Nel corso del 2024, la giurisprudenza ha affrontato numerosi profili del contratto di agenzia, chiarendo aspetti rilevanti quali l’inquadramento di nuove figure professionali, come gli influencer, nel ruolo di agenti di commercio, nonché questioni relative al rito applicabile, alle provvigioni, all’accesso alla documentazione contabile, allo scioglimento del rapporto e alle connesse indennità, al patto di non concorrenza, al risarcimento del danno e alla distinzione con il procacciamento d’affari. Segue un’analisi tematica di alcune tra le decisioni più significative.

_________________________________

1. Forma del contratto di agenzia: distinzione tra esistenza e contenuto.

L’art. 1742, comma 2, c.c. stabilisce che «il contratto di agenzia deve essere provato per iscritto». La norma non impone la forma scritta ad substantiam: il contratto può essere validamente concluso anche verbalmente. Tuttavia, ai fini probatori, la parte che intende far valere il rapporto deve fornire una prova scritta della sua esistenza. Tale prova può consistere, ad esempio, in una lettera di incarico, una corrispondenza commerciale, una conferma d’ordine firmata o anche una fattura descrittiva.

Una volta provata l’esistenza del contratto, il contenuto delle pattuizioni può invece essere ricostruito anche attraverso mezzi di prova diversi dalla scrittura. La giurisprudenza — da ultimo Cass. civ., sez. II, ord. 13 maggio 2024, n. 13008 — ha chiarito che le singole clausole possono risultare da dichiarazioni testimoniali, presunzioni o comportamenti concludenti, a condizione che siano univoci e coerenti.

In conclusione, mentre l’esistenza del contratto richiede necessariamente un documento scritto, il contenuto può essere dimostrato anche con altri strumenti probatori, in presenza di elementi attendibili e convergenti.

_________________________________

2. Prova del rapporto di agenzia: criteri e onere probatorio.

In una controversia avente a oggetto la qualificazione di un rapporto contrattuale, il Tribunale di Milano, con decisione confermata dalla Corte d’Appello, aveva riconosciuto il diritto dell’agente a percepire l’indennità sostitutiva del preavviso e l’indennità di fine rapporto, ravvisando nel contratto, pur formalmente denominato franchising, la presenza di elementi riconducibili al modello tipico dell’agenzia. Il rapporto veniva qualificato come contratto misto, contenente caratteristiche sia dell’agenzia sia del franchising.

Il Tribunale ha ritenuto che il contratto stipulato, pur denominato “franchising”, presentasse tutti gli elementi propri dell’agenzia, ovvero:

  • promozione continuativa di contratti per conto di un preponente;
  • vincolo di zona;
  • obbligo di esclusiva;
  • remunerazione provvigionale;
  • obbligo del preponente di approvare i contratti;
  • inquadramento e formazione commerciale da parte del preponente;
  • fornitura di strumenti e reportistica da parte del preponente.

La Corte di Cassazione (15/03/2024, n. 6971) ha dichiarato inammissibili sia il ricorso principale, volto a sostenere la natura esclusivamente commerciale dell’accordo, sia il ricorso incidentale, volto a farlo qualificare esclusivamente come contratto di agenzia. Il Collegio ha ribadito che la qualificazione giuridica del contratto, così come la valutazione delle prove, costituisce apprezzamento riservato al giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità, salvo il caso di violazione delle regole di ermeneutica contrattuale, violazione che nel caso concreto non è stata idoneamente dedotta.

La decisione si segnala nel quadro della giurisprudenza sull’agenzia per avere confermato che, in presenza di contratti complessi o atipici, l’individuazione della disciplina applicabile – anche laddove siano presenti elementi riconducibili all’agenzia – deve avvenire sulla base del contenuto sostanziale del rapporto e della funzione economico-sociale perseguita, e non della denominazione formalmente attribuita dalle parti. Non è dunque sufficiente l’emersione di singoli indici formali per invocare automaticamente l’applicazione della disciplina di cui agli artt. 1742 ss. c.c.

