitato in buona fede o se ne è stato fatto un uso abusivo, basandosi sul criterio della buona fede oggettiva, considerata il riferimento fondamentale per la condotta delle parti.

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2. La novella in tema di distribuzione di autoveicoli.

In questo contesto, si inserisce la nuova normativa, introdotta per il settore della distribuzione automobilistica con la Legge n. 108 del 5 agosto 2022, poi aggiornata dalla Legge n. 6 del 13 gennaio 2023.

In particolare, l’art. 2 regolamenta specificamente la durata del contratto, prevedendo che:

  • se il rapporto è a tempo determinato, la durata minima dello contratto è pari a cinque anni, con obbligo di ciascuna parte di comunicare in forma scritta, almeno sei mesi prima della scadenza, l’intenzione  di  non procedere alla rinnovazione dell’accordo, a pena di inefficacia della comunicazione;
  • quanto ai rapporti a tempo indeterminato, il termine di preavviso scritto fra le parti per il recesso è di ventiquattro mesi.

Viene poi introdotto all’art. 3 della Legge, un obbligo in capo al costruttore o importatore di fornire al concessionario, prima della conclusione dell’accordo, nonché in caso di successive modifiche dello stesso, tutte le informazioni di cui sia in possesso, che risultino necessarie a valutare consapevolmente l’entità degli impegni da assumere e la sostenibilità degli stessi in termini economici, finanziari e patrimoniali, inclusa la stima dei ricavi marginali attesi dalla commercializzazione dei veicoli.

L’art. 4 poi introduce un “rivoluzionario” (almeno per il diritto italiano) obbligo del costruttore o importatore, che recede dall’accordo prima della scadenza contrattuale, di corrispondere al distributore autorizzato un equo indennizzo, che deve essere parametrato sulla base:

  1. degli investimenti che questo ha in buona fede effettuato ai fini dell’esecuzione dell’accordo e che non siano stati ammortizzati alla data di cessazione dell’accordo;
  2. dell’avviamento per le attività svolte nell’esecuzione degli accordi, commisurato al fatturato del distributore autorizzato negli ultimi cinque anni di vigenza dell’accordo.

L’indennizzo di cui al comma 4 non è dovuto nel caso di risoluzione per inadempimento o quando il recesso sia chiesto dal distributore autorizzato.

Da ultimo l’art. 5-bis della norma, dispone espressamente che le disposizioni di cui ai commi da 1 a 5 sono “inderogabili”.

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3.     Alcuni spunti sulla nuova normativa.

Ad oggi non si riscontrano precedenti giurisprudenziali che permettano di dare un’interpretazione del dettato normativo, che per ora resta molto generico e di difficile declinazione pratica.

In attesa di uno sviluppo giurisprudenziale, si sollevano brevemente quelle che sono le maggiori criticità che si rilevano anche da una semplice lettura del testo di legge, con particolare riguardo a due aspetti, ossia:

  • la durata del contratto e
  • la quantificazione dell’equo indennizzo.
3.1.  Durata del contratto e rinnovo automatico.

Se il contratto è stato stipulato a tempo determinato, sembrerebbe che lo stesso, in caso di mancata disdetta di una delle parti entro il termine di sei mesi dalla data di chiusura, si rinnovi automaticamente del medesimo periodo per cui era stato stipulato.

Si può giungere a questa “affrettata” conclusione, da una semplice lettura del testo che parla appunto di “rinnovo” e non tanto di trasformazione del contratto da tempo determinato a tempo indeterminato, come invece previsto ad esempio nei rapporti di agenzia (cfr. art. 1750 c.c.). Chiaro trattarsi di una questione di rilevantissimo impatto pratico, posto che il rinnovo del contratto, se effettivamente automatico, comporta il prolungamento del rapporto per un periodo non inferiore a cinque anni, essendo questo il termine minimo fissato dalla normativa.

Tale elemento ha una rilevanza assai importante anche sull’eventuale diritto del concessionario all’equo indennizzo, che si ricorda non essere dovuto solamente nel caso di inadempimento del concessionario, ovvero di suo recesso. Se passa, come è più che verosimile aspettarsi, la teoria del rinnovo automatico del contratto, l’indennizzo sarà riconosciuto al concessionario anche nel caso in cui lo stesso dichiara di non volere rinnovare l’accordo prima della sua scadenza, non trattandosi tecnicamente di vero e proprio recesso. Parimenti, sarà verosimilmente dovuto l’indennizzo anche se le parti concordano di terminare il rapporto contrattuale.

