Il fallimento del preponente. Per quali somme si può insinuare l’agente al passivo?

L’art. 2751-bis c. c., conferisce a favore dell’agente un privilegio generale sui mobili che si pone ex art. 2777 c.c. immediatamente dopo le spese di giustizia ed i crediti dei lavoratori subordinati. Tale articolo così recita:

Hanno privilegio generale sui mobili i crediti riguardanti: […] le provvigioni derivanti dal rapporto di agenzia dovute per l’ultimo anno di prestazione e le indennità dovute per la cessazione del rapporto medesimo.

Tale norma costituisce uno dei diversi indici della tendenza legislativa ad assimilare l’agente al lavoratore subordinato; in forza di tale disposizione l’agente può vantare privilegio generale sui beni del debitore sia a tutela delle provvigioni maturate nell’ultimo anno di prestazioni, sia per le indennità dovute in conseguenza della cessazione del rapporto stesso.

Giova sottolineare che nel 2013 le Sezioni Unite[1] hanno definitivamente sancito che il principio per cui il privilegio generale previsto dalla norma in commento non assiste i crediti per provvigioni spettanti alla società di capitali che eserciti l’attività di agente.

Quanto al termine annuale previsto dall’art. 2751-bis c.c. esso è riferibile alle provvigioni e non invece alle altre voci indennitarie; inoltre, secondo dottrina[2] e giurisprudenza[3], tale ultimo anno non parte dalla data di dichiarazione dell’insolvenza, ma dalla cessazione del rapporto stesso, posto che nell’esplicita lettera della norma, si fa espresso riferimento all’ “ultimo anno di prestazione” e non di ultimo anno rispetto al fallimento. Bisogno precisare che, secondo la giurisprudenza maggioritaria, in caso in cui il rapporto di agenzia fosse ancora in essere alla data del fallimento, tale periodo annuale dovrà considerarsi coincidere con la data della  dichiarazione del fallimento stesso.[4]

Molto importante sottolineare che l’art. 1748 c.c. dispone che:

“L’agente ha diritto alla provvigione sugli affari conclusi dopo la data di scioglimento del contratto se la proposta è pervenuta al preponente o all’agente in data antecedente o gli affari sono conclusi entro un termine ragionevole dalla data di scioglimento del contratto e la conclusione è da ricondurre prevalentemente all’attività da lui svolta.”

Alla luce di tale dettato normativo, pertanto, il privilegio comprende gli affari promossi dall’agente prima della cessazione del rapporto e conclusi sia prima, che dopo lo scioglimento[5] anche nel caso in cui gli stessi non siano stati ancora eseguiti dal preponente.[6]

Contrariamente, prescinde da qualsiasi riferimento o limitazione temporale il riconoscimento che l’art. 2751 bis n. 3 fa del privilegio relativo alle indennità dovute per la cessazione del rapporto medesimo.[7] Non si può dire lo stesso per l’indennità suppletiva di clientela, la quale costituisce un istituto di natura contrattuale e non normativa (disciplinato appunto dagli AEC) e pertanto non rientrante nel elenco tassativo previsto dalla norma oggetto di analisi.

Sulla base di quanto esposto, nel caso in cui il rapporto contrattuale sia terminato per fatto non imputabile all’agente e, a seguito dello scioglimento del rapporto, intervenga il fallimento del preponente, l’agente avrà diritto a insinuarsi al passivo, con privilegio generale, chiedendo le provvigioni relative all’ultimo anno di attività e le indennità di fine rapporto ex art. 1751 c.c. nonnché, in caso di recesso ad nutum, l’indennità di mancato preavviso.

Un problema molto discusso riguarda invece gli effetti del fallimento su un rapporto di agenzia ancora in corso al momento della dichiarazione dell'insolvenza stessa. Infatti nel silenzio della legge, ci si chiede se, in caso di fallimento del preponente, il contratto di agenzia debba essere regolato dalla normativa generale di cui all’art. 72 della L.F. e pertanto debba essere sospeso nella sua esecuzione fino al momento in cui il curatore, autorizzato dal comitato dei creditori, dichiari di subentrarvi o di sciogliere il rapporto, ovvero debba applicarsi la norma dedicata al mandato (art. 78 L.F.), con la conseguenza che se fallisce il preponente si ha scioglimento automatico del contratto stesso.

Tale questione ha grandissima rilevanza pratica, infatti, qualora debba ritenersi applicabile l’art. 72 L.F., il rapporto contrattuale non viene sciolto a seguito della mera dichiarazione di fallimento, bensì rimane sospeso in una sorta di fase di quiescenza, fintantoché il curatore non opti per la prosecuzione ovvero cessazione del relativo rapporto negoziale, con conseguente diritto, in tal ultimo caso, dell’agente alle indennità di fine rapporto. In caso contrario, ossia di applicazione dell’art. 78 L.F., lo scioglimento opera di diritto, con conseguente esclusione del diritto dell’agente alla corresponsione delle indennità dovute per la cessazione del rapporto medesimo.

La giurisprudenza maggioritaria sul punto ritiene che:

con riferimento al contratto di agenzia, in virtù del peculiare carattere fiduciario del rapporto di preposizione, in caso di fallimento, non è applicabile la nuova regola generale contenuta nell’art. 72 L.F., ed anzi il contratto si scioglie ope legis, con esclusione del diritto dell’agente alla corresponsione dell’indennità per cessato rapporto e di mancato preavviso appunto in conseguenza dell’operatività dello scioglimento del contratto per causa indipendente dalla volontà delle parti.[8]

Contrariamente, in caso si ritenga applicabile la disciplina generale di cui all’art. 72 L.F. ed il curatore opti per la prosecuzione del rapporto, i crediti dell’agente maturati a seguito dello svolgimento della propria attività in pendenza del fallimento, si insinuano in prededuzione per l’attività compiuta dopo la dichiarazione di insolvenza ex art. 111 c. 1 n. 1 L. F.[9]

Da ultimo si tiene a precisare che, con riguardo ai contributi versati presso l’istituto ENASARCO essi non avendo né natura indennitaria, né provvigionale, non sono coperti dal privilegio ex art. 2751 bis c.c. e neppure possono rientrare nella previsione dell’art. 2753 c.c., esclusivo del lavoro subordinato.[10]

 

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[1] Cass. Civ. Sez. Un. 2013 n. 27986.

[2] Venezia – Baldi, Il contratto di agenzia, pag.  299, 2015, Milano.

[3] Trib. Perugia 30.12.1991; Trib. Roma 19.9.2007.

[4] Trib. Prato 18 gennaio 2012, in Fallimento 2012, pag. 583, con breve nota di COMMISSO, Scioglimento ex lege del contratto di agenzia in caso di fallimento del preponente.

[5] Venezia – Baldi, Il contratto di agenzia, pag.  300, 2015, Milano.

[6] Cass. Civ. 2011, n. 9539.

[7] Trib. Roma 19 settembre 2007.

[8] Trib. Prato 18 gennaio 2012, in Fallimento 2012, pag. 583, con breve nota di COMMISSO, Scioglimento ex lege del contratto di agenzia in caso di fallimento del preponente

[9] Memento Pratico, Crisi di impresa e fallimento, pag. 435, nr. 3100, 2016, Ipsoa.

[10] Venezia – Baldi, Il contratto di agenzia, pag.  299, 2015, Milano


Come si calcola l'indennità di scioglimento del contratto secondo gli AEC Industria 2014?

L’art. 10 degli AEC industria 2014 (cfr. anche , suddivide l'indennità di fine rapporto in tre componenti:

  • indennità di risoluzione del rapporto, accantonata dal preponente presso il fondo ENASARCO (FIRR) (capo I);
  • indennità suppletiva di clientela riconosciuta all’agente o rappresentante anche in assenza di un incremento della clientela e/o del giro d’affari (capo II);
  • indennità meritocratica, collegata all’incremento della clientela e/o del giro d’affari (capo III).

Il terzo comma dell’articolo 10, prevede altresì che l’indennità vada computata su tutte le somme, comunque denominate, percepite dall’agente nel corso del rapporto, nonché sulle somme per le quali al momento della cessazione del rapporto, sia sorto il diritto al pagamento in favore dell’agente o rappresentante, anche se le stesse non siano state in tutto o in parte corrisposte.