In tema di onere probatorio, la Corte ha infine ribadito che grava sull’agente che richiede le indennità di fine rapporto l’onere di provare l’esistenza dei presupposti di legge (art. 1751 c.c.), precisando che le contestazioni relative alla valutazione delle risultanze istruttorie non possono essere riproposte in Cassazione se si risolvono in una richiesta di nuova delibazione dei fatti.

_________________________________

3. Quando un influencer è un agente di commercio?

Un tema innovativo affrontato nel 2024 è se l’influencer possa essere qualificato come agente di commercio. Nella Tribunale di Roma, Sez. Lavoro, 04/03/2024 n. 2615 il giudice ha analizzato un contratto con cui una società incaricava alcuni social media influencer di promuovere i propri prodotti. La società ricorrente, attiva nella vendita online di integratori alimentari, aveva stipulato contratti di “influencer marketing” con vari sportivi e personaggi noti. A seguito di un accertamento ispettivo svolto da ENASARCO, era stato rilevato che tali influencer svolgevano in realtà un’attività assimilabile a quella di agenti di commercio: promuovevano stabilmente i prodotti della società sui propri canali social, ricevevano un compenso proporzionato alle vendite effettive (tramite un codice sconto personalizzato) e operavano in modo continuativo, emettendo numerose fatture periodiche.

L’ispettore aveva pertanto riqualificato tali rapporti come contratti di agenzia ai sensi dell’art. 1742 c.c., imponendo alla società il versamento dei contributi previdenziali e delle relative sanzioni. La società aveva quindi proposto giudizio di opposizione avverso il verbale di accertamento ENASARCO.

Il Tribunale di Roma ha respinto il ricorso, affermando che:

  • L’attività degli influencer era effettivamente stabile e strutturata per promuovere vendite tramite social network;
  • La “zona determinata” coincideva con la comunità dei followers cui si rivolgevano i contenuti promozionali;
  • L’autonomia dichiarata nel contratto e il termine breve di preavviso non escludevano la natura agenziale del rapporto;
  • I compensi erano sostanzialmente provvigionali, maturando in corrispondenza degli ordini andati a buon fine e tracciati attraverso l’utilizzo del codice sconto offerto dall’influencer durante i propri post, attivato poi dall’acquirente (follower) in fase di acquisto.

Il giudice ha inoltre distinto la figura degli influencer da quella dei testimonial, anch’essi attivi nella società e oggetto dell’ispezione ENASARCO: mentre i testimonial si limitavano a prestare la propria immagine a fini promozionali dietro un compenso fisso, senza promuovere direttamente vendite, gli influencer svolgevano una vera e propria attività promozionale, riconducibile al contratto di agenzia.

La società è stata pertanto condannata al pagamento di circa 90.000 euro tra contributi previdenziali e sanzioni.

_________________________________

4. Modifiche unilaterali del contratto di agenzia.

La sentenza della Corte d’Appello di Brescia (12 gennaio 2024, n. 324) si sofferma su due aspetti di rilievo:

  • la legittimità della disciplina prevista dagli Accordi Economici Collettivi (AEC) che consente, in presenza di determinate condizioni, la modifica unilaterale del contratto di agenzia da parte della preponente;
  • il limite rappresentato dal dovere di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto.

Nel caso esaminato, la preponente aveva comunicato una variazione del mandato derivante dalla perdita di un cliente, che incideva sulle provvigioni in misura inferiore al 20%: si trattava, pertanto, di una modifica “di media entità” ai sensi dell’AEC applicabile, realizzabile con semplice preavviso senza necessità di consenso dell’agente.

La Corte ha confermato la piena validità della clausola collettiva che autorizza variazioni unilaterali del mandato entro i limiti convenzionali, ricordando come la giurisprudenza di legittimità consideri ammissibile l’attribuzione alla preponente del potere di modificare talune clausole del contratto (ad esempio l’ambito territoriale o la misura delle provvigioni), purché tali modifiche siano esercitate in osservanza dei principi di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.).

Nello specifico, la variazione era stata comunicata con congruo preavviso, era giustificata da circostanze oggettive (la revoca da parte del cliente) e non costituiva una manovra vessatoria o arbitraria a danno dell’agente. Pertanto, la modifica era stata ritenuta legittima anche sotto il profilo del rispetto della buona fede contrattuale.

