Le vendite parallele nei sistemi di distribuzione costituiscono un tema rilevante e complesso nella normativa antitrust, avendo impatti pratici assai significativi sulle politiche commerciali a tutti i livelli della catena distributiva. Questo fenomeno assume un ruolo particolarmente centrale nella distribuzione selettiva, una forma di organizzazione delle vendite in cui il fornitore stabilisce criteri specifici per selezionare i distributori autorizzati, prevalentemente con l’obiettivo di limitare la rivendita dei propri prodotti al di fuori della rete autorizzata e proteggere il prestigio del proprio marchio.

Tuttavia, indipendentemente dai piani distributivi del produttore, il sistema di distribuzione non potrà mai essere completamente “stagno” (risultando altrimenti in contrasto con i principi fondanti della Unione Europea[1]), e accade spesso che prodotti vengano venduti, anche all’interno del territorio in cui è stato creato un sistema di distribuzione esclusiva, da venditori paralleli.

Questo articolo si propone di chiarire i requisiti e le condizioni essenziali per consentire a un fornitore di creare una rete di distribuzione selettiva e di analizzare gli strumenti legali a disposizione per proteggere tale rete da vendite non autorizzate. Queste vendite, effettuate da distributori non approvati tramite canali paralleli, possono infatti compromettere sia l’immagine del marchio sia la qualità percepita dei prodotti.

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1. Definizione e finalità della distribuzione selettiva.

Secondo l’articolo 1 del Regolamento UE 2022/720, un sistema di distribuzione selettiva è definito come un sistema in cui il fornitore si impegna a vendere i beni o servizi contrattuali esclusivamente a distributori selezionati, in base a criteri specifici, e questi ultimi si impegnano a non rivendere tali prodotti a rivenditori non autorizzati nei territori riservati al sistema.

La distribuzione selettiva si distingue essenzialmente dalla distribuzione esclusiva per il fatto che il produttore può imporre ai membri della propria rete di vendere i prodotti esclusivamente a rivenditori autorizzati, o, in alternativa, anche a soggetti esterni, purché rispettino gli standard qualitativi definiti dal produttore e imposti agli stessi distributori autorizzati.[2]

Posto che si tratta di una struttura che limita in maniera molto importante la concorrenza (certamente superiore rispetto alla distribuzione esclusiva), la sua applicabilità solleva rilevanti questioni di compatibilità con le norme antitrust europee, in particolare in relazione all’articolo 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE).[3]

Occorre innanzitutto partire dall’assunto che il principio giuridico adottato dal legislatore europeo, da ultimo confermato con il Regolamento UE 2022/720, si basa sul presupposto che la distribuzione selettiva sia stata concepita per rispondere a specifiche esigenze di mercato non soddisfatte dalla distribuzione esclusiva. Tali esigenze riguardano principalmente la tutela di prodotti di lusso o tecnologicamente avanzati, che richiedono una gestione commerciale particolarmente complessa e accurata.

È indubbio, infatti, che la qualità di tali prodotti non derivi unicamente dalle loro caratteristiche materiali, ma anche dalle modalità con cui vengono venduti, presentati e commercializzati al pubblico. Queste modalità contribuiscono a preservare lo stile e l’immagine di prestigio che conferisce loro un’aura di lusso, elemento essenziale per distinguerli agli occhi dei consumatori da prodotti simili. Con la conseguenza che, qualsiasi danno a tale aura di lusso può compromettere la qualità percepita dei prodotti stessi.[4]

In tale contesto, la Corte ha segnatamente ritenuto che l’organizzazione di un sistema di distribuzione selettiva che ha lo scopo di assicurare una presentazione che valorizza prodotti di prestigio nel punto vendita possa contribuire alla notorietà dei prodotti di cui trattasi e quindi a salvaguardare la loro aura di lusso.[5]

La protezione dell’aura e dell’immagine del marchio è l’obiettivo principale perseguito dal produttore e, allo stesso tempo, come si vedrà, rappresenta lo strumento a disposizione del titolare per tutelarsi adeguatamente dalle vendite parallele.

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2. I requisiti del sistema di distribuzione selettiva.

La giurisprudenza della Corte ha stabilito che, per valutare la compatibilità di un sistema di distribuzione selettiva con l’art. 101, è necessario applicare tre criteri meglio noti come criteri Metro (dal nome della celebre sentenza[6]), riassumibili come segue:

  • in primo luogo, la natura dei beni o servizi in questione deve giustificare l’adozione di un sistema di distribuzione selettiva. Questo significa che, in base alle caratteristiche specifiche del prodotto, tale sistema deve costituire un requisito legittimo per preservarne la qualità e garantirne un utilizzo adeguato (come anticipato, il ricorso alla distribuzione selettiva può essere legittimo per prodotti di alta qualità, tecnologicamente avanzati[7] o beni di lusso[8]).
  • In secondo luogo, la selezione dei rivenditori deve basarsi su criteri oggettivi di natura qualitativa, stabiliti indistintamente per tutti i potenziali rivenditori e applicati in modo non discriminatorio.
  • In terzo luogo, i criteri stabiliti non devono eccedere ciò che è necessario.