Ciò comporta che tali indennità (in tema cfr. anche calcolo indennità ex art. 1751 c.c., calcolo indennità ex AEC 2009, calcolo indennità ex ANA 2003) andranno calcolate tenendo conto anche:

  • degli emolumenti non aventi carattere provvigionale, quali ad esempio rimborsi per spese e/o attività accessorie;
  • delle somme maturate, ma ancora non percepite e/o versate all’agente alla data dello scioglimento del rapporto.

(cfr. anche La contrattazione collettiva. Origini, valore ed applicabilità. E se un contraente è straniero, si applicano oppure no?)

I. FIRR

Il FIRR viene accantonato presso l’ENASARCO da parte del preponente e, allo scioglimento del rapporto, è dovuto all’agente indipendentemente da un eventuale incremento della clientela e/o degli affari. Non viene invece riconosciuto in caso di interruzione del rapporto ad iniziativa del preponente, giustificata da i seguenti comportamenti dell’agente: ritenzione indebita di somme di spettanza del preponente, concorrenza sleale, violazione del vincolo di esclusiva per una sola ditta.

L’obbligo di accantonamento del FIRR sussiste solamente nel caso di applicazione degli AEC al rapporto. Gli AEC sono applicabili al contratto, solamente qualora entrambe le parti (preponente e agente) siano iscritte alle associazioni sindacali stipulanti, oppure, in caso contrario, le parti abbiano richiamato espressamente gli AEC nel contratto, ovvero abbiano provveduto ad una loro applicazione implicita nel corso del rapporto (ad esempio, quando il preponente abbia provveduto ad un’applicazione spontanea, costante ed uniforme di alcune provvisioni previste dagli AEC).[1]  Ciò comporta che in caso di mancata applicazione degli AEC, il preponente non è tenuto ad accantonare il FIRR, bensì solamente versare all’Enasarco i contributi previdenziali.[2] (sul punto cfr. l’obbligo previdenziale dell’agente italiano e del preponente straniero).

Importante rilevare che giurisprudenza[3] e dottrina,[4] ritengono univocamente che la richiesta di pagamento del FIRR, vada avanzata nei confronti dell’Enasarco e non del preponente, fatto salvo per le somme non eventualmente accantonate da quest’ultimo.

Tale indennità si calcola annualmente con le seguenti modalità:

AGENTE MONOMANTATARIO

  • 4% sulla quota di provvigioni fino a € 12.400 annui
  • 2% sulla quota di provvigioni compresa tra € 12.400 annui e € 18.600 annui
  • 1% sulla quota di provvigioni eccedente € 18.600 annui

AGENTE PLURIMANDATARIO

  • 4% sulla quota di provvigioni fino a € 6.200 annui
  • 2% sulla quota di provvigioni compresa tra € 6.200 annui e € 9.300 annui
  • 1% sulla quota di provvigioni eccedente € 9.300 annui
II. INDENNITÀ SUPPLETTIVA

Posto che secondo la giurisprudenza maggioritaria, gli AEC rappresentano per l'agente un trattamento minimo garantito,[5] tale indennità verrà versata all’agente allo scioglimento del rapporto e sarà dovuta allo stesso indipendentemente dalla prova da parte dell’agente di avere sviluppato gli affari e/o la clientela del preponente, così come invece è previsto dall'indennità civilistica di cui all’art. 1751 c.c. (sul punto cfr. l’indennità di fine rapporto nel contratto di agenzia).

Essa verrà riconosciuta secondo le seguenti aliquote:

3% sull'ammontare globale delle provvigioni e delle altre somme dovute
0,50% aggiuntivo sulle provvigioni maturate dal quarto anno (nel limite massimo annuo di € 45.000 di provvigioni)
ulteriore 0,50% aggiuntivo sulle provvigioni maturare dal sesto anno compiuto (nel limite massimo annuo di € 45.000 di provvigioni)

Tale indennità sarà dovuta in tutti i casi in cui lo scioglimento del rapporto non sia dovuto ad un fatto imputabile all’agente (sia in caso di contratto a tempo determinato che a tempo indeterminato).  Non si considerano fatti imputabili all’agente:

  • dimissioni dovute ad accertati gravi inadempimenti del preponente,
  • dimissioni conseguenti ad invalidità permanente e totale,
  • dimissioni dovute ad infermità e/o malattia che non consentano la prosecuzione del rapporto,
  • dimissioni successive al conseguimento della pensione di vecchiaia o vecchiaia anticipata ENASARCO,
  • dimissioni successive al conseguimento della pensione di vecchiaia o vecchiaia anticipata INPS.
III. INDENNITÀ MERITOCRATICA

L’AEC Industria 2014 prevede un calcolo piuttosto strutturato per quantificare l'indennità meritocratica, che sarà riconosciuta all’agente solamente nel caso in cui risulti superiore alla somma delle due indennità sopra analizzate (FIRR + suppletiva).

Il calcolo dell’indennità meritocratica è la seguente:

  • Determinazione dell’incremento di clientela, costituita dalla differenza delle provvigioni percepite dall’agente all’inizio ed alla fine del rapporto, tenendo presente che il periodo di prognosi varierà in base alla qualifica dell’agente come mono o plurimandatario e dalla durata del rapporto, seguendo la seguente tabella:
Tipologia e durata Anni
Agente plurimandatario con durata inferiore o uguale a 5 anni 2,00
Agente monomandatario con durata inferiore o uguale a 5 anni 2,25
Agente plurimandatario con durata superiore a 5 anni e inferiore o uguale a 10 anni 2,50
Agente monomandatario con durata superiore a 5 anni e inferiore o uguale a 10 anni 2,75
Agente plurimandatario con durata superiore a 10 anni 3,00
Agente monomandatario con durata superiore a 10 anni 3,25
  • Si rende omogenea la cifra iniziale con quella finale, applicando alla stessa il coefficiente di rivalutazione Istat per i crediti di lavoro.
  • Si determina il tasso di migrazione della clientela in base alla seguente tabella:
Tipologia e durata percentuale
Agente plurimandatario con durata inferiore o uguale a 5 anni 27%
Agente monomandatario con durata inferiore o uguale a 5 anni 15%
Agente plurimandatario con durata superiore a 5 anni e inferiore o uguale a 10 anni 22%
Agente monomandatario con durata superiore a 5 anni e inferiore o uguale a 10 anni 20%
Agente plurimandatario con durata superiore a 10 anni 37%
Agente monomandatario con durata superiore a 10 anni 35%
  • Si sottrae per il primo anno del periodo di prognosi il citato tasso di migrazione dal valore dell’incremento di cui al punto 1. Per gli anni successivi del periodo di prognosi, il medesimo tasso di migrazione viene sottratto dal valore determinato per l’anno di prognosi precedente. Si sommano i risultati così ottenuti.
  • Si diminuisce forfetariamente l’importo ottenuto di una percentuale variabile pari:
    • Al 10% per i contratti di durata inferiore o uguale a 5 anni;
    • Al 15% per i contratti di durata superiore a 5 anni ed inferiore a 10 anni
    • Al 20% per i contratti di agenzia di durata superiore a 10 anni.
  • Si confronta l’indennità meritocratica calcolata in base ai precedenti punti con il valore massimo dell’indennità prevista dal terzo comma dell’art. 1751 c.c.
  • Si detrae dall’indennità meritocratica ottenuta l’indennità di risoluzione del rapporto e l’indennità di clientela.

[1] Cfr. Bortolotti, Contratti di distribuzione, 2016, Wolter Kluwer, pag. 87 e ss.

[2] Trib. Roma 14.1.2010.

[3] Trib. Bari 2.5.2012.

[4] Bortolotti, Contratti di distribuzione, 2016, Wolter Kluwer, pag. 365 e ss.

[5] Cfr. sul punto Cass. Civ. 2014 n. 7567. Si rileva comunque che la Corte di Giustizia europea, con una pronuncia del 23 marzo 2006, ha contestato la legittimità dell’indennità suppletiva di clientela così come prevista dal l’AEC, che consente all’agente di percepire comunque una indennità di fine rapporto, anche nel caso in cui l’agente non abbia effettivamente sviluppato la clientela del preponente e quest’ultimo ne tragga vantaggi anche a seguito della cessazione del rapporto; in linea con tale orientamento si riscontra un indirizzo minoritario della giurisprudenza di merito, che ha ritenuto gli AEC inapplicabili al nostro ordinamento e non ha pertanto riconosciuto all’agente la disciplina ivi riportata come un minimo garantito (Tribunale Treviso 29 maggio 2008. Tribunale Treviso 8 giugno 2008; Tribunale di Roma 11 luglio 2008).