_________________________________

5. Il diritto alle provvigioni.

5.1. Provvigioni e dolo del preponente: rilevanza autonoma del comportamento omissivo.

Corte d’Appello di Milano, Sez. II, sentenza 22 luglio 2024, n. 2162

La Corte d’Appello di Milano ha chiarito che il diritto dell’agente di ottenere le provvigioni (art. 1748 c.c.) è autonomo rispetto al diritto di verifica contabile previsto dall’art. 1749 c.c.: l’esercizio del diritto di verifica non sospende né interrompe la prescrizione del diritto provvigionale.

Con riferimento all’eccezione di dolo occultativo, il giudice ha ribadito che la sospensione della prescrizione ai sensi dell’art. 2941, n. 8, c.c. richiede una condotta che renda impossibile e non semplicemente difficile l’esercizio del diritto da parte del creditore. Nel caso di specie, la trasmissione da parte della preponente di dati aggregati – pur impedendo un controllo analitico – non aveva determinato l’impossibilità di agire, anche perché l’agente aveva manifestato dubbi già durante l’esecuzione del contratto.

La Corte ha infine precisato che l’omessa indicazione delle singole fatture nei report provvigionali non integra di per sé un dolo rilevante ai fini della sospensione della prescrizione.

_________________________________

5.2. Provvigioni e attività di incasso dell’agente.

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 21312/2024, si è pronunciata sulla questione del compenso spettante all’agente per l’attività di incasso dei crediti del preponente. In particolare, ha ribadito il principio, già affermato in precedenti decisioni (Cass. n. 17572/2020; Cass. n. 21079/2013), secondo cui:

  • Se l’attività di incasso è prevista fin dall’inizio del rapporto, il relativo compenso si presume compreso nella provvigione pattuita, senza diritto dell’agente ad un’ulteriore remunerazione autonoma;
  • Se invece l’incarico di riscossione è affidato successivamente, esso configura una prestazione accessoria ulteriore rispetto al contratto originario e deve essere compensato separatamente, salvo che risulti una diversa volontà delle parti.

La Corte ha inoltre chiarito che l’Accordo Economico Collettivo (A.E.C. 2002 e 2009) prevede un compenso aggiuntivo per l’attività di incasso solo quando vi sia anche assunzione di responsabilità per errori contabili da parte dell’agente.

Nel caso esaminato, la Corte d’Appello di Genova aveva riconosciuto all’agente un compenso separato per l’attività di incasso, ritenendo illegittimo il conglobamento nella provvigione stabilito nel contratto individuale. La Cassazione ha cassato la sentenza, rilevando che la Corte territoriale non aveva correttamente applicato i principi di diritto sopra richiamati: avrebbe dovuto preliminarmente verificare se l’incarico di incasso era previsto fin dall’origine e se l’agente si fosse assunto una responsabilità contabile, prima di riconoscere il diritto a un compenso aggiuntivo.

_________________________________

5.3. Provvigioni fuori zona e su affari indiretti.

Corte d’Appello di Brescia, 12 gennaio 2024, n. 324

La sentenza ha rigettato la domanda dell’agente volta al riconoscimento di provvigioni indirette per vendite effettuate nella sua zona senza che gli fossero state comunicate, ritenendo la genericità delle allegazioni e la mancanza di prova dei presupposti richiesti dall’art. 1748, comma 3, c.c. La Corte ha confermato il rigetto dell’ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. (ndr: verosimilmente fondato sull’art. 1749 c.c., ancorché non espressamente richiamato), avente ad oggetto estratti conto provvigionali e scritture contabili, rilevandone il carattere meramente esplorativo in assenza di puntuali allegazioni sugli affari asseritamente sviati.

_________________________________

6. Accesso ai documenti e libri contabili del preponente.

L’agente, durante lo svolgimento del rapporto, ha diritto ad essere informato sul volume degli affari e sull’andamento delle vendite che lo riguardano (art. 1749 c.c.), nonché a ricevere un estratto conto provvigionale periodico. Tuttavia, fuori da questi obblighi specifici, l’accesso ai libri contabili del preponente non costituisce un diritto incondizionato. La giurisprudenza recente ha marcato dei limiti precisi.

