1. Inquadramento.

Come è noto, all’interno del mercato europeo, vige il principio del libero mercato.

L’art 101 del Trattato sul Funzionamento dell’UE, ritiene essere incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi tra imprese che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto quello di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato interno.

Il terzo comma dell’art. 101 prevede comunque un’esenzione a suddetto principio: restano validi gli accordi che, seppure restringano la concorrenza, contribuiscano a migliorare la produzione/distribuzione dei prodotti, ovvero il progresso tecnico o economico, a condizione che venga riservata per gli utilizzatori una congrua parte dell’utile che ne deriva.

Al fine di declinare suddetti principi e fornire agli operatori maggiore chiarezza, così da evitare che il libero mercato possa di fatto bloccare la strutturazione del commercio tramite la stipulazione di accordi tra privati, la Commissione ha emanato negli anni i c.d. regolamenti sugli accordi verticali, da ultimo il regolamento sulle vendite verticali entrato in vigore nel giugno del 2022, che persegue lo scopo di esentare, entro determinati limiti, gli accordi tra imprese operanti su diversi livelli della catena distributiva (tra cui rientra appieno il contratto di distribuzione) da un generale divieto di non concorrenza.

Al fine di chiarire la portata e i contenuti del regolamento di esenzione, la Commissione ha pubblicato, in concomitanza con l’entrata in vigore del Reg. 720/2022 le “Linee direttrici sulle restrizioni verticali” c.d. “Orientamenti”. Seppure si tratti di un testo estremamente autorevole, che gioca un ruolo fondamentale nell’interpretazione della normativa europea, non è vincolante per gli organi competenti a decidere. [1]

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2. La soglia del 30% e la zona di sicurezza del regolamento.

Il nuovo regolamento mantiene all’art. 3 l’esenzione per tutti gli accordi in cui sia fornitore che acquirente non superino il 30% delle quote nel mercato rilevante; del ché godono di una presunzione di liceità tutti quegli accordi verticali tra soggetti che non superino suddette soglie, a condizione che i contratti non contengano restrizioni fondamentali vietate dal regolamento (le c.d. hard-core restrictions di cui all’art. 4 del regolamento, che sono essenzialmente, in un sistema distributivo esclusivo, il divieto di imporre il prezzo di rivendita al distributore, divieto di effettuare vendite passive al di fuori del territorio e dei clienti esclusivo, il divieto assoluto dell’utilizzo di internet).

È molto importante sottolineare che il superamento della soglia del 30% non crea una presunzione di illegalità.

Lo scopo della soglia imposta dall’art. 3 del regolamento è istituire una “zona di sicurezza” e distinguere gli accordi che godono di una presunzione di legalità da quelli che richiedono una valutazione individuale. Il fatto che un accordo verticale non rientri nella “zona di sicurezza”, pertanto, non significa che lo stesso sia incompatibile con il mercato interno e, di conseguenza, vietato.[2]

Con l’introduzione della “zona di sicurezza” la Commissione ha voluto evitare che accordi potenzialmente più pericolosi (a causa del maggiore potere di mercato delle imprese interessate) potessero automaticamente beneficiare dell’esenzione, sfuggendo ad un controllo sui loro concreti effetti sul mercato. È quindi fondamentale accertare sei i singoli accordi superino suddetta quota di mercato, valutazione tutt’altro che agevole, considerando la difficoltà di individuare il mercato rilevante (di prodotto e geografico) su cui calcolare la suddetta quota di mercato e quelli che sono gli effettivi impatti su tale mercato dell’accordo stesso.

Al fine di comprendere come si possa identificare il mercato rilevante, mi richiamo a quanto già scritto nel precedente articolo. Brevissimamente, così da rendere operativa e più organica la presente analisi, il mercato rilevante è quello in cui:

  • tutti i prodotti e/o servizi sono considerati intercambiabili o sostituibili dal consumatore, in ragione delle caratteristiche dei prodotti, dei loro prezzi e dell’uso al quale sono destinati”;
  • le imprese in causa forniscono o acquistano prodotti o servizi, [ove] le condizioni di concorrenza sono sufficientemente omogenee e [ove] può essere tenuta distinta dalle zone geografiche contigue perché in queste ultime le condizioni di concorrenza sono sensibilmente diverse.”

Quindi, il mercato di riferimento sul quale deve essere calcolata la quota di mercato non necessariamente coincide con un singolo territorio, ma può essere superiore o inferiore; a tal fine bisogna accertare se le imprese site in aree diverse rispetto a quello in cui il distributore effettua le proprie vendite, costituiscano realmente una fonte alternativa di approvvigionamento.