L'obbligo previdenziale dell'agente italiano e del preponente straniero.

La Fondazione ENASARCO è l’Ente Nazionale di Assistenza per gli Agenti e Rappresentanti di Commercio e fu costituita nel 1938. Dal 1973[1] l’ENASARCO è divenuto un soggetto di diritto privato che persegue finalità di pubblico interesse mediante la gestione di forme di pensioni integrative obbligatorie a favore degli Agenti e Rappresentanti di Commercio ed il cui controllo pubblico è affidato al Ministero del Lavoro, Salute e Politiche Sociali e al Ministero dell’Economia e Finanze.

Le attività dell’ENASARCO, la natura giuridica e i compiti che la Fondazione persegue sono regolati dal Regolamento della Attività Istituzionali, che è stato recentemente modifica in data 1 gennaio 2012.

Gli artt. 1 e 2 del Regolamento impongono l’obbligo d’iscrizione e conseguentemente di contribuzione alla Fondazione ENASARCO in capo a tutti gli agenti (sia in forma individuale, che in forma di società) che operano sul territorio nazionale per conto di preponenti italiane o di preponenti straniere che abbiano sede o una qualsiasi .

Nulla viene disposto dal Regolamento 2012 sull’obbligo di iscrizione degli agenti che operano in Italia in favore di preponenti dell’Unione Europea che non hanno sede o dipendenza in Italia. Tale “vuoto” normativo è stato colmato da una circolare della ENASARCO[2] e da un interpello del Ministero del lavoro[3] che hanno allargato l’obbligo di iscrizione anche alle seguenti categorie:[4]

  • per gli agenti operanti in Italia e all’estero, purché l’agente risieda in Italia e vi svolga parte sostanziale della sua attività;
  • per gli agenti operanti in Italia e all’estero che non risiedano in Italia, purché l’agente abbia in Italia il proprio centro d’interessi (valutato in riferimento al numero dei servizi prestati, alla durata dell’attività, alla volontà dell’interessato);
  • per gli agenti operanti abitualmente in Italia e che si rechino a svolgere attività esclusivamente all’estero purché la durata di tale attività non superi i ventiquattro mesi.

Quanto all’importo annuo che il preponente deve accantonare presso il FIRR, esso viene così quantificato dall’AEC industria 2014:[5]

“Agente agente o rappresentante monomandatario a

  • 4% sulla quota di provvigioni fino a Euro 12.400,00 annui;
  • 2% sulla quota di provvigioni compresa tra Euro 12.400,01 annui ed Euro 18.600,00 annui;
  • 1 % sulla quota di provvigioni eccedente Euro 18.600,00 annui.

Agente o rappresentante plurimandatario:

  • 4% sulla quota di provvigioni fino a Euro 6.200,00 annui;
  • 2% sulla quota di provvigioni compresa tra Euro 6.200,01 annui ed Euro 9.300,00 annui;
  • 1 % sulla quota di provvigioni eccedente Euro 9.300,00 annui.”

Le aliquote previdenziale obbligatorie, che il preponente è tenuto a versare annualmente all’ENASARCO, sono regolato all’art. 4 del Regolamento e sono pari a:

2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019 2020
13,50% 13,75% 14,20% 14,65% 15,10% 15,55% 16,00% 16,50% 17,00%

 

I contributi vengono calcolati su tutte le somme dovute all’agente a qualsiasi titolo in dipendenza del rapporto di agenzia anche se non ancora liquidate, compresi acconti e premi (art. 4 del Regolamento), ma nel limite inderogabile del massimale di € 37.500,00 annui qualora l’agente sia impegnato ad esercitare la sua attività per un solo preponente e di € 25.000,00 per ciascun preponente dell’agente plurimandatario (art. 5 del Regolamento).

In caso di omissione contributiva da parte del preponente, l’art. 36 del Regolamento, impone come sanzione il pagamento di un tasso del 5,5% annuo sull’importo dei contributi non corrisposto entro la scadenza, con la fissazione di un tetto massimo del 40%.

Importante sottolineare che l’obbligo contributivo, seppure esso sia posto a carico del preponente e dell’agente in misura paritetica, si evidenzia il fatto che l’unico responsabile del pagamento dei contribuiti è il preponente, anche per la parte a carico dell’agente e che tali versamenti devono essere effettuati “con una periodicità massima di tre mesi, in rapporto alle somme a qualsiasi titolo dovute all’agente.

Quanto al termine di  prescrizione del diritto dell’ENASARCO a richiedere il versamento di contribuiti, esso è pari a cinque anni.[7] È invece decennale il termine prescrizionale dell’azione dell’agente diretta ad ottenere il risarcimento del danno da omesso o insufficiente versamento dei contributi ENASARCO, decorrente dal momento in cui l’agente, raggiunta l’età pensionabile, perde il relativo diritto o lo vede ridotto in ragione dell’omissione.[8]

Come si è già accennato nella parte introduttiva di questo articolo, alla quale si rimanda,[9] la previdenza gestita dall’ENASARCO rappresenta un caso unico non solo in Europa, ma anche in Italia, dal momento che essa è integrativa rispetto al trattamento pensionistico che gli agenti sono obbligati a versare personalmente presso l’INPS.[10] I rappresentati e gli agenti di commercio sono pertanto obbligati a versare i contributi verso due enti: da una parte personalmente presso l'Inps e, dall’altra parte, presso l'ENASARCO, il cui contributo, come si è visto, viene pagato dal preponente, in qualità di sostituto di imposta.[11]

Circa la quantificazione dei contributi INPS, è prevista una aliquota variabile pari a circa al 20/23%. Si rileva comunque che sulla parte di reddito eccedente i 100.324,00 per gli iscritti dopo il 01.01.1996 (ed € 76.718,00 per quelli iscritti prima di tale data), non vi è obbligo di versamento dell’INPS.

[1] Ai sensi della legge 2 febbraio 1973, n. 12

[2] Circolare AIS n. 2/2012 protocollo numero AIS/46.

[3] Interpello del Ministero del lavoro n. 32/2013.

[4] Cfr. anche Baldi-Venezia, Il contratto di agenzia, 2014, GIUFFRÈ.

[5] Si indica a titolo esemplificativo il FIRR previsto dall’AEC industria 2014; si rileva comunque che il FIRR previsto dagli altri AEC ad oggi vigenti sono in linea di massima in linea con tale contratto collettivo.

[6] Art. 7, legge 2 febbraio 1973, n. 12.

[7] Cass. 1983 n. 5532.

[8] Cass. Civ. 1983 n. 5532.

[9] Cfr. § 1 del presente articolo.

[10] Cfr. nota n. 1

[11] Il riconoscimento di questo status particolare del Fondo risale alla legge 613/1966 ed è rimasto ad oggi immutato.


Il diritto dell'agente alle provvigioni: quando è obbligato il preponente al pagamento?

La provvigione è di norma il mezzo principale per la remunerazione dell’agente, costituita da una percentuale correlata al valore dell’affare promosso dall’agente stesso. Il codice civile, disciplina il diritto alla provvigione all’art. 1748 c.c. Nello specifico, il primo comma di tale articolo dispone che:

Per tutti gli affari conclusi durante il contratto l’agente ha diritto alla provvigione quando l’operazione è stata conclusa per effetto del suo intervento.”

Inoltre il quarto comma dell’art. 1748 c.c. così recita:

L’agente è tenuto a restituire le provvigioni riscosse solo nella ipotesi e nella misura in cui sia certo che il contratto tra il terzo e il preponente non avrà esecuzione per cause non imputabili al preponente.

L’agente, pertanto, ha diritto alla provvigione solamente se vi è la conclusione di un contratto tra preponente ed il terzo; ad ogni modo la provvigione non è dovuta e, nel caso fosse stata già pagata all'agente, deve essere restituita al preponente, qualora il terzo non esegua il contratto, per cause non imputabili al preponente stesso.

Gli articoli sopra riportati, indicano quelli che sono i presupposti perché nasca in capo all'agente il diritto a percepire la provvigione. Tale momento deve però essere assolutamente distinto dal momento della maturazione della provvigione stessa, ossia quando l'agente potrà pretenderne il pagamento (cfr. sul punto anche Lo "star del credere" nel contratto di agenzia).