Cass., sez. II, ord. 10 luglio 2024, n. 18942

Il diritto dell’agente di accedere alla documentazione del preponente ai sensi dell’art. 1749 c.c. presuppone la dimostrazione di uno specifico interesse all’azione, strettamente collegato all’esercizio di diritti patrimoniali derivanti dal contratto di agenzia. Tale diritto non sussiste automaticamente dopo la cessazione del rapporto: è onere dell’agente allegare e dimostrare che la documentazione richiesta è necessaria a verificare il proprio diritto a provvigioni maturate su affari conclusi successivamente, ai sensi dell’art. 1748, co. 3, c.c. In mancanza di tale allegazione, non può riconoscersi all’agente il diritto all’esibizione della documentazione.

(Cass. civ., Sez. II, 10 luglio 2024, n. 18942)

Quanto all’accesso alla documentazione ai sensi dell’art. 1749 c.c., la Corte ha precisato che l’agente ha diritto di ottenere copia dei documenti della preponente solo se dimostra l’interesse concreto all’accertamento di diritti patrimoniali (ad esempio provvigioni) ancora spettanti. Se il rapporto è cessato senza residui crediti provvigionali, l’agente non ha diritto all’esibizione della documentazione.

_________________________________

7. Scioglimento del contratto.

7.1. Scioglimento per giusta causa.

La Corte d’Appello di Milano, con sentenza n. 2251/2024, ha confermato la sussistenza della giusta causa di recesso dal contratto di agenzia esercitato dalla preponente, evidenziando la violazione del vincolo fiduciario da parte dell’agente. In particolare, la Corte ha ritenuto arbitraria e contraria ai principi di buona fede e correttezza la clausola contrattuale imposta dall’agente ai subagenti (c.d. fee di ingresso pari a € 19.000,00), non giustificata da esigenze oggettive, da prassi contrattuali né da comprovate esigenze economiche. Secondo i giudici, la condotta dell’agente – consistente nell’introdurre condizioni penalizzanti senza previa interlocuzione con la preponente e in assenza di benefici dimostrabili per gli agenti coinvolti – ha integrato un comportamento idoneo a giustificare il recesso ex art. 2119 c.c., applicabile per analogia anche al contratto di agenzia.

_________________________________

7.2. Scioglimento per mutuo consenso.

La Cassazione, con ordinanza n. 22138 del 6 agosto 2024, ha ribadito che, in materia di contratto di agenzia, è ammissibile lo scioglimento anticipato per mutuo consenso, anche in presenza di una clausola che imponga la forma scritta per le modifiche contrattuali. Quando il contratto non richiede tale forma a pena di nullità, le parti possono rinunciarvi anche tacitamente, purché attraverso comportamenti univoci e incompatibili con la volontà di mantenerla.

Nel caso deciso, la volontà comune di anticipare la cessazione del rapporto è stata desunta da più elementi significativi: la comunicazione all’ente previdenziale con la nuova data di chiusura, l’affiancamento di un nuovo agente nella zona già assegnata e l’assenza di contestazioni da parte della società. Tali condotte sono state ritenute sufficienti a dimostrare una risoluzione consensuale, efficace anche in mancanza di un accordo formale.

_________________________________

8. Clausola risolutiva espressa nel contratto di agenzia.

Anche nel 2024 si riscontra un contrasto giurisprudenziale in tema di clausola risolutiva espressa.

Confrontando l’ordinanza n. 13792/2024 della Cassazione (Sez. II, 17 maggio 2024) e l’ordinanza n. 12865/2024 (Sez. II, 10 maggio 2024), emerge una diversa impostazione circa la necessità o meno di accertare la gravità dell’inadempimento ai fini della risoluzione automatica del contratto.