Trattandosi poi di una norma inderogabile quella dell’indennizzo, si pone la problematica, così come in tema di agenzia, se una eventuale rinuncia prima dello scioglimento del rapporto possa essere ritenuta valida, oppure se la stessa sia efficace unicamente se concordata dalle parti una volta che il contratto è terminato.

Leggi anche: Quali rinunce e transazioni possono essere impugnate dall’agente di commercio.

3.2 Equo indennizzo.

Quanto alla quantificazione dell’equo indennizzo, come si è visto, la norma richiama due parametri molto generici, ossia:

  1. gli investimenti effettuati in buona fede da parte del concessionario e non ammortizzati alla data di cessazione dell’accordo;
  2. l’avviamento dell’attività commerciale, commisurato al fatturato sviluppato dal distributore nel corso degli ultimi cinque anni di vigenza dell’accordo.

In primo luogo, si fa presente che non sembra trattarsi di una applicazione analogica dei principi previsti in tema agenzia, posto che nessuno dei due requisiti fa riferimento alcuno alla clientela da questi apportata e agli affari sviluppati con quella già acquisita, così come disposto dallart. 1751 c.c.

La lettera a) dell’articolo 4 fa appunto riferimento ad investimenti effettuati in buona fede, in maniera del tutto staccata da quello che è stato l’apporto di clientela e lo sviluppo degli affari che il concessionario è riuscito a sviluppare nel corso del rapporto.

La scelta fatta dal legislatore, sembra volere dare più peso all’esecuzione del rapporto secondo buona fede, che impone da una parte al concedente di agire in modo da preservare gli interessi del concessionario e così non pretendere, o comunque spingere irragionevolmente, il concessionario ad effettuare degli investimenti sproporzionati alla tipologia e durata del contratto e, dall’altro lato, al concessionario di vedersi indennizzato solamente investimenti non ammortizzati, effettuati sulla base di un principio di buona fede.

Con riferimento invece al punto b) dell’art. 4, il legislatore fa un generico riferimento all’avviamento del concessionario, senza che venga data alcuna rilevanza, ancora una volta, ai vantaggi che il concessionario ha apportato al concedente e che lo stesso gode a seguito della chiusura del rapporto.

Inoltre, viene effettuato un generico richiamo al “fatturato del concessionario” nel corso degli ultimi cinque anni del rapporto; è chiaro trattarsi di un dato assai generico, di per sé staccato da quello che è il margine o il profitto del concessionario stesso e di per sé non necessariamente collegato ai clienti procurati dal concessionario durante la durata del contratto.

Il riferimento temporale di cinque anni, sembrerebbe richiamare il periodo di analisi applicato agli agenti di commercio, all’art. 1751 c.c., con l’unica (ma enorme) distinzione, che in tal caso si fa riferimento alla media provvigionale sviluppata dall’agente in tale intervallo.

3.3. Norme inderogabili e/o di applicazione necessaria?

Come si è avuto modo di vedere, l’art. 5-bis della nuova legge attribuisce espressamente alle nuove disposizione in tema di distribuzione automotive carattere inderogabile.

In tale ambito, sorge una questione rilevante, inerente l’applicazione del Regolamento Roma I (Regolamento CE n. 593/2008) alla nuova normativa. In particolare, ci si chiede se tali disposizioni possano essere considerate “norme di applicazione necessaria” ai sensi dell’articolo 9 del suddetto Regolamento, anche note come norme “internazionalmente imperative”.

Secondo questa disposizione, le norme di applicazione necessaria sono norme giuridiche che un Paese ritiene cruciali per salvaguardare i propri interessi pubblici, come la sua organizzazione politica, sociale o economica. In determinati casi, i legislatori nazionali possono decidere di attribuire ad alcune delle loro norme imperative un carattere ancora più forte, disponendo che esse non possono essere derogate neppure sottoponendo il contratto ad una legge straniera.  Questo significa che, nonostante la scelta contrattuale di applicare una legge diversa, un tribunale potrebbe essere tenuto ad applicare tali disposizioni se ritiene essere per l’appunto di “applicazione necessaria”, in quanto cruciali per salvaguardare gli interessi pubblici dell’Italia.