Tale distinzione si evince da una lettura dell'’art. 1748, quarto comma, c.c.:

Salvo che sia diversamente pattuito, la provvigione spetta all’agente dal momento e nella misura in cui il preponente ha eseguito o avrebbe dovuto eseguire la prestazione in base al contratto concluso con il terzo. La provvigione spetta all’agente, al più tardi, inderogabilmente, dal momento e nella misura in cui il terzo ha eseguito o avrebbe dovuto eseguire la prestazione qualora il preponente avesse eseguito la prestazione a suo carico."

Dalla lettura di tale norma, si evince che vi sono due distinti momenti da cui dipende l’effettiva maturazione della provvigione:

  • quando la prestazione viene eseguita da parte del preponente (il cosiddetto criterio "generale");
  • al più tardi, ed inderogabilmente, quando la prestazione è stata eseguita da parte del terzo (il buon andamento dell'affare).

Con riferimento al primo punto, la provvigione matura da quando il preponente esegue la propria prestazione, o avrebbe dovuta eseguirla in virtù del contratto stipulato con il terzo (ossia il cliente). Tale disciplina costituisce il cosiddetto regime “generale”, che si applica ogni volta in cui le parti non abbiamo concordato una diversa pattuizione contrattuale.

Sul punto, bisogna certamente sottolineare che la norma non fa espressamente riferimento al solo momento in cui il preponente esegue la propria prestazione, bensì  a quello in cui egli avrebbe dovuto eseguirla, secondo gli accordi che questi aveva preso con il cliente.

Si pensi al classico esempio in cui il preponente si impegna a consegnare la merce entro una determinata data: qualora il preponente non invii la merce entro tale data, la provvigione sarà comunque dovuta all’agente, in quanto la mancata esecuzione della prestazione è imputabile ad un inadempimento del preponente.

Un aspetto interessante è che l’articolo obbliga il preponente a pagare la provvigione all’agente, solamente nel caso in cui lo stesso sia effettivamente tenuto ad eseguire la prestazione in virtù del contratto. Questo comporta che qualora l'inadempimento del preponente sia dovuto a cause ad esso non imputabili, viene meno il diritto dell’agente al pagamento della provvigione stessa.

Riprendendo il caso qui sopra analizzato, ossia la consegna della merce: se il preponente non ha inviato la merce per cause di forza maggiore, ovvero perché il cliente non ha provveduto al pagamento della merce venduta o al saldo dell’acconto, secondo le modalità concordate tra le parti, il preponente non sarà più tenuto al versamento della provvigione.

Pertanto, il diritto alla provvigione matura, salvo che non sia diversamente pattuito tra le parti, quando la mancata prestazione da parte del preponente costituisca un inadempimento nei confronti del terzo.

Il criterio generale qui sopra descritto è comunque derogabile dalle parti, che possono accordarsi diversamente, posticipando ovvero anticipando il momento in cui matura il diritto alla provvigione, ancorandolo ad un momento differente rispetto all’adempimento del preponente.

Tale facoltà riconosciuta ai contraenti, trova un limite massimo inderogabile, che viene sancito alla seconda frase dell’art. 1748, comma 4, c.c.:

la provvigione spetta all’agente, al più tardi, inderogabilmente, dal momento e nella misura in cui il terzo ha eseguito o avrebbe dovuto eseguire la prestazione qualora il preponente avesse eseguito la prestazione a suo carico."

Ciò significa, in buona sostanza, che è possibile posticipare la maturazione delle provvigioni, sino a quanto viene effettuato il pagamento da parte del terzo, ossia al più tardi al buon esito dell’affare. Tale ultima ipotesi, deve comunque essere sempre subordinata al fatto che il preponente abbia eseguito la propria prestazione. In buona sostanza, il riferimento al momento in cui il terzo avrebbe dovuto eseguire la prestazione deve essere interpretato nel senso che l’agente potrà ritenere esigibile la provvigione anche in caso di mancato pagamento da parte del cliente, però esclusivamente nel caso in cui ciò derivi dall’inadempimento del preponente (cfr. sul punto Venezia-Baldi, Il contratto di agenzia, pag. 273, Giuffrè Editore, 2014).

Con i seguenti esempi si cerca di rendere più chiaro, la fattispecie qui sopra descritta:

  • il preponente consegna correttamente la merce al cliente, il quale, nonostante l’adempimento del preponente, non paga il prezzo della merce entro i termini convenuti: in questo caso non si può considerare che il preponente sia obbligato al pagamento della provvigione, posto che l’inadempimento del terzo, non è giustificato da un inadempimento dello stesso preponente
  • il preponente consegna della merce sbagliata al cliente, il quale, non provvede al pagamento del prezzo entro il termine convenuto. In questo caso, si può ragionevolmente ritenere che il pagamento delle provvigioni sia dovuto, in quanto l’inadempimento del terzo è causato dall’inadempimento dello stesso preponente ( sul punto cfr. Bortolitti, Contratti di distribuzione, pag. 285, 2016, Wolters Kluver).

Il diritto dell’agente di visionare i libri contabili del preponente.

L'art. 1749 c.c. conferisce all'agente il diritto di visionare la documentazione contabile del preponente. Tale norma si prefigge il compito di rendere il più possibile equilibrato il rapporto tra l’agente e il preponente, soprattutto nel caso in cui lo stesso agente non ha poteri di rappresentanza e non è quindi in grado di verificare direttamente quali affari sono stati conclusi dal preponente.

Nello specifico, il secondo comma dell'art. 1749 c.c.,[1] dispone che:

"il preponente consegna all’agente un estratto conto delle provvigioni dovute al più tardi l’ultimo giorno del mese successivo al trimestre nel corso del quale esse sono maturate.”

Il terzo comma dell'art. 1749 c.c. recita che:

L’agente ha diritto di esigere che gli siano fornite tutte le informazioni necessarie per verificare l’importo delle provvigioni liquidate e in particolare un estratto dei libri contabili."

Tale articolo si fonda essenzialmente sul principio di carattere generale, in base al quale il preponente deve agire con lealtà e buona fede nei confronto dell’agente, imponendo da un lato al preponente stesso l’obbligo di mettere a disposizione dell’agente, almeno con cadenza trimestrale, un estratto conto delle provvigioni dovute, quanto più analitico possibile e, dall’altro lato, l’agente deve avere la possibilità di verificare che le provvigioni liquidate siano state calcolate correttamente.

L'importanza di tale norma viene sottolineata dal quarto comma dello stesso articolo, che sancisce l’inderogabilità, anche parziale, degli obblighi ivi indicati:

"è nullo ogni patto contrario alle disposizioni del presente articolo."

Il principale strumento processuale utilizzato dall’agente per fare valere tale diritto è rappresentato dall’art. 210 c.p.c. Tale norma stabilisce che il Giudice istruttore, su istanza di parte, può ordinare all’altra parte o a un terzo di “esibire in giudizio un documento o altra cosa di cui ritenga necessaria l’acquisizione al processo”. 

L’applicazione pratica di tale norma non è sempre di facile soluzione (anzi…) e la giurisprudenza italiana si è spesso trovata a risolvere numerose problematiche ad esso correlate.

In primo luogo, è importante sottolineare che, per il nostro Ordinamento, lo strumento istruttorio di cui 210 c.p.c. ha natura residuale e può essere utilizzato solo se la prova del fatto non è acquisibile da parte istante e se l’iniziativa non ha finalità meramente esplorative;[2] l’accoglimento di tale istanza è rimessa al potere discrezionale del Giudice, il quale la potrà ammettere solamente se consta che

 “la prova del fatto che si intende dimostrare non sia acquisibile aliunde, non potendo avere l'iniziativa finalità meramente esplorative o sostitutive dell'onere probatorio posto a carico della parte.[3]

Ne consegue che l’agente, sul quale grava l’onere di provare l’avvenuta conclusione degli affari, non può utilizzare tale strumento per supplire al mancato assolvimento di un suo gravame probatorio e dovrà provare che la mancata allegazione di elementi probatori non sia a lui imputabile, nonché indicare in maniera specifica i documenti di cui chiede un estratto (che devono essere direttamente o indirettamente individuabili), posto che una richiesta troppo generica, sarebbe di fatto esplorativa e, quindi, inammissibile.