In particolare:

  • L’ordinanza n. 13792/2024 ha ribadito che, in presenza di una clausola risolutiva espressa sufficientemente tipizzata, il giudice non deve svolgere alcuna autonoma valutazione sulla gravità del fatto ai sensi dell’art. 1455 c.c.: è sufficiente verificare che si sia realizzato l’inadempimento contemplato. Nel contratto di agenzia esaminato, la clausola vietava espressamente all’agente di trattare anche indirettamente affari per concorrenti. La Cassazione ha aggiunto che, ai sensi dell’art. 1228 c.c., l’agente risponde anche per gli atti compiuti dal subagente scelto senza adeguata diligenza, trattandosi di responsabilità contrattuale. Pertanto, l’inadempimento del subagente (tentativo di stipula di un contratto con un concorrente) è stato imputato all’agente, senza che fosse necessario accertare la gravità ulteriore del fatto.
  • L’ordinanza n. 12865/2024 ha invece stabilito che, in presenza di una clausola risolutiva espressa generica o di mero stile, il giudice deve comunque accertare la gravità dell’inadempimento secondo l’art. 1455 c.c. In quel caso, la clausola prevedeva la possibilità di risolvere il contratto in relazione al mancato raggiungimento di risultati di vendita, senza parametri chiari. La Cassazione ha richiesto quindi non solo la prova del fatto, ma anche la valutazione della sua incidenza effettiva sull’equilibrio contrattuale.

_________________________________

9. Indennità di mancato preavviso.

Con l’ordinanza n. 6971/2024, la Corte di Cassazione ha confermato integralmente quanto statuito in primo grado dal Tribunale di Milano (sent. n. 12344/2017) e successivamente dalla Corte d’Appello, riconoscendo che l’indennità sostitutiva del preavviso è dovuta anche in caso di scioglimento del rapporto da parte dell’agente, qualora il recesso non sia preceduto dal rispetto del termine minimo previsto dall’art. 1750 c.c..

La Suprema Corte ha altresì ribadito che, in assenza di espressa pattuizione o di un rinvio formale, gli Accordi Economici Collettivi (AEC) non si applicano automaticamente al contratto, neppure laddove esso sia qualificato come agenzia. È quindi esclusa qualsiasi applicazione suppletiva degli AEC in difetto di specifico richiamo nel testo contrattuale o nei comportamenti delle parti.

Di particolare rilievo è la metodologia adottata dal Tribunale per la quantificazione dell’indennità sostitutiva del preavviso, che la Cassazione ha implicitamente ritenuto corretta, non essendo stata oggetto di impugnazione fondata. Nel dettaglio, il Tribunale:

  • ha accertato che il rapporto contrattuale era in essere dal giugno 2008 al febbraio 2012, e che quindi al momento del recesso erano maturati oltre tre anni e mezzo di durata;
  • ha quindi stabilito che, ai sensi dell’art. 1750, comma 3, c.c., il preavviso avrebbe dovuto essere di sei mesi, mentre ne erano stati concessi solo tre;
  • ha conseguentemente riconosciuto il diritto a tre mensilità di indennità sostitutiva.

Ai fini del calcolo, è stato utilizzato un criterio oggettivo fondato sulla media mensile delle provvigioni percepite, desunto dai documenti contabili in atti e non specificamente contestato da controparte. In particolare:

  • è stata rilevata la media delle provvigioni percepite nel biennio precedente il recesso;
  • tale media è stata moltiplicata per 3 mesi, equivalenti al periodo di preavviso non rispettato;
  • l’importo complessivo riconosciuto a tale titolo è stato pari a € 16.500,00, come da conteggi dettagliati in atti.

Questo criterio si fonda direttamente sulla ratio dell’art. 1750 c.c., che, pur non specificando la formula di calcolo, implica che il valore dell’indennità debba compensare economicamente il danno da mancato preavviso, tipicamente individuato nella perdita del reddito provvigionale medio.

_________________________________

10. Indennità di fine rapporto.

10.1. Onere della prova e 1751 c.c.

Con l’ordinanza n. 13008 del 13 maggio 2024, la Corte di Cassazione è intervenuta in tema di indennità di cessazione del rapporto ex art. 1751 c.c., cassando la sentenza della Corte d’Appello di Brescia in un caso non disciplinato da Accordo Economico Collettivo.