Quanto alle modalità di calcolo delle quote di mercato (del fornitore e dell’acquirente), l’art. 8 del Regolamento dispone che devono essere valutate sulla base dei dati inerenti all’esercizio precedente, in funzione dei dati relativi al valore delle vendite e degli acquisti, ovvero, qualora non presenti, sulla base di stime affidabili.

Se poi una quota di mercato non supera inizialmente la soglia del 30%, ma la oltrepassa successivamente, l’esenzione continua ad applicarsi per un periodo di due esercizi consecutivi a decorrere dall’anno in cui la soglia del 30% è stata superata per la prima volta.[3]

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3. Restrizioni per oggetto e per effetto.

Come si è anticipato all’inizio dell’articolo, l’art. 101 del Trattato qualifica come incompatibili con il mercato interno tutti gli accordi tra imprese che abbiano “per oggetto” o “per effetto” di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato interno.

Vi è quindi una distinzione netta tra la nozione di “restrizione per oggetto” e quella di “restrizione per effetto”, ciascuna soggetta ad un regime probatorio diverso.[4]

Esistono infatti accordi tra imprese che possono essere considerati, per loro stessa natura, dannosi per il buon funzionamento della concorrenza,[5] tant’è che ove presentino “restrizioni per oggetto”, non occorre ricercare né tanto meno dimostrare gli effetti negativi sulla concorrenza al fine di qualificarli come illeciti, in quanto determinano riduzioni della produzione e aumenti dei prezzi, a danno, in particolare, dei consumatori.[6]

Le c.d. “restrizioni della concorrenza per oggetto”, hanno carattere eccezionale, del che devono essere interpretate restrittivamente e quindi applicate ad un numero assai ristretto, riservato appunto a quegli accordi che presentano un grado di dannosità per la concorrenza tale da ritenere superfluo l’esame dei loro effetti sul mercato interno.[7]

Per i casi relativi alle “restrizioni per effetto”, devono essere valutati di volta in volta i singoli casi, prendendo in considerazione la natura e la quantità, limitata o no, dei prodotti oggetto dell’accordo, la posizione e l’importanza delle parti sul mercato dei prodotti di cui trattasi, il carattere isolato di tale accordo o, al contrario, la sua posizione in un complesso di accordi.[8]

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4. Valutazione delle singole clausole.

Ai fini della valutazione di un’eventuale revoca del beneficio dell’esenzione, bisogna determinare gli effetti preclusivi del mercato e indebolimento della concorrenza che i singoli accordi possono comportare sui consumatori, con conseguente aumento dei prezzi, limitazione della scelta dei beni, abbassamento della qualità dei beni e riduzione dell’innovazione o dei servizi al livello del fornitore.[9] Gli effetti negativi sul mercato che possono derivare da restrizioni verticali e che il diritto dell’Unione in materia di concorrenza è volto a prevenire sono:[10]

  • una preclusione anticoncorrenziale del mercato nei confronti di altri fornitori o altri acquirenti, a seguito della creazione di barriere all’ingresso o all’espansione;
  • l’indebolimento della concorrenza tra il fornitore e i suoi concorrenti (c.d. concorrenza inter-brand);
  • indebolimento della concorrenza tra l’acquirente e i suoi concorrenti (d. concorrenza intra-brand).

Da una brevissima analisi, si può evincere che gli accordi possono contenere al loro interno clausole contrattuali che determinano una riduzione della concorrenza sia all’interno del marchio (ossia la concorrenza tra i distributori di beni o servizi dello stesso fornitore), oppure sulla concorrenza tra marchi (ossia la concorrenza tra i distributori di beni o servizi di fornitori diversi).

In linea di principio, la Commissione ritiene essere più “pericolosi” e più incisive sulla concorrenza gli accordi che incidono sulla concorrenza tra marchi, rispetto a quelli che gravano sulla concorrenza all’interno dello stesso marchio: viene ritenuto essere improbabile che una riduzione della concorrenza all’interno del marchio (ossia intra-brand) possa determinare di per sé effetti negativi per i consumatori se la concorrenza tra i marchi (ossia inter-brand) è forte.[11]

Di tale elemento bisognerà certamente tenere conto nella valutazione delle singole clausole normalmente contenute all’interno di un contratto di distribuzione che hanno un impatto sulla concorrenza. Tra queste si possono elencare le principali, che sono quelle qui di seguito richiamate:

  • monomarchismo;
  • fornitura esclusiva;
  • attribuzione esclusiva di clientela;
  • divieto di vendita online.
4.1. Monomarchismo.