Secondo una recente sentenza della Corte di Cassazione,

l'agente è titolare di un vero e proprio diritto all'accesso ai libri contabili in possesso del preponente, che siano utili e necessari per la liquidazione delle provvigioni e per una gestione trasparente del rapporto secondo i principi di buona fede e correttezza. Di conseguenza, il preponente, ove richiesto (anche giudizialmente), ha un vero e proprio obbligo di fornire la documentazione e le informazioni richieste dall'agente al fine di consentire l'esatta ricostruzione del rapporto di agenzia.”[4]

La sentenza continua:

incombe comunque sull’agente che agisce al fine di ottenere l'esibizione documentale dedurre e dimostrare l'esistenza dell'interesse ad agire, con circostanziato riferimento alle vicende rilevanti del rapporto (tra cui, in primis, l'invio o meno degli estratti conto provvigionali ed il loro contenuto) e l'indicazione dei diritti, determinati o determinabili, al cui accertamento è finalizzata l'istanza.

Seguendo tale principio, un’istanza con cui si chiede che venga genericamente ingiunto alla preponente di esibire gli estratti contabili di tutti i clienti che l’agente ha fornito (ad es. senza indicarne i nominativi), ovvero dei clienti che il preponente ha fornito direttamente nel territorio contrattuale (e sui cui ordini andati a buon fine, l’agente avrebbe percepito le provvigioni indirette), sarebbe verosimilmente ritenuta inammissibile, in quanto troppo generica e, quindi, esplorativa.


Qualora il Giudice riconosca che sussistono i requisiti sopra indicati, potrà emettere l’ordinanza di esibizione di tali estratti, con cui, in pratica (almeno per quanto è mia esperienza personale…) la preponente viene intimata ad esibire i mastrini provvigionali / le schede contabili, relative ai clienti per i quali l’agente ha promosso istanza ex art. 210 c.p.c.

In buona sostanza, i documenti sui quali sussiste il diritto di accesso dell’agente saranno:[5]

  • le fatture di vendita rilasciate alla clientela;
  • la copia dei libri iva, le bolle di consegna della merce;
  • le ricevute di versamento ENASARCO e comunque tutti quei documenti necessari per la verifica del singolo affare;
  • nonché gli estratti conto provvigionali, il tutto ovviamente riferito alla zona e al periodo nei quali l’agente ha svolto il proprio incarico.

Il Giudice, ottenuta la documentazione, può quindi disporre CTU tecnico contabile, volta a verificare gli ordini ricevuti dalla preponente e conteggiare il pagamento delle provvigioni.

Da un punto di vista pratico, bisogna altresì fare presente che spesso ciò può comportare dei problemi pratici assai rilevanti, derivanti dal fatto che dalla documentazione esibita, ed elaborata da parte del perito, spesso emerge un copiosissimo numero di informazioni prima sconosciute (almeno ad una) delle parti e che tali informazioni possono dare adito ad “una causa, nella causa.”

Da ultimo, si fa presente che l’art. 210 c.p.c. non è l’unico strumento in mano all’agente, il quale, secondo la giurisprudenza maggioritaria, ha comunque il diritto a richiedere l’estratto conto provvigionale ex art. 1749 c.c, anche autonomamente in via monitoria.[6]

Come si può comprendere, tale tematica è di assoluta rilevanza, posto che dall'art. 1749 c.c. derivano in capo all'agente diritti fondamentali che gli permettono, in definitiva, di provare il proprio diritto al pagamento delle provvigioni.


[1] Articolo che ha recepito con d.lgs 1999 n. 64, l’art. 12, co. 2 della direttiva 86/653/CEE, che ha appunto conferito all’agente il diritto “di esigere che gli siano fornite tutte le informazioni, in particolare un estratto dei libri contabili, a disposizione del preponente, necessarie per verificare l'importo delle provvigioni che gli sono dovute.”

[2] Cfr. Cass. Civ. 2011 n. 14968

[3] Cass. Civ. 2011, n. 26151.

[4] Cass. Civ. Sez. lavoro, n. 19319 del 2016.

[5] Cfr. Buffa, Bortolotti & Mathis, Contratti di Distribuzione, Wolters Kluver, 2016.

[6] Cass. Civ. 2010, n. 20707.


Le modifiche unilaterali del contratto di agenzia da parte del preponente.

Quando si tratta la tematica delle modifiche unilaterali del contratto, è necessario  ricordare l’esistenza di un principio fondamentale di diritto, ossia il “consenso delle parti” (di cui agli artt. 1325 e 1372 c.c.). Sulla base di tale principio, l’accordo delle parti è necessario per la valida modifica di preesistenti pattuizioni contrattuali (sul punto cfr. anche Il potere del preponente di modificare il portafoglio clienti del proprio agente). La Cassazione, proprio vertendo su tale fondamento di diritto, ha considerato nulla e priva di efficacia proprio una clausola inserita in un contratto di agenzia, che consentiva al preponente di modificare a suo piacimento le aliquote provigionali. (Cass. Civ. 1997 n. 11003).

Ciò premesso e sulla base della giurisprudenza qui sopra citata, si può ragionevolmente ritenere che una clausola che conferisce il potere potestativo di modificare unilateralmente le clausole contrattuali,  debba tendenzialmente considerarsi nulla, inefficace, o quantomeno debba essere interpretata in coerenza con quelli che sono i principi dettati dall’AEC, qualora applicabili al rapporto.

Si tenga comunque presente che la giurisprudenza, pur senza affrontare direttamente la questione, tende a dare per scontata la nullità della clausola del contratto difforme dall’AEC e la sua sostituzione con la disposizione di quest’ultimo, (Cass. Civ. 2000 n. 8133; Cass. Civ. 2004 n. 10774) facendo in particolare riferimento all’art. 2077 c.c.

L’art. 2 degli AEC settore commercio 2009, regola quelli che sono i poteri del preponente di modificare unilateralmente, quindi senza la necessità di una espressa approvazione da parte dell’agente, le provvigioni e i prodotti promossi dall’agente stesso. Tale norma dispone che, salvo diverso accordo tra le parti, tali variazioni possono essere:

di lieve entità, intendendosi per lieve entità le riduzioni che incidano fino al 5% delle provvigioni di competenza dell'agente o rappresentante nell'anno civile (1° gennaio – 31 dicembre) precedente la variazione, ovvero nei dodici mesi antecedenti la variazione, qualora l'anno precedente non sia stato lavorato per intero;
di media entità, intendendo per media entità le riduzioni che incidano oltre il 5% e fino al 15% delle provvigioni di competenza dell'agente o rappresentante nell'anno civile (1° gennaio – 31 dicembre) precedente la variazione, ovvero nei dodici mesi antecedenti la variazione, qualora l'anno precedente non sia stato lavorato per intero;
di rilevante entità, intendendo per rilevante entità le riduzioni superiori al 15% delle provvigioni di competenza dell'agente o rappresentante nell'anno civile (1° gennaio – 31 dicembre) precedente la variazione, ovvero nei dodici mesi antecedenti la variazione, qualora l'anno precedente non sia stato lavorato per intero.”

La norma prevede inoltre che:

Le variazioni di lieve entità possono essere realizzate previa comunicazione scritta all'agente o al rappresentante da darsi senza preavviso. Dette variazioni saranno efficaci sin dal momento della ricezione della comunicazione scritta della ditta mandante da parte dell’agente o del rappresentante.
Le variazioni di media e rilevante entità possono essere realizzate previa comunicazione scritta all'agente o al rappresentante da darsi, nel caso delle variazioni di media entità, almeno due mesi prima, salvo accordo scritto tra le parti per una diversa decorrenza. Nel caso di variazioni di rilevante entità il preavviso scritto non potrà essere inferiore a quello previsto per la risoluzione del rapporto, salvo accordo scritto tra le parti per una diversa decorrenza. Qualora l'agente o rappresentante comunichi, entro il termine perentorio di trenta giorni dal ricevimento della comunicazione, di non accettare le variazioni di media o rilevante entità, la comunicazione del preponente costituirà preavviso per la cessazione del rapporto di agenzia o rappresentanza, ad iniziativa della casa mandante.”

"L'insieme delle variazioni di lieve entità apportate in un periodo di 18 mesi antecedenti l’ultima variazione, sarà da considerarsi come unica variazione, per l'applicazione del presente articolo 2, sia ai fini della richiesta del preavviso, sia ai fini della possibilità di intendere il rapporto cessato ad iniziativa della casa mandante. Per gli agenti e rappresentanti che operano in forma di monomandatari sarà da considerarsi come unica variazione l’insieme delle variazioni di lieve entità apportate in un periodo di 24 mesi antecedenti l’ultima variazione.”