La Corte ha ribadito che, in assenza di AEC, i presupposti previsti dall’art. 1751 c.c. devono essere accertati con particolare rigore, trattandosi di condizioni normative e non presuntive. È quindi necessario verificare, sulla base delle prove disponibili apportate dall’agente, sia l’effettivo incremento della clientela o lo sviluppo degli affari, sia la permanenza, dopo la cessazione del rapporto, di vantaggi sostanziali per il preponente.

Nel caso in esame, la Corte d’Appello aveva respinto le censure dell’appellante affermando che le critiche alla sentenza di primo grado e alla consulenza tecnica d’ufficio erano generiche, e che i conteggi del CTU non erano stati specificamente contestati. La Cassazione ha invece sottolineato che la doglianza riguardava non la correttezza dei calcoli, ma l’assenza stessa dei presupposti giuridici per il riconoscimento dell’indennità. Si tratta di una valutazione che spetta esclusivamente al giudice e che non può essere delegata al consulente tecnico, il cui ruolo è limitato a supportare il giudice nell’accertamento dei fatti, non a decidere sulla spettanza del diritto.

La decisione d’appello è stata quindi cassata per motivazione solo apparente: la Corte territoriale non si è confrontata con le reali questioni sollevate dall’appellante e ha omesso qualsiasi verifica autonoma in ordine alla spettanza dell’indennità, fondando il proprio convincimento unicamente sull’elaborato peritale e così violando il riparto delle competenze tra giudice e CTU.

_________________________________

10.2. Applicabilità ed esclusione AEC.

Con l’ordinanza n. 24121 del 9 settembre 2024, la Corte di Cassazione si è pronunciata in tema di indennità di fine rapporto ex art. 1751 c.c., chiarendo l’interazione tra contratto individuale di agenzia e Accordo Economico Collettivo (AEC).

Nel caso esaminato, il contratto richiamava espressamente l’AEC del settore industria, ma subordinava l’erogazione dell’indennità alla sussistenza delle condizioni previste dall’art. 1751 c.c. La Corte d’Appello di Roma, recependo tale impostazione, ha negato l’indennità all’agente per difetto dei presupposti legali (nuova clientela o sviluppo degli affari con vantaggi persistenti per il preponente), ritenendo inapplicabili i criteri forfettari dell’AEC.

La Cassazione ha ritenuto inammissibile il ricorso dell’agente, confermando l’interpretazione della Corte territoriale: quando il contratto di agenzia richiama l’art. 1751 c.c. come fondamento del diritto all’indennità, non si applicano automaticamente i criteri più favorevoli dell’AEC. In mancanza di una clausola che recepisca integralmente la disciplina collettiva, i presupposti dell’indennità devono essere accertati secondo i rigorosi requisiti di legge.

La decisione ribadisce che l’applicazione degli AEC non può prescindersi dalla volontà negoziale delle parti e che l’accertamento del diritto all’indennità spetta al giudice, non potendosi inferire da automatismi contrattuali se questi non sono espressamente previsti.

_________________________________

11. Patto di non concorrenza post-contrattuale.

Il patto di non concorrenza che vincola l’agente dopo la cessazione del rapporto è espressamente regolato dall’art. 1751-bis c.c. Esso deve risultare da atto scritto, può estendersi al massimo a due anni e comporta il diritto per l’agente di ottenere un’indennità aggiuntiva.

Con l’ordinanza n. 23331 del 29 agosto 2024, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sulla natura e il regime giuridico del patto di non concorrenza stipulato nell’ambito di un contratto di agenzia, ai sensi dell’art. 1751-bis c.c., soffermandosi in particolare sulla derogabilità del requisito dell’onerosità e sulle modalità di corresponsione dell’indennità.

Secondo la Suprema Corte, il patto di non concorrenza può essere validamente stipulato anche in assenza di un corrispettivo specificamente determinato e separato, in quanto l’art. 1751-bis c.c. non prevede espressamente una sanzione di nullità in caso di mancata remunerazione. La previsione normativa affida infatti la quantificazione dell’indennità alla contrattazione tra le parti, avuto riguardo agli accordi economici collettivi, alla durata (massimo biennale) del vincolo, alla natura del contratto e all’indennità di fine rapporto. Laddove manchi l’accordo, è il giudice a doverla determinare in via equitativa.