Ci si deve quindi interrogare (in attesa di un adeguato sviluppo giurisprudenziale e legislativo), se le nuove disposizione sulla distribuzione automotive debbano ritenersi non solo inderogabili (ex art. 5-bis) a livello nazionale, ma anche internazionale, ex art. 9 del Regolamento Roma I.

Proprio in ambito di concessione di vendita, un esempio di norma di applicazione necessaria è rappresentato dalla legge belga del 27 luglio 1961, che all’articolo 4 impone l’applicazione internazionalmente inderogabile di tale norma in caso di controversie relative alla risoluzione di contratti di concessione eseguiti in Belgio, indipendentemente dalla legge contrattualmente scelta dalle parti. [7a]

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4. L’indennità del concessionario nel sistema tedesco.

Nell’attesa di uno sviluppo giurisprudenziale che affini e indirizzi gli operatori ad interpretare la nuova normativa, è interessante analizzare come funziona un sistema vicino al nostro, che riconosce tale indennità da diverse decine di anni; il tutto senza la pretesa di essere giuristi tedeschi, ma con la semplice intenzione di fornire al lettore una panoramica generale di suddetto modello.

4.1. I presupposti del diritto all’indennità del concessionario.

In Germania, la giurisprudenza da anni applica analogicamente i principi dell’indennità in materia di agenzia, regolati dal § 89b HGB (Handelsgesetzbuch), anche al concessionario. La disposizione in questione è il corrispettivo tedesco dell’articolo 1751 c.c., entrambi riformati per attuare la direttiva europea relativa all’agenzia commerciale del 1986.[8]

Affinché l’indennità possa essere riconosciuta, la giurisprudenza tedesca richiede il soddisfacimento dei seguenti presupposti:

  1. il contratto non deve essere sciolto dal preponente a causa di gravi inadempienze dell’agente, ovvero dall’agente senza giustificati motivi, oppure vi sia stata una cessione dei diritti e degli obblighi del contratto a un terzo;
  2. il concessionario deve essere integrato all’interno della rete di distribuzione del concedente;
  3. deve essere avvenuto un trasferimento della lista clienti.
4.1.1. Scioglimento del rapporto.

La giurisprudenza tedesca applica in via analogica i principi in tema di agenzia, per cui l’indennità ha lo scopo di compensare l’agente dei vantaggi che vengono trasferiti al preponente a seguito della chiusura del contratto, non potendo l’agente più beneficiare dei rapporti che ha stabilito o sviluppato con i propri clienti.

L’indennità, quindi, mira da un lato a compensare le perdite provvigionali subite dall’agente a causa della chiusura del rapporto, d’altro lato ha lo scopo di fornire all’agente un compenso per i vantaggi che derivano dai clienti acquisiti e/o sviluppati dall’agente. Prerequisito per la richiesta di indennità, staiblito dal comma 3 del § 89b HGB, è il fatto che il contratto non sia stato sciolto dal preponente per gravi inadempienze dell’agente, dall’agente senza giustificati motivi, ovvero per cessione dei diritti e obblighi del contratto a un terzo.

La giurisprudenza tedesca, seppure la legge non lo regolamenta espressamente, ha ritenuto che l’indennità sia dovuta in caso chiusura del rapporto per mutuo dissenso, indipendentemente da chi abbia per primo proposto la terminazione consensuale del rapporto.[9]

Questi criteri, vengono fedelmente applicati anche ai contratti di concessione di vendita, ivi incluso lo scioglimento consensuale del rapporto.[10] Pertanto, anche in caso di risoluzione consensuale del contratto, il rivenditore autorizzato avrà diritto a un’indennità, a condizione che siano soddisfatti gli altri requisiti, ossia l’integrazione nella rete di distribuzione del produttore e l’obbligo di trasferire la clientela.