Dalla lettura di tale articolo, si evince, quindi, che:

  • da un lato al preponente è conferito un diritto potestativo di apportare delle variazioni che comportano la diminuzione dei prodotti promossi e delle provvigioni del proprio agente;
  • dall’altro lato l’agente, per le variazioni di media e rilevante entità, ha la facoltà di comunicare il proprio rifiuto entro 30 giorni dal ricevimento della comunicazione, così trasformandola in comunicazione di preavviso per la cessazione del rapporto ad iniziativa della casa mandante.

La norma sopra esaminata regola solamente le variazioni del contratto da parte del preponente, volte a diminuire l’ammontare delle provvigioni e della zona (prodotti, clientela, territorio).

Posto che l’art. 1752 c.c. prevede che il contratto di agenzia debba essere provato per iscritto, ne consegue che anche le modifiche sono valide solamente se rispettano tale requisito. Importante sottolineare che l’ordinamento non richiede la forma scritta “ad substantiam”, bensì “ad probationem: questo implica che non è necessario che la modifica, perché abbia efficacia tra le parti, debba essere concordata espressamente per iscritto, ma è sufficiente che l’accordo su tale modifica si possa evincere anche solo da un comportamento tacito delle parti e che di tale comportamento vi sia traccia scritta.


L'indennità di fine rapporto nel contratto di agenzia: art. 1751 c.c. ed AEC a confronto.

Come si è già avuto modo di evidenziare, l’indennità di fine rapporto in Italia segue un sistema binario: da una parte la disciplina regolata all’art. 1751 c.c. e, dall’altra parte, la disciplina degli AEC. (cfr. anche La contrattazione collettiva. Origini, valore ed applicabilità. E se un contraente è straniero, si applicano oppure no?)

La versione attuale dell’art. 1751 c.c., così modificato dal d.lgs 1999 n. 65, attuativo della direttiva 86/853/CEE, dispone che:

“all’atto della cessazione del rapporto, il preponente è tenuto a corrispondere all’agente un’indennità se ricorrono le seguenti condizioni:

  1. l’agente abbia procurato nuovi clienti al preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti;
  2. il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti;
  3. il pagamento di tale indennità sia equo, tenendo conto di tutte le circostanze del caso, in particolare delle provvigioni che l'agente perde e che risultano dagli affari con tali clienti."

Il terzo comma dello stesso articolo dispone che l’indennità non è dovuta quando:

  • il preponente risolve il contratto per un’inadempienza imputabile all’agente, la quale per la sua gravità, non consenta la prosecuzione anche provvisoria del rapporto;
  • l’agente receda dal contratto, a meno che il recesso sia giustificato da circostanze attribuibili al preponente o da circostanze attribuibili all’agente, quali età, infermità o malattia, per le quali non può più essergli ragionevolmente chiesta la prosecuzione dell’attività;
  • quando, ai sensi di un accordo con il preponente, l’agente cede ad un terzo i diritti e gli obblighi che ha in virtù del contratto d’agenzia.

Circa l’ammontare dell’indennità, ex art. 1751, terzo comma c.c., essa:

non può superare una cifra equivalente ad un’indennità annua calcolata sulla base della media annuale delle retribuzioni riscosse dall’agente negli ultimi cinque anni e, se il contratto risale a meno di cinque anni, sulla media del periodo in questione.”

Il criterio di cui all’ art. 1751 del codice civile, non contiene  alcun metodo di calcolo, ma solo un tetto massimo (ossia un’annualità da calcolarsi secondo la media provvigionale degli ultimi 5 anni) e due condizioni all’avverarsi delle quali è subordinato il maturare dell’indennità, ossia che:

  • l’agente abbia procurato nuovi clienti e/o “intensificato” il fatturato di quelli già esistenti;
  • l’indennità sia “equa” alla luce di “tutte le circostanze del caso ivi comprese le provvigioni che l’agente perde a seguito della cessazione del contratto.

Dall’altra parte, la disciplina contrattuale degli AEC stabilisce un metodo di calcolo certo e preciso, articolato su tre diverse voci:

  • l’indennità di risoluzione del rapporto (il “FIRR”, costituito da un accantonamento annuale presso l’apposito Fondo gestito dall’ENASARCO) calcolata sulla base dei dettami degli AEC;
  • l’indennità suppletiva di clientela, riconosciuta all’agente anche in assenza di un incremento della clientela, (pari a ca. al 4% sull’ammontare globale delle provvigioni e delle altre somme maturate);
  • l’indennità meritocratica, collegata all’incremento della clientela e/o giro di affari.

Come si può notare, entrambi i sistemi hanno al loro interno sia vantaggi che svantaggi per le parti contraenti.

I vantaggi per l’agente dell’indennità ex art. 1751 c.c. sono costituiti dal fatto che spesso l’indennità liquidata dal giudice è superiore rispetto a quella prevista dagli AEC.

Gli svantaggi normalmente consistono nel fatto che:

  • è stabilito solo un massimo, ma manca assolutamente un criterio di calcolo;
  • l’onere di provare l’aumento/intensificazione della clientela e l’equità dell’indennità è integralmente in capo all’ agente;
  • l’indennità è esclusa in tutti i casi in cui l’agente sia receduto dal contratto senza giusta causa.[1]

Quanto invece all’ indennità calcolata secondo gli AEC i vantaggi sono piuttosto evidenti, posto che:

  • è configurato un criterio di calcolo chiaro e definito;
  • il FIRR e l’indennità suppletiva di clientela spettano (salvo eccezioni) sempre, anche nel caso di recesso da parte;
  • non viene posto in capo all’agente alcun onere probatorio.

Circa gli svantaggi per l’agente, si rileva che, di fatto, l’indennità liquidata ex art. 1751 c.c. è molto spesso superiore rispetto a quella garantita dagli AEC.

Si evidenza che la Corte di Giustizia europea, con una pronuncia del 23 marzo 2006,[2] ha contestato la legittimità dell’indennità di fine rapporto, così come regolata dagli AEC.  Tali accordi, secondo la Corte, possono derogare alla disciplina dettata dalla direttiva 86/653/CEE solo se, con un’analisi ex ante, dall’applicazione dell’AEC derivasse all’agente un trattamento economicamente più favorevole rispetto a quello di cui all’art. 1751 c.c. Ora, dal momento che non son previsti degli strumenti di calcolo che permettono di pronosticare l’ammontare dell’indennità codicistica ed essa può essere conosciuta e calcolata solamente dopo lo scioglimento del rapporto e posto che, secondo la Corte, la valutazione sul fatto che il trattamento degli AEC sia (sempre) più favorevole rispetto alla disciplina civilistica deve essere fatto ex ante, è chiaro che, seguendo tale ragionamento, solamente un sistema di calcolo che garantisce sempre il massimo dell'indennità potrà essere considerato in linea con i principi dettati dalla direttiva e con la pronuncia della Corte di Giustizia.[3]

Nonostante la sentenza della Corte di Giustizia, appare comunque in via di consolidamento l’orientamento della Cassazione secondo il quale i criteri di quantificazione dell’indennità di fine rapporto previsti dalla contrattazione collettiva debbano considerarsi comunque come un trattamento minimo che deve essere garantito all’agente, salvo la necessità da parte del giudice, una volta riscontrata l’esistenza o meno dei requisiti previsti dall’art. 1751 c.c., di effettuare una sorta di valutazione caso per caso al fine di valutare l’equità della soluzione derivante dagli AEC, con facoltà di discrezionale, tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto.[4]

Si rileva comunque l’esistenza di un orientamento minoritario della giurisprudenza di merito, che ha ritenuto gli AEC inapplicabili al nostro ordinamento e non ha pertanto riconosciuto all’agente la disciplina ivi riportata come un minimo garantito.[5]

____________________

[1] Art. 1751 comma 2, punto 1: “L'indennità non è dovuta […] quando l'agente recede dal contratto, a meno che il recesso sia giustificato da circostanze attribuibili al preponente o da circostanze attribuibili all'agente, quali età, infermità o malattia, per le quali non può più essergli ragionevolmente chiesta la prosecuzione dell'attività

[2] Corte di Giustizia 2006, C-465/04.

[3] Baldi-Venezia, Il contratto di agenzia, 2014, GIUFFRÈ; Bortolotti, L'indennità di risoluzione del rapporto secondo il nuovo Accordo Economico Collettivo Settore industria, 2014, www.newsmercati.it.