Il monomarchismo (si tratta di una traduzione della locuzione “single branding”), è una categoria in cui rientrano numerose clausole che impattano sul gioco della libera concorrenza, tra cui:

  • l’approvvigionamento esclusivo (con cui si obbliga l’acquirente ad acquistare unicamente prodotti contrattuali presso il fornitore);
  • obbligo di non concorrenza nel corso del rapporto (ove l’acquirente si impegna a non rivendere prodotti concorrenziali rispetto a quelli contrattuali);
  • imposizione di volumi minimi di acquisto.

In pratica, si tratta di una categoria che raggruppa gli accordi la cui principale caratteristica è di indurre l’acquirente a concentrare gli ordini di un particolare tipo di prodotto presso un unico fornitore.[12]

Tra le clausole qui sopra richiamate, solamente quella relativa all’obbligo di non concorrenza di fatto impatta su una concorrenza inter-brand che, se combinata con l’approvvigionamento esclusivo, potrà avrà un impatto ancora maggiore, sia su mercato inter-brand, che su quello intra-brand. In tale ipotesi, il distributore sarà appunto un distributore monomarca, che si obbliga ad acquistare i prodotti unicamente dal fornitore, impattando così sulla concorrenza sia all’intero del mercato contrattuale, che su quello concorrente.

4.2. Fornitura esclusiva.

La fornitura esclusiva si riferisce a restrizioni che obbligano o inducono il fornitore a vendere il prodotto oggetto del contratto soltanto o principalmente a un unico acquirente.

Si tratta quindi, della clausola speculare rispetto a quella di approvvigionamento esclusivo, posto che nella prima il fornitore/concedente si impegna a fornire (in un determinato mercato) solamente un acquirente e nella seconda, è il distributore che si obbliga ad approvvigionarsi unicamente presso il fornitore, senza che allo stesso venga necessariamente garantita un’esclusiva all’interno del mercato ove lo stesso opera.

Molto spesso (ma non sempre), le due clausole vanno di pari passo, così che ad un rapporto di distribuzione esclusiva si abbina un rapporto di approvvigionamento esclusivo.

In particolare, nei mercati in cui la distribuzione di un marchio viene riconosciuta con esclusiva ad uno o più distributori, vi sarà una riduzione della concorrenza all’interno del marchio stesso, che non necessariamente si riflette negativamente sulla concorrenza tra i distributori in generale.[13]

Quando un fornitore attribuisce un territorio molto vasto (ad esempio quello di uno Stato intero) ad un acquirente/distributore senza che vi siano restrizioni sulla vendita del mercato a valle, è improbabile che ci siano effetti anticoncorrenziali. Se del caso, gli stessi potranno essere compensati da vantaggi (ex art. 101, terzo comma) in termini di logistica e promozione, essendo l’acquirente particolarmente spinto ad investire sul marchio oggetto di concessione di vendita.[14]

4.3. Attribuzione esclusiva di clientela.

Con questa clausola vengono riconosciute in esclusiva le vendite dei prodotti contrattuali ad un unico acquirente/distributore ai fini della rivendita ad una determinata categoria o gruppo di clienti. Parimenti, spesso, al distributore vengono vietate le vendite attive ad altri clienti riconosciuti in via esclusiva ad altri acquirenti.

Anche questa clausola rientra tra quelle che hanno un impatto intra-brand, a condizione che la stessa non venga inserita in combinazione con altre clausole che di fatto impattano sulla concorrenza tra marchi concorrenti.

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5. Fattori rilevanti per la valutazione di accordi che superano la soglia di sicurezza.

Ora, nel caso di un rapporto di distribuzione, i cui contraenti superano la c.d. “soglia di sicurezza” del 30%, comprendere se suddette clausole possono beneficiare dell’esenzione, deve essere approfonditamente valutato di volta in volta tenuto conto di differenti elementi, così come degli impatti che tali accordi hanno sulla concorrenza, con la consapevolezza che la combinazione delle singole clausole tra loro incide in maniera più rilevante sulla concorrenza.