4.1.2. Integrazione all’interno della rete.

Per quanto riguarda il requisito di integrazione all’interno della rete di distribuzione, è importante sottolineare che il rapporto commerciale non si limita a una semplice relazione tra un venditore e un cliente abituale, essendo necessaria una forma più approfondita di collaborazione che costituisca un vero e proprio accordo di distribuzione integrata.

Ciò implica che il rivenditore autorizzato sia coinvolto attivamente nel sistema di distribuzione del produttore, così che la richiesta di indennizzo è rivolta a compensare il concessionario non solo per la perdita dei vantaggi derivanti dai rapporti con i clienti, ma anche per il contributo attivo alla rete di distribuzione del produttore.

Leggi anche: Concessione di vendita, distributore o cliente abituale?

La giurisprudenza tedesca[11] nel tempo ha sviluppato alcuni esempi situazioni che possano determinare, o comunque portare a ritenere che vi sia una vera e propria integrazione nel sistema distributivo del concedente; qui di seguito se ne richiamano alcuni:

  • essere riconosciuto come rivenditore autorizzato;
  • conferire al produttore/concedente l’autorizzazione ad accedere ai locali commerciali e di stoccaggio in qualsiasi momento;
  • essere soggetto a obblighi di acquisto minimi dei prodotti contrattuali;
  • avere l’obbligo di stoccare le merci in magazzino;
  • creare e supervisionare officine autorizzate nel territorio del contratto;
  • fornire servizi di assistenza e riparazione ai clienti;
  • ricevere formazione da parte del produttore/concedente;
  • valorizzare, conservare e mantenere il marchio del produttore;
  • seguire le linee guida e le raccomandazioni del produttore per le vendite;
  • avere la possibilità di vendere i prodotti del produttore al di fuori del territorio contrattuale;
  • essere assegnato a un territorio contrattuale specifico, anche in assenza di esclusiva territoriale.
4.1.3. Il trasferimento dei clienti.

Un altro requisito fondamentale affinché il concessionario o il rivenditore abbia diritto all’indennità di fine rapporto è che vi sia stato un trasferimento dei dati dei clienti.

Secondo la giurisprudenza tedesca,[12] non è indispensabile che il trasferimento della lista clienti sia esplicitamente previsto nel contratto, ma può derivare implicitamente come un obbligo o essere una pratica adottata dalle parti (ad es. se il concessionario invia i nominativi dei clienti al produttore per la gestione delle garanzie o per altri scopi legati all’assistenza post-vendita).

Questo trasferimento della lista clienti è un elemento cruciale perché permette al produttore di mantenere e sviluppare la relazione con i clienti acquisiti dal concessionario anche dopo la chiusura del rapporto con il concessionario o rivenditore.

4.2. Il calcolo dell’indennità.

La quantificazione dell’indennità deve essere effettuata considerando i seguenti parametri:

  1. vantaggi per il produttore: occorre valutare se il concessionario ha acquisito nuovi clienti o consolidato quelli esistenti, come previsto dal § 89b HGB (e dall’art. 1751 c.c.), tramite un’analitica prognosi dei vantaggi derivanti dai clienti acquisiti. Spetta al concessionario fornire la prova degli sviluppi per ogni singolo cliente, non essendo sufficiente la produzione di una semplice lista dei clienti che il concessionario ha acquisto o sviluppato nel corso del rapporto.[13] La stima deve poi basarsi sui risultati degli ultimi cinque anni, in applicazione analogica del § 89b HGB;
  2. la quantificazione dei vantaggi deve avvenire in modo “equo”, valutando le perdite subite dal concessionario a seguito della chiusura del rapporto. Applicando analogicamente la disciplina dell’agenzia commerciale, le perdite da considerare devono essere di natura “provvigionale”. Benché, come è noto, il concessionario non viene retribuito tramite provvigioni, bensì marginalizza sulla scontistica che a questo è riconosciuta dal concedente, per potere applicare analogicamente i principi in tema di agenzia, bisogna calcolare quelle che sarebbero state le provvigioni che il produttore avrebbe pagato a un agente commerciale sulla base del fatturato effettuato dal concessionario, se la distribuzione fosse avvenuta tramite un’agenzia e le vendite fossero state realizzate in questo modo.