[4] Cass. Civ. 2009 n. 12724; Cass. Civ. 2012 n. 8295; Cass. Civ. 2013 n. 18413; Cass. Civ. 2014 n. 7567; Cfr. Baldi-Venezia, Il contratto di agenzia, 2014, GIUFFRÈ,  “Questa soluzione non appare soddisfacente e soprattutto non individua in concreto quali siano i criteri di quantificazione da adottare, lasciando al giudice di merito un ampio margine di discrezionalità, che non depone in favore della futura individuazione di criteri precisi ed uniformi a discapito di un principio di certezza”.

[5] Tribunale Treviso 29 maggio 2008; Tribunale Treviso 8 giugno 2008; Tribunale di Roma 11 luglio 2008.


L'agente persona fisica, il lavoro parasubordinato e il rito lavoro.

La Legge n. 533/73, ha introdotto nell’ordinamento processuale italiano il cosiddetto “rito lavoro”, procedimento caratterizzato dai principi di oralità e immediatezza. Il punto 3 del comma 1 dell'art. 409 c.p.c., introdotto da tale Legge prevede espressamente che sono assoggettati al rito lavoro anche:

“i rapporti di agenzia e rappresentanza commerciale […] che si concretano in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale anche se non a carattere subordinato.”

Pertanto, anche le controversie relative a rapporti di rappresentanza e agenzia, sono soggette al rito del lavoro, se la prestazione lavorativa è caratterizzata dalla continuità, dalla coordinazione e dalla prevalente personalità (cfr. anche Il contratto di agenzia e il rapporto di lavoro subordinato: criteri distintivi e parametri valutativi).

Si è quindi venuta a creare, a fianco alle già esistenti categoria di lavoratore autonomo e subordinato, una terza figura, ossia quella del lavoro “parasubordinato.” Essa in principio fu elaborata dalla dottrina, per poi essere recepita dalla stessa giurisprudenza,[1] per rispondere ad un'esigenza reale di definire quei rapporti di lavoro autonomi, in cui, di fatto, il lavoratore si trova in una posizione di dipendenza verso il committente meno forte rispetto a quella del lavoratore subordinato, ma sicuramente molto più vincolante rispetto a dei rapporti autonomi. In tale modo si è venuta ad enucleare una categoria di soggetti ritenuti meritevoli di una tutela ulteriormente rafforzata, che li avvicina per questo ai lavoratori subordinati.

Sorge spontanea la domanda se sono soggetti al rito lavoro solamente gli agenti commerciali che agiscono in qualità di persone fisiche, oppure anche gli agenti che, seppure operino sotto forma di società di capitali, abbiano una struttura tale per cui di fatto prevale l’elemento personale della prestazione (ad es. società unipersonali). Secondo la più recente giurisprudenza della Cassazione, si ritengono essere soggetti al rito del lavoro, solamente le vertenze coinvolgenti agenti che agiscono come persone fisiche, escluse tutte le ipotesi di agente che opera in forma societaria, sia di persone che di capitali, regolare o irregolare.[2] Con una recente sentenza la Cassazione ha affermato che:[3]

qualora l'agente sia una società o si avvalga di un'autonoma struttura imprenditoriale, il carattere personale della prestazione viene meno, con la conseguenza che il rapporto non può più essere ricondotto nella previsione di cui all'art. 409 c.p.c. e, dunque, al rito del lavoro, dal momento che, laddove la qualità di agente è assunta da una società di capitali o di persone, la società, anche se priva di personalità giuridica, rappresenta pur sempre un autonomo centro di rapporti giuridici che si frappone tra il socio ed il soggetto mandante.”

La giurisprudenza, inoltre, ritiene che possa essere considerato lavoratore parasubordinato anche l’agente persona fisica che svolge la propria attività avvalendosi di proprio personale, purché nel rapporto non prevalga l’aspetto organizzativo dell’agente su quello della prestazione personale:[4] la personalità della prestazione, infatti, seppure deve essere prevalente, non è necessario che sia esclusiva. Bisogna invece escludere la parasubordinazione se l'attività viene svolta attraverso criteri imprenditoriali tali per cui l’agente si limita a coordinare e dirigere i propri collaboratori, senza svolgere alcuna attività di promozione.[5] (cfr. anche Quale è la differenza fra contratto di agenzia e procacciatore di affari?)

I lavoratori parasubordinati sono soggetti al medesimo trattamento giuridico dei subordinati non solo per quanto riguarda l'applicazione del rito lavoro, bensì anche al diritto alla rivalutazione dei crediti di lavoro[6] e l'istituto giuridico sostanziale della invalidità delle rinunce e delle transazioni relative ai diritti indisponibili del lavoratore ex art. 2113 c.c., che tratteremo al seguente punto.

_______________________

[1] Cass. civ. Sez. lavoro, 1998, n. 4580.

[2] Cass. Civ. 2012 n. 2158, La giurisprudenza di gran lunga prevalente ritiene, tuttavia, che quando l'agente sia una società o si avvalga di una autonoma struttura imprenditoriale il carattere personale della prestazione vien meno ed il rapporto non può essere ricondotto nella previsione dell'art. 409 cit., atteso che se la qualità di agente è assunta da una società di capitali o di persone, la società, anche se priva di personalità giuridica, costituisce pur sempre un autonomo centro di rapporti giuridici che si frappone fra il socio ed il soggetto mandante; Cass. n. 2509/1997; Cass. n. 9547/2001; Cass. n. 14813/2005; Cass. n. 6351/2006; Cass. n. 15535/2011; App. Firenze, 11/04/2007 “Le controversie tra l'agente ed il preponente sono di competenza del Giudice del lavoro se l'attività svolta ha le caratteristiche della parasubordinazione, ossia nell'ipotesi in cui l'agente svolga l'attività prevalentemente con il lavoro personale. Tale requisito difetta quando l'agente svolge l'attività sotto forma di società, anche di persone o irregolare o di fatto, ed anche quando l'attività, pur essendo svolta in forma individuale, sia caratterizzata dalla prevalenza del momento organizzativo dell'opera dei propri dipendenti e collaboratori rispetto all'apporto personale.”; Bortolotti, Il contratto di agenzia commerciale, CEDAM, 2007.

[3] Cass. Civ. 2005 n. 14813.

[4] Cfr. anche Cass. Civ. Sez. lavoro, 1998 n. 14454: che ha escluso il carattere prevalentemente personale dell’agente “che si era avvalso di due impiegati, di un autista, di un magazziniere, di vari automezzi e soprattutto di ben sei subagenti, assumendosi l’onere economico della intera organizzazione anche sul piano retributivo”

[5] Cass. civ. Sez. II Ord., 22/03/2006, n. 6351.

[6] Art. 429, terzo comma, c.p.c. “Il giudice, quando pronuncia sentenza di condanna al pagamento di somme di denaro per crediti di lavoro, deve determinare, oltre gli interessi nella misura legale, il maggior danno eventualmente subito dal lavoratore per la diminuzione di valore del suo credito, condannando al pagamento della somma relativa con decorrenza dal giorno della maturazione del diritto.”


La legge applicabile al contratto di agenzia internazionale.

Quando si opera nell’ambito della contrattualistica internazionale sicuramente il primo aspetto da analizzare è comprendere da quale legge è regolato il rapporto contrattuale.
Come è noto, la disciplina della legge applicabile, in ambito europeo, è dettata dal Regolamento europeo Roma I, n. 593/2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali.

L’art. 3 del Regolamento conferisce alle parti la libertà di scegliere a quale legge sottoporre il rapporto contrattuale:

…la scelta è espressa, o risulta chiaramente dalle disposizioni del contratto o dalle circostanze del caso

Nel caso le parti non abbiano scelto a quale ordinamento sottoporre il contratto, si applicherà l’art. 4 del Regolamento, che indica i criteri volti a individuare la legge applicabile al rapporto. Nello specifico, l’art. 4 par. 1, lett. B) del Regolamento prescrive che i contratti relativi alla prestazione di servizi, tra i quali rientra anche il contratto d’agenzia, sono regolati dalla legge del Paese in cui il prestatore di servizi (l’agente, dunque) ha il domicilio abituale. Ciò comporta, che tutti i rapporti di agenzia tra preponente straniero ed agente italiano, per i quali le parti non hanno scelto (espressamente) la legge applicabile, saranno regolati dalla legge del Paese in cui l’agente ha il suo domicilio abituale, quindi, normalmente, dal diritto italiano.