Per stabilire se un accordo verticale comporti una restrizione sensibile della concorrenza sono particolarmente rilevanti i seguenti fattori:[15]

  • la natura dell’accordo;
  • la posizione di mercato delle parti;
  • la posizione di mercato dei concorrenti (a monte e a valle);
  • la posizione di mercato degli acquirenti dei beni o servizi oggetto del contratto;
  • le barriere all’ingresso;
  • il livello della catena di produzione o di distribuzione interessato;
  • la natura del prodotto;
  • le dinamiche del mercato.

Chiaro è che, tanto maggiore sarà la quota di mercato dei contraenti (fornitore e acquirente) sui mercati di riferimento (a monte e a valle), tanto maggiore è la probabilità che sia elevato il loro potere di mercato. Ciò vale in particolare quando la quota di mercato riflette vantaggi in termini di costi o altri vantaggi competitivi rispetto ai concorrenti.[16]

Rilevante è altresì la posizione di mercato dei concorrenti. Nuovamente, quanto più forte e la posizione competitiva dei concorrenti e maggiore è il loro numero, tanto minore è il rischio di precludere il mercato ai concorrenti o indebolire la concorrenza.[17]

Se, ad esempio, l’accordo include clausole di monomarchismo e/o di fornitura esclusiva, ma i concorrenti sono sufficientemente numerosi e forti, la Commissione ritiene comunque improbabili la sussistenza di effetti anticoncorrenziali significativi: è inverosimile che i concorrenti vengano esclusi se essi detengono posizioni di mercato analoghe e possono offrire prodotti simili di qualità equivalente. Eventualmente si potrebbe verificare la preclusione del mercato nei confronti dei nuovi operatori potenziali se più fornitori importanti concludono parimenti accordi di monomarchismo con un numero significativo di acquirenti nel mercato rilevante.[18]

Quanto alle barriere all’ingresso, a livello dei fornitori, queste vengono commisurate in funzione della capacità delle imprese già insediate sul mercato di portare il loro prezzo al di sopra di quello concorrenziale senza provocare l’ingresso sul mercato di nuovi concorrenti.

Certo è che, nella misura in cui è relativamente facile per i fornitori concorrenti creare la propria rete di distribuzione integrata o trovare distributori alternativi per il loro prodotto, è nuovamente improbabile che vi sia un problema reale di preclusione, ivi prevedendo delle clausole di monomarchismo,[19] ossia clausole che impattano anche sulla concorrenza inter-brand. Del pari anche in caso di previsione di accordi di fornitura esclusiva, la presenza di barriere all’ingresso a livello dei fornitori, non dovrebbe creare problemi nella misura in cui per gli acquirenti concorrenti è riconosciuta contrattualmente la possibilità di servirsi presso fonti alternative e ciò è anche agevolmente realizzabile.[20]

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6. Valutazioni conclusive.

In pratica, non esiste una formula matematica che permette di individuare a priori se un accordo di distribuzione, che supera la quota del 30%, sia effettivamente esentato dal beneficio di categoria, posto che di volta in volta ciò dipende da numerosi fattori, tra cui la tipologia e il contenuto delle clausole contrattuali restrittive della concorrenza presenti al suo interno e degli impatti che queste hanno sul mercato di riferimento, che può essere più o meno competitivo.

Quindi, per comprendere se un accordo di distribuzione che supera la soglia di mercato del 30% possa comunque beneficiare dell’esenzione, è necessario analizzare la singola fattispecie, altresì utilizzando gli strumenti forniti dalla Commissione e qui sopra brevemente richiamati e riassunti. Semplificando (ma ben lontani dal volere banalizzare), gli elementi che maggiormente devono spingere i contraenti ad aumentare la soglia di attenzione sono:

  • le quote di mercato dalle stesse detenute;[21]
  • la valutazione delle singole clausole contenute all’interno dell’accordo, della loro combinazione e degli effetti che le stesse hanno sul mercato, tenuto conto che quelle che impattano sulla concorrenza inter-brand sono più rischiose rispetto a quelle che inficiano sulla concorrenza intra-brand;
  • l’effettivo stato concorrenziale del mercato e la posizione dei maggiori player.

Per concludere, si può ragionevolmente affermare che i contratti di distribuzione che non contengono le restrizioni fondamentali di cui all’art. 4 del regolamento, né tantomeno quelle di cui all’art. 5, possano essere esentati, nonostante siano stipulati tra parti con una quota di mercato abbastanza rilevante, qualora il mercato appaia sufficientemente concorrenziale.