In questo contesto, per effettuare il calcolo delle indennità e per cerare di “provvigionalizzare” i ricavi del concessionario, bisogna detrarre dalla scontistica a questi riconosciuta, tutte quelle componenti remunerative tipiche del concessionario ed estranee all’agente. A titolo esemplificativo: le spese per il personale e le attrezzature dell’attività, per la pubblicità, la presentazione dei prodotti, l’assunzione dei rischi di vendita, di fluttuazione dei prezzi, di credito o del valore equivalente, etc.[14]

Il limite dell’indennità corrisponde alla media degli ultimi cinque anni.[15] È importante sottolineare che si tratta delle provvigioni che il concessionario avrebbe ottenuto, non del fatturato generato dal concessionario. Si tratta di un elemento particolarmente importante poiché sposta il focus d’analisi dal volume totale di affari del concessionario, per concentrarsi invece sulle effettive entrate nette.

Tale approccio tiene conto del reale vantaggio economico del concessionario, piuttosto che basarsi su una cifra generica che potrebbe non riflettere accuratamente la sua posizione commerciale. Questa distinzione assicura che l’indennità sia calcolata in modo più preciso e veritiero, riflettendo l’effettivo guadagno del concessionario piuttosto che l’ammontare totale delle vendite realizzate.

L’indennità viene poi calcolata sulla base di tali vantaggi, seguendo un approccio simile a quello utilizzato nell’agenzia.

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[1] Sul punto, cfr. Venezia, Il contratto di agenzia, 2016, pag. 140, Giuffrè.

[2] I contratti di somministrazione di distribuzione, Bocchini e Gambino, 2011, pag. 669, UTET.

[3] Concessione di Vendita, Franchising e altri contratti di distribuzione, Vol. II, Bortolotti, 2007, pag. 42, CEDAM; In dottrina Il contratto di agenzia, Venezia – Baldi, 2015, pag. 140, CEDAM.

[4] In dottrina Il contratto di agenzia, Venezia – Baldi, 2015, pag. 140, CEDAM; In giurisprudenza Corte d’Appello Roma, 14 marzo 2013.

[5] I contratti di somministrazione di distribuzione, Bocchini e Gambino, 2011, pag. 669, UTET.

[6] Cfr. Trib. Torino 15.9.1989 (che ha considerato congruo un termine di 15 giorni); Trib. di Trento del 18.6.2012 (che ha considerato congruo un termine di 6 mesi per rapporto durato 10 anni); Contratti di distribuzione, Bortolotti, 2022, pag. 659, Wolter Kluwer.

[7] Cass. Civ. 5.3.2009 “In tema di contratti, il principio della buona fede oggettiva, cioè della reciproca lealtà di condotta, deve presiedere all’esecuzione del contratto, così come alla sua formazione ed alla sua interpretazione ed, in definitiva, accompagnarlo in ogni sua fase. […] L’obbligo di buona fede oggettiva o correttezza costituisce, infatti, un autonomo dovere giuridico, espressione di un generale principio di solidarietà sociale, la cui costituzionalizzazione è ormai pacifica (v. in questo senso, fra le altre Cass. Civ. 2007 n. 3462)”

[7a] Sul punto, Bortolotti, Il contratto internazionale, pag- 47, 2012, CEDAM.

[8] Direttiva 86/653/CEE del Consiglio del 18 dicembre 1986 relativa al coordinamento dei diritti degli Stati Membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti.

[9] Sul punto confronta Van Der Moolen, Handbuch des Vertriebsrechts, pag. 599, 4 edizione, 2016, C.H. Beck.

[10] BGH 23.7.1997 – VII ZR 130/96.

[11] BGH 8.5.2007 – KZR 14/04; BGH 22.10.2003 – VIII ZR 6/03; BGH 12.1.2000 – VII ZR 19/99; sul punto confronta anche Van Der Moolen, Handbuch des Vertriebsrechts, pag. 600, 4 edizione, 2016, C.H. Beck.

[12] BGH 12.1.2000 – VIII ZR 19/99.

[13] BGH 26.2.1997 – VII ZR 272/95.

[14] Sul punto confronta anche Van Der Moolen, Handbuch des Vertriebsrechts, pag. 621, 4 edizione, 2016, C.H. Beck.

[15] BGH 11.12.1996 – VII ZR 22/96.