Sulla base di tali presupposti, la giurisprudenza europea, pur riconoscendo che la distribuzione selettiva incida sulla concorrenza del mercato interno, ne giustifica l’adozione se adottata con l’obiettivo di sostenere un commercio specializzato, capace di soddisfare richieste particolari e di garantire la qualità e il valore tecnologico dei prodotti distribuiti. Questi requisiti permettono di superare una concorrenza basata principalmente sul prezzo, ponendo maggiormente l’accento su fattori quali la qualità del servizio e il supporto post-vendita, elementi che mirano a realizzare un risultato legittimo e contribuiscono a una concorrenza qualitativa.[9]

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3. Clausole contrattuali volte alla tutela del marchio.

Nel contesto della distribuzione selettiva, il produttore o fornitore stabilisce una serie di impegni contrattuali che il rivenditore autorizzato è tenuto a rispettare per garantire la tutela del posizionamento e dell’immagine del marchio. Sebbene le clausole possano variare, esse mirano principalmente a preservare gli standard qualitativi e a garantire che i prodotti siano esposti in modo tale da rispettare l’immagine e la notorietà del brand.

Di seguito analizziamo gli impegni contrattuali più rilevanti che il distributore selettivo deve rispettare, prendendo spunto da una recente ordinanza del Tribunale di Milano.[10]

Esclusività e salvaguardia dell’immagine del marchio: Uno degli obblighi principali riguarda l’esclusività del punto vendita. Il rivenditore autorizzato è tenuto a esporre e vendere i prodotti esclusivamente presso il proprio punto vendita (sia esso fisico o online), evitando qualsiasi esposizione o vendita all’esterno. Viene vietata anche la vendita in prossimità di prodotti che, per la loro natura o qualità inferiore, potrebbero svalutare l’immagine del marchio rappresentato. Talvolta viene concesso ai rivenditori di commercializzare marchi concorrenti, solamente se compatibili con l’immagine e la notorietà del brand. In pratica, si intende assicurare che i prodotti, siano collocati in contesti adeguati e non compromettano l’aura di esclusività e di lusso del marchio.

Esposizione dei prodotti e del marchio: Il contratto di distribuzione selettiva impone specifici obblighi sull’esposizione del marchio. Il rivenditore deve posizionare i prodotti in modo strategico, utilizzando espositori dedicati e targhette con il logo del marchio. Una scelta mirata a evidenziare il prestigio del brand. Inoltre, i prodotti devono essere presentati ad esempio in mobili dedicati, mantenendo caratteristiche dimensionali e visive che ne rispecchino il posizionamento. Questa attenzione al dettaglio consente di rafforzare la percezione del brand e di presentarlo al consumatore in modo coerente con la sua immagine di lusso.

Standard qualitativi: Per mantenere un servizio e un’esperienza di acquisto allineati con le aspettative del brand, il rivenditore deve rispettare specifici standard qualitativi. Questo include la competenza del personale, che deve avere formazione e esperienza idonee. L’obiettivo di questi requisiti è assicurare che ogni interazione con il cliente rifletta i valori del brand, fornendo un servizio di qualità superiore che si distingue per attenzione ai dettagli e professionalità.

Servizio di consulenza ai negozi: Per valorizzare i prodotti e supportare il cliente nella scelta (che in tal caso è il negoziante), in alcuni contratti può essere richiesto al rivenditore autorizzato di offrire un servizio di consulenza adeguato. Tale servizio deve essere proporzionato alla superficie del punto vendita, al numero di marchi presenti e alla quantità di prodotti disponibili. La consulenza è concepita come un valore aggiunto, finalizzato a migliorare l’esperienza di acquisto e a consolidare la percezione di qualità e specializzazione del brand.

Corretta conservazione dei prodotti: Il rivenditore autorizzato si impegna ad offrire alla clientela prodotti perfettamente conservati e dotati della loro presentazione o confezione originale. Questo garantisce che i prodotti siano sempre nelle migliori condizioni possibili, rafforzando la fiducia dei consumatori e preservando la qualità associata al marchio.