Nel caso di specie, un agente contestava la validità di una clausola che prevedeva il pagamento dell’indennità per il patto di non concorrenza mediante anticipi corrisposti in costanza di rapporto, in percentuale sulle provvigioni, anziché al momento della cessazione dello stesso. La Corte d’appello di Trieste aveva ritenuto legittima tale modalità, respingendo la tesi del ricorrente secondo cui l’indennità dovesse avere natura non provvigionale e autonoma rispetto ai compensi maturati in corso di contratto.

La Cassazione conferma l’impostazione dei giudici di merito, ritenendo che, se il patto è derogabile nell’an, lo è a maggior ragione nel quomodo: le parti possono quindi pattuire forme di pagamento anche diverse da quelle tradizionali, comprese modalità rateali o integrate nei compensi periodici, purché sia possibile un eventuale conguaglio finale. Non sussiste dunque alcuna nullità della clausola che preveda l’erogazione anticipata del corrispettivo, eventualmente anche in forma provvigionale, se ciò avviene nel rispetto dell’equilibrio contrattuale complessivo.

L’ordinanza si inserisce nel solco dell’orientamento già tracciato da Cass. nn. 12127/2015 e 13706/2017, secondo cui la disciplina dell’art. 1751-bis c.c. – introdotto dall’art. 23 L. 422/2000non ha natura imperativa né tutela interessi pubblici generali, ma si limita a definire un quadro di riferimento derogabile per via pattizia. Ne consegue un’ampia libertà negoziale nella strutturazione del patto, anche sotto il profilo della sua remunerazione.

_________________________________

12. Risarcimento del danno nelle controversie di agenzia.

Oltre a provvigioni e indennità, talvolta l’agente invoca il risarcimento del danno per condotte illegittime del preponente. Le situazioni tipiche riguardano: la rottura abusiva del contratto (oltre il mancato preavviso già indennizzato), il mancato guadagno per provvigioni sfumate a causa di atti del preponente, oppure danni all’immagine professionale dell’agente.

La giurisprudenza è però tendenzialmente restrittiva nel riconoscere ulteriori risarcimenti, per evitare duplicazioni con le tutele già previste. Ad esempio, in Cass. 13792/2024 l’agente aveva richiesto un ingente risarcimento (quasi 1,95 milioni di euro) per lucro cessante corrispondente ai guadagni futuri persi a causa dell’interruzione del rapporto. Tuttavia, essendo stata accertata la legittimità della risoluzione per inadempimento dell’agente stesso, la domanda di danni è stata respinta in radice. Più in generale, se la cessazione del rapporto è lecitamente avvenuta (con preavviso, o per giusta causa imputabile all’agente), l’agente non può pretendere alcun risarcimento ulteriore rispetto alle indennità contrattuali previste.

_________________________________

13. Procacciatore d’affari e agente di commercio: differenze operative.

La giurisprudenza del 2024 conferma criteri ormai consolidati nella qualificazione dei rapporti di agenzia, ribadendo con chiarezza il discrimine rispetto al procacciamento d’affari. In particolare, viene richiamato il principio secondo cui l’agenzia si caratterizza per la continuità e stabilità dell’attività promozionale e per l’inserimento organizzato dell’agente nella rete del preponente, in contrapposizione alla saltuarietà e occasionalità propria del procacciatore.

La giurisprudenza recente (Trib. Roma 2024 n. 2615; Cass. 16565/2020; Cass. 35740/2022) ribadisce che il contratto di agenzia si distingue per la continuità e stabilità dell’attività promozionale a favore del preponente, in una zona o settore determinato, con remunerazione prevalentemente provvigionale e possibile diritto di esclusiva. L’agente opera autonomamente ma con vincolo di assiduità, rendendo conto dell’attività svolta.

Al contrario, il procacciatore d’affari svolge un’attività saltuaria, senza obbligo stabile né inserimento nell’organizzazione del preponente, limitandosi a segnalare affari in modo occasionale (cfr. Cass. 19828/2013; Cass. 13629/2005).