Si può pertanto affermare che il diritto italiano è applicabile al contratto di agenzia internazionale nei seguenti casi:

  • nel caso di scelta delle parti (art. 3 Regolamento Roma I);
  • in assenza di scelta delle parti, in tutti i casi in cui l’agente ha il suo domicilio abituale sul territorio italiano (art. 4 Regolamento Roma I);
  • nel caso in cui le parti decidano di sottoporre il contrattato alla legge straniera, si applicheranno le norme italiane “internazionalmente imperative” o di “applicazione necessaria” (art. 9 Regolamento Roma I).

Con riferimento a quest’ultimo punto, che certamente costituisce uno dei profili più complessi e critici del diritto commerciale internazionale, si ritiene necessario svolgere un breve approfondimento.

Come è noto la libertà riconosciuta ai contraenti di scegliere come regolamentare un rapporto contrattuale incontra dei limiti: in tutti gli ordinamenti esistono norme imperative volte appunto a limitare la libertà delle parti, al fine di garantire l’osservanza di determinati principi. Applicare questo principio nell’ambito della contrattualistica internazionale non è di facile soluzione, proprio perché si è obbligati a confrontarsi con norme imperative di due o più ordinamenti: quello scelto dalle parti e quello che, in mancanza di scelta, si applicherebbe ex art. 3 Regolamento Roma I.

Come si coordina quindi il diritto riconosciuto alle parti di scegliere la legge applicabile con il principio secondo il quale si devono rispettare le norme inderogabili applicabili in mancanza di scelta?

In linea di principio si può affermare che la scelta di una determinata legge comporta la totale deroga delle norme di un determinato ordinamento (ivi incluse quelle imperative), in favore di quelle di un altro ordinamento. Ciò comporta che, normalmente, se le parti scelgono di sottoporre il contratto ad un altro ordinamento giuridico, il loro contratto dovrà rispettare le norme imperative di quell’ordinamento, ma non quelle dell’ordinamento derogato attraverso la loro scelta.

Bisogna comunque rilevare che, in casi particolari, i legislatori nazionali possono decidere di attribuire a determinate norme un valore ancora più cogente, tale da renderle inderogabili anche alla scelta delle parti: tali norme vengono definite come “internazionalmente imperative” o di “applicazione necessaria” e si distinguono per questo da quelle “semplicemente imperative”.

In ambito europeo, questo principio è disciplinato dall’art. 9 del Regolamento Roma I, che definisce le norme di applicazioni necessaria come:

«... disposizioni il cui rispetto è ritenuto cruciale da un paese per la salvaguardia dei suoi interessi pubblici, quali la sua organizzazione politica, sociale o economica, al punto da esigerne l’applicazione a tutte le situazioni che rientrino nel loro campo d’applicazione, qualunque sia la legge applicabile al contratto secondo il presente regolamento.»

Ad interpretare l’ambito applicativo di tale norma è intervenuta la Corte di Giustizia europea nel caso Unamar: con tale pronuncia la Corte ha affermato che il Tribunale nazionale può applicare le norme più protettive del proprio ordinamento (in luogo della legge scelta dalle parti)

«...unicamente se il giudice adito constata in modo circostanziato che, nell’ambito di tale trasposizione, il legislatore dello Stato del foro ha ritenuto cruciale, in seno all’ordinamento giuridico interessato, riconoscere all’agente commerciale una protezione ulteriore rispetto a quella prevista dalla citata direttiva, tenendo conto, al riguardo, della natura e dell’oggetto di tali disposizioni imperative».

Da tale pronuncia, si evince che per poter prevalere sulla legge di un altro paese basata sulla medesima direttiva, non sia sufficiente che le norme scelte prevedano un livello più elevato di protezione ed attribuiscano loro carattere di norme internazionalmente inderogabili, ma che debba altresì risultare che tale scelta sia di importanza cruciale per l'ordinamento in questione, in considerazione della natura e delle finalità perseguite dalle norme in questione.


L'obbligo di informazione dell'agente nei confronti del preponente

L’obbligo di informazioni viene disciplinato dall’art. 1746 c.c. Tale norma impone all’agente di fornire al preponente informazioni sulle condizioni di mercato nella zona assegnata, nonché ogni altra informazione utile per valutare la convenienza dei singoli affari. Nello specifico tale articolo dispone che l’agente deve:

fornire al preponente le informazioni riguardanti le condizioni del mercato nella zona assegnatagli, e ogni altra informazione utile per valutare la convenienza dei singoli affari

Come si può evincere, le informazioni richieste all’agente possono essere di due tipi:

  • informazioni riguardanti le condizioni di mercato;
  • informazioni necessarie alla valutazione della convenienza dell’affare.

L’agente, pertanto, svolge un doppio ruolo nel rapporto contrattuale. Da un lato deve sondare l’andamento della zona e clientela affidatagli, con il fine di tenere aggiornato il preponente su quanto effettivamente accada in tale ambito. Dall’altro lato, svolge il delicato compito di vagliare la convenienza dei singoli affari e la solvibilità dei clienti a cui vengono trasmessi gli ordini.

Non pochi problemi derivano proprio dall’interpretazione di tale articolo. In particolare, non è agevole comprendere quali siano i limiti al diritto del preponente di pretendere dall’agente informazioni dettagliate e continuative: in linea di massima, si ritiene che un ampliamento eccessivo di tale obbligo, potrebbe addirittura essere considerato un indizio per mettere in discussione l’indipendenza dell’agente e quindi fare qualificare il rapporto come un rapporto di lavoro subordinato.

Ciò premesso, con riferimento all’obbligo dell’agente di informazione sulle condizioni del mercato, è possibile ritenere che il preponente può pretendere che l’agente lo tenga informato, nei limiti delle sue possibilità, di tutto ciò di cui venga a conoscenza sulla situazione del mercato e sui suoi cambiamenti, relativamente alla zona assegnatagli. Ciò non comporta, comunque, un obbligo dell’agente a dovere effettuare valutazioni, previsioni o indicazioni sulle prospettive future del mercato stesso. Invero, l’agente è unicamente tenuto a segnalare informazioni su potenziali o reali concorrenti, necessarie al preponente per elaborare una politica commerciale che possa essere quanto più efficace possibile nella zona assegnata all’agente.

Sotto il secondo aspetto, ossia l’obbligo di valutare la convenienza dell’affare, l’agente deve valutare per ogni singolo affare (e cliente), quali siano le concrete capacità del contraente di adempiere.

Ad integrazione di quanto previsto dall’art. 1746 c.c., l’art. 1 degli AEC industria 2014 e commercio 2009 dispone che, salvo patto contrario,

L’agente esercita la sua attività in forma autonoma ed indipendente [ed][…] è tenuto ad informare costantemente la casa mandante sulla situazione del mercato in cui opera, non è tenuto peraltro a relazioni con periodicità prefissata sulla esecuzione delle sue attività.”

L’art. 5 degli AEC Industria e l’art. 4 dell’AEC Commercio, inoltre, chiarisce che l’agente:

deve adempiere l'incarico affidatogli in conformità alle istruzioni impartite dalla ditta e fornire le informazioni riguardanti le condizioni del mercato nella zona assegnatagli, nonché ogni altra informazione utile al preponente per valutare la convenienza dei singoli affari.”

L’agente, pertanto, da un lato è tenuto ad informare il preponente e dall’altro lato ha il diritto di agire in piena autonomia organizzativa: è quindi necessario trovare il giusto equilibrio tra le opposte esigenze di autonomia organizzativa dell’agente ed il suo obbligo di seguire le istruzioni del preponente.

Per tale motivo, da un lato il preponente, dovendo rispettare l’autonomia dell’agente, non potrà, ad esempio, imporre allo stesso la lista giornaliera dei clienti da visitare e programmare gli itinerari che l’agente dovrà seguire, ma dall’altro lato potrà chiedergli di visitare certi clienti o categorie di clienti a cui tiene e pretendere che l’agente organizzi le visite in modo da coprire adeguatamente tutta la clientela e che gli renda conto dell’attività svolta.

Ciò premesso, secondo la dottrina e la giurisprudenza ritengono che l’obbligo di informazione non abbia una rilevanza fondamentale . Ad ogni modo, può assumere in concreto una rilevanza tale da giustificare, in caso di violazione, la risoluzione del rapporto per colpa dell’agente, nel caso in cui le omissioni possono causare gravi conseguenze negative sull’andamento commerciale del preponente (Cass. Civ. 1994 n. 7644).