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4. La c.d. riparazione selettiva

Nella distribuzione selettiva, spesso il distributore mira a mantenere uno standard elevato che copra tutte le fasi della vendita – dall’offerta all’acquisto e fino alla riparazione – per garantire un livello di qualità costante e un’esperienza omogenea per il consumatore. In questo contesto, si avverte la necessità di includere nella rete anche il servizio post-vendita, creando un sistema di c.d. riparazione selettiva.

Questa scelta risulta particolarmente rilevante per quei prodotti che richiedono interventi di manutenzione specifici, indispensabili per preservarne la qualità e garantirne un uso ottimale.

Da tempo la giurisprudenza comunitaria sostiene che la distribuzione selettiva possa necessitare di un servizio di vendita e post-vendita adeguato alle peculiarità della specifica tipologia di distribuzione adottata.[11] Sul tema, il Tribunale di Milano, ha inoltre recentemente stabilito, nel caso di specie e in termini generali, che l’ammissibilità di un sistema di rivendita selettiva non sia giustificata tanto dalla preservazione dell’immagine del marchio in sé, che potrebbe comportare una restrizione della concorrenza, quanto piuttosto dall’obiettivo di mantenere la qualità dei prodotti nel loro uso corretto, nonché dal perseguimento di un commercio specializzato, capace di offrire prestazioni specifiche per prodotti ad alto livello qualitativo e tecnologico.[12]

Sulla base della giurisprudenza sopra citata, la riparazione selettiva sembrerebbe richiedere un requisito ulteriore rispetto a quelli previsti per la distribuzione selettiva: non solo la tutela del prestigio del marchio, ma anche la garanzia del mantenimento della qualità del prodotto, che potrebbe altrimenti essere compromessa da riparatori esterni alla rete selettiva, i quali non rispettano gli standard qualitativi imposti dal produttore ai membri autorizzati.

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5. Vendite parallele nei sistemi di distribuzione selettiva.

5.1. Rapporti extracontrattuali nel contesto delle vendite parallele.

Spesso accade che, anche all’interno di un sistema di distribuzione selettiva, vengano effettuate vendite da parte di soggetti esterni alla rete autorizzata, le cosiddette vendite parallele. Si tratta di vendite realizzate da terzi con cui il produttore non ha un rapporto contrattuale diretto, ma un rapporto di natura extracontrattuale. Questo comporta che le condizioni di vendita concordate tra il titolare del diritto e i rivenditori autorizzati, essendo efficaci solo tra le parti, non possano essere imposte a terzi, ex articolo 1372, secondo comma, c.c.

In altre parole, il fornitore si trova nell’impossibilità di far valere direttamente le proprie condizioni contrattuali verso soggetti non autorizzati, non potendo quindi ricorrere agli strumenti giuridici tipici dei rapporti contrattuali. Sviluppando questo principio,  principio, la stessa la Corte di Cassazione ha più volte confermato che il titolare non può estendere le limitazioni contrattuali della rete selettiva a soggetti esterni, a meno che non vi sia un pregiudizio effettivo all’immagine del marchio.[13]

Stante la natura extracontrattuale del rapporto, per tutelare il proprio marchio e la qualità della rete distributiva, il fornitore può/deve così fare affidamento su strumenti giuridici alternativi, collegati essenzialmente con le norme sulla proprietà intellettuale.[14]

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5.2. Il principio dell’esaurimento del marchio: limiti e tutela dell’immagine del brand.

L’art. 7 della direttiva europea 2008/95/CE, recepito in Italia con l’art. 5 del Codice della Proprietà Industriale, ha introdotto nel nostro ordinamento il principio di esaurimento del marchio. In base a questo principio, una volta che un prodotto viene immesso sul mercato dell’Unione Europea dal titolare del marchio o con il suo consenso, i diritti esclusivi su quel prodotto si esauriscono, limitando l’esclusiva al primo atto di commercializzazione. Tuttavia, questa regola presenta un’eccezione: il comma 2 dell’art. 5 CPI permette al titolare di opporsi alla vendita successiva in presenza di “motivi legittimi,” come il rischio di danneggiare l’immagine di lusso e prestigio del marchio.

Read also: Parallel sales and the principle of brand exhaustion.