La recente ordinanza Cass. 10656/2024 conferma questo quadro, precisando che la continuità dell’attività e la stabilità della collaborazione sono elementi sufficienti a qualificare il rapporto come agenzia. Nel caso deciso, la società ricorrente sosteneva che mancasse la prova di un vero obbligo di promozione da parte dei collaboratori. Tuttavia, la Corte ha ritenuto che l’obbligo di agire si desume dalla struttura e dall’organizzazione stabile del rapporto: non è necessario isolare la prova di un vincolo giuridico distinto, poiché la stabilità e l’inserimento nella rete del preponente sono già indici tipici del contratto di agenzia.

_________________________________

14. Rapporto tra incaricati alla vendita diretta a domicilio e contratto di agenzia.

(Corte d’Appello di Roma, Sez. lavoro, 23 febbraio 2024, n. 791)

La Corte ha stabilito che tra preponente e agenti incaricati alla vendita diretta a domicilio non sussisteva un rapporto di agenzia, annullando il verbale ispettivo e l’obbligo di versamento dei contributi previdenziali.

Principi confermati: L’attività di incaricato alla vendita diretta a domicilio, disciplinata dalla Legge n. 173/2005, non costituisce automaticamente un contratto di agenzia.
Il D.Lgs. n. 147/2012, art. 7, precisa che, per la configurabilità del contratto di agenzia nella vendita a domicilio, occorre la presenza di:

  • un obbligo contrattuale vincolante di svolgere attività promozionale;
  • un’esclusiva territoriale;
  • vincoli di durata della prestazione.

Nel caso concreto (sentenza n. 791/2024), la Corte ha rilevato che:

  • le lettere di incarico non prevedevano alcun obbligo di promozione;
  • gli incaricati operavano liberamente, senza assegnazione di zona e senza obiettivi minimi di vendita;
  • era possibile interrompere l’attività in ogni momento, senza preavviso né penalità;
  • non vi era una reale esclusiva territoriale, ma solo un generico divieto di concorrenza.

Ulteriori elementi:

  • L’attività era svolta sulla base di semplici autorizzazioni alla vendita e il compenso era legato esclusivamente agli ordini effettivamente conclusi.
  • La pianificazione logistica interna del preponente (organizzazione delle filiali, mezzi di consegna) non bastava a configurare un vincolo contrattuale di attività promozionale da parte dell’agente.

_________________________________

15. Il rito applicabile: ordinario o lavoro?

La Corte di Cassazione (Cass. civ., Sez. lavoro, Ord., 11 settembre 2024, n. 26722), decidendo su un regolamento di competenza, ha stabilito che nelle controversie relative al contratto di agenzia occorre avere riguardo alla natura sostanziale del rapporto e non alla sua formale intestazione. Nel caso di specie, pur essendo il contratto sottoscritto da una società, l’attività era svolta personalmente e senza autonoma organizzazione imprenditoriale dall’agente. È stata dunque riconosciuta la competenza funzionale del giudice del lavoro ai sensi dell’art. 409, n. 3, c.p.c., cassando la pronuncia che aveva declinato la competenza in favore del giudice ordinario.

_________________________________

16. Clausola di deroga della giurisdizione nel contratto di agenzia.

Con l’ordinanza n. 15389/2024, le Sezioni Unite della Cassazione si sono pronunciate sulla validità e l’efficacia di una clausola di deroga convenzionale della giurisdizione contenuta in un contratto di agenzia internazionale. Nel caso di specie, il contratto attribuiva la competenza esclusiva al Tribunale di Dubai. Il Tribunale di Lucca aveva accolto l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalla preponente italiana; la Corte d’Appello di Firenze, in riforma, aveva invece ritenuto sussistente la giurisdizione italiana, valorizzando la condotta dell’agente estero che aveva agito in Italia.

Le Sezioni Unite hanno accolto il ricorso, ribadendo che una clausola attributiva della giurisdizione, validamente stipulata e provata per iscritto ai sensi dell’art. 4, comma 2, l. n. 218/1995, ha natura esclusiva e vincolante, a meno che le parti non abbiano espressamente previsto il carattere facoltativo dell’opzione. La semplice proposizione della domanda davanti al giudice italiano da parte dell’agente straniero non determina il superamento della deroga pattizia