Se si analizzano, infatti, clausole che hanno un impatto sulla concorrenza tra marchi (quindi obbligo di acquisto esclusivo e patto di non concorrenza), seppure queste clausole impediscono l’accesso al mercato ai concorrenti (al concessionario è vietato infatti rifornirsi e rivendere prodotti differenti da quelli contrattuali), in linea di principio le stesse potranno avere un impatto negativo sulla concorrenza se si dimostra che all’interno del mercato rilevante di riferimento non vi siano sufficienti soggetti che possano svolgere servizi analoghi (e quindi altri concessionario in grado di rivendere i prodotti concorrenti).

Circa invece l’esclusiva di vendita, la stessa, incidendo essenzialmente sulla concorrenza intra-brand, ove nel mercato di riferimento vi sia sufficiente concorrenza inter-brand, la clausola non dovrebbe creare particolari problemi di carattere antitrust, per i motivi qui sopra richiamati.

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7. Ammende e azioni ordinarie.

Eventuali difformità alla normativa antitrust non solo potranno essere accertate da parte della Commissione e dell’Autorità nazionale competente in materia – su istanza propria o su segnalazione di soggetti terzi – ma potranno essere sottoposte ai giudici ordinari su iniziativa dell’altro contraente o di soggetti terzi che lamentano che insinuate condotte anticoncorrenziali, comportano una lesione dei loro interessi.

Con riferimento alle ammende, la soglia prevista dalla Commissione è particolarmente elevata, ed è pari sino al 10% del fatturato annuale totale realizzato nel corso dell’esercizio sociale precedente dall’impresa sanzionata. Questo perché l’ammenda deve avere un “effetto sufficientemente dissuasivo, allo scopo non solo di sanzionare le imprese in causa (effetto dissuasivo specifico), ma anche di dissuadere altre imprese dall’assumere o dal continuare comportamenti contrari agli articoli 101 e 102”.[22]

Parimenti, la normativa interna,[23] riconosce all’Autorità il potere di imporre sanzioni pecuniarie ove la condotta illecita sia qualificata da gravità, che non hanno “natura di misura patrimoniale civilistica (…) bensì di sanzione amministrativa con connotati punitivi (affini a quelli della sanzione penale).[24]

Quanto alle azioni ordinarie sono quelle tipiche, ossia di accertamento di una violazione, di nullità del rapporto contrattuale, quelle volte ad ottenere il risarcimento del danno, così come ad ottenere una misura cautelare. In tal caso, non sono previsti delle soglie massime, ma la quantificazione del danno dovrà essere di volta in volta calcolato e valutato sulla base dei principi generali risarcitori previsti dalla normativa applicabile alla singola fattispecie.

 

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[1] Bortolotti, Contratti di distribuzione, Wolters Kluwer, 2022, pag. 775.

[2] Punto 48, Orientamenti.

[3] Art. 8 lett. d. del regolamento 2022/720.

[4] Sentenza del 30 gennaio 2020, Generics (UK) e a., C-307/18, EU:C:2020:52, punto 63

[5] Sentenza del 2 aprile 2020, Budapest Bank e a., C-228/18, EU:C:2020:265, punto 35 e giurisprudenza ivi citata.

[6] In tal senso, sentenza del 30 gennaio 2020, Generics (UK) e a., C-307/18, EU:C:2020:52, punto 64.

[7] In tal senso, sentenza del 2 aprile 2020, Budapest Bank e a., C-228/18, EU:C:2020:265, punto 54 e giurisprudenza ivi citata.

[8] In tal senso, sentenza 18.11.20221, Visma Enterprise, C-306/20, n. 75.

[9] Punto 19, Orientamenti.

[10] Punto 18, Orientamenti.

[11] Punto 21, Orientamenti.

[12] Punto 298, Orientamenti.

[13] Punto 21, Orientamenti.

[14] Punto 135, Orientamenti.

[15] Punto 278, Orientamenti.

[16] Punto 282, Orientamenti.

[17] Punto 283, Orientamenti.

[18] Punto 303 e 328, Orientamenti.

[19] Punto 305, Orientamenti.

[20] Punto 326, Orientamenti.

[21] Faccio presente che, se molto elevate e in presenza di un mercato non particolarmente concorrenziale, si potrebbe addirittura configurare l’ipotesi di posizione dominante di cui all’art. 102, che mi riservo di approfondire qualora richiesto.

[22] Orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento (CE) n. 1/2003.

[23] Art. 15 Legge 287/1990.

[24] Consiglio di Statto, sentenza n. 1671 del 2001.