La giurisprudenza comunitaria ha chiarito che una rete di distribuzione selettiva può essere considerata tra i “motivi legittimi” di protezione del marchio quando la distribuzione non autorizzata rischia di compromettere l’immagine e il valore distintivo di prodotti di lusso o di alto prestigio. In questi casi, l’obiettivo della rete selettiva non è solo quello di limitare la concorrenza, ma anche di garantire che i prodotti siano distribuiti in un contesto che ne preservi l’aura esclusiva, mantenendo elevati standard qualitativi e un’esperienza d’acquisto in linea con le aspettative del pubblico per quella tipologia di prodotto.[15]

In linea con quanto sopra, la giurisprudenza nazionale ha confermato che il titolare del marchio può legittimamente opporsi alla rivendita esterna alla rete selettiva solo se tale commercializzazione comporta un danno effettivo o potenziale alla reputazione del marchio.[16]

D’altro canto, la giurisprudenza ha chiarito che il terzo non possa giustificare la propria attività di vendita parallela semplicemente sostenendo di aver acquistato i prodotti da un rivenditore autorizzato che, a sua volta, abbia violato le proprie obbligazioni contrattuali.[17] Parimenti, non è sufficiente invocare il mancato rispetto dei requisiti da parte di altri rivenditori autorizzati come pretesto per legittimare la vendita al di fuori della rete. A tal proposito, la giurisprudenza sottolinea che “il mancato rispetto dei requisiti da parte di altri distributori autorizzati non esclude l’illecito, e quindi la violazione delle condizioni generali di vendita.”[18]

Ne consegue che, se la vendita parallela viene effettuata in modo tale da non compromettere l’immagine o la qualità percepita del marchio, il titolare non può opporsi a tale rivendita, poiché, in assenza di un danno effettivo o potenziale alla reputazione del marchio stesso, decadono i motivi legittimi che giustifichino il blocco della vendita parallela.

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5.3. La prova del pregiudizio.

Da ultimo, è importante rilevare che, per giustificare un’eccezione al principio dell’esaurimento, non è sufficiente il semplice pericolo o la possibilità di pregiudizio: è necessaria l’effettiva sussistenza di un danno concreto. Di conseguenza, il pregiudizio deve emergere da circostanze specifiche e comprovabili; non è sufficiente, quindi, limitarsi a indicare una particolare modalità di vendita attuata da terzi estranei alla rete selettiva. Occorre dimostrare che tali modalità causino, nel caso concreto, un danno grave all’aura di prestigio del marchio.[19]

La giurisprudenza ha precisato che la “misura minima di rispetto dell’immagine” dei marchi di lusso risiede nella necessità che i prodotti contraddistinti da tali marchi, caratterizzati da ricercatezza e qualità intrinseca, non siano associati a prodotti analoghi ma di scarsa qualità, o a prodotti del tutto diversi e privi delle prerogative di prestigio. In definitiva, è essenziale che la presentazione dei prodotti di lusso non venga associata ad altri prodotti privi di caratteristiche analoghe, al fine di preservare l’immagine esclusiva e l’elevato valore percepito del marchio.[20]

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[1] Principio che è stato inizialmente introdotto, seppure con riferimento alla vendita esclusiva, dalle storiche sentenze Grundig, Sentenza del 13 luglio 1966, cause riunite Costen e Grundig 56/64 e 58/64.

[2] Cfr. Art. 4, lett. c), VBER 720/2022.

[3] CFr. Punto 146 e seguenti Orientamenti sulle restrizioni verticali 2022/C 248/01

[4]Cfr. in tal senso, sentenza del 23 aprile 2009, Copad, C‑59/08, EU:C:2009:260, punti da 24 a 26 e giurisprudenza citata

[5] In tal senso, sentenza del 23 aprile 2009, Copad, C‑59/08, EU:C:2009:260, punto 29.

[6] Sentenza del 25 ottobre 1977, Metro/Commissione, C-26/76.

[7] Causa Metro/Commissione, Causa C-107/82 – AEG/Commissione.

[8] Cfr. Causa C-230/16 , Causa Coty Germany.

[9] Tribunale UE del 25 ottobre 1983, Telefunken/Commissione, 107/82, e della Corte di Giustizia del 13 ottobre 2011, Pierre Fabre Dermo-Cosmétique, C-439/09, punto 39.

[10] Tribunale di Milano, ordinanza del 2 gennaio 2023.

[11] Tribunale UE, sentenza del 22 ottobre 1980, Metro/Commissione, 75/84, punto 54.

[12] Tribunale di Milano, sentenza del 27 settembre 2022, n. 7389.

[13] Cassazione, 14 marzo 2023, N. 7378.

[14] Tribunale di Milano, ordinanza del 17 marzo 2016; Corte di Giustizia Europea, sentenza del 30 novembre 2004, C-16/03; Tribunale di Milano, sentenza del 9 dicembre 2008.

[15] Corte di Giustizia UE, causa C-59/08, Copad vs. Christian Dior.

[16] Tribunale di Milano, 11 gennaio 2016; Tribunale di Torino, 17 dicembre 2018.

[17] Tribunale di Milano, ordinanza del 2 gennaio 2023.

[18] Tribunale di Milano, 20 luglio 2018.

[19] Tribunale Milano, ordinanza 17.3.2023.

[20] Tribunale Milano, ordinanza 12.1.2021.