Il contributo analizza l’applicabilità della disciplina antitrust europea ai contratti di agenzia commerciale, partendo dalla premessa che, nella maggior parte dei casi, tali accordi non rientrano nell’ambito dell’art. 101, § 1 TFUE, in quanto l’agente opera come ausiliario del preponente e non assume rischi economici rilevanti. Tuttavia, l’evoluzione del mercato – segnatamente con l’emergere di figure ibride come piattaforme online e influencer – impone una riflessione critica: in alcune ipotesi, la struttura del rapporto può giustificare l’applicazione delle regole antitrust, richiedendo una valutazione attenta e caso per caso. L’articolo esplora i criteri normativi e giurisprudenziali rilevanti e ipotizza gli sviluppi futuri di tale qualificazione.

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1. Quadro normativo generale.

La normativa antitrust europea nasce dall’esigenza di bilanciare due interessi contrapposti: da un lato garantire un mercato interno integrato e concorrenziale, dall’altro consentire alle imprese di introdurre alcune restrizioni giustificate per strutturare reti distributive efficienti e tutelare i propri investimenti[1]. In altri termini, il diritto della concorrenza UE mira a prevenire accordi o pratiche che restringano la competizione, pur riconoscendo che determinate intese verticali possono avere effetti pro-competitivi (es. miglioramenti distributivi) e meritare esenzioni.

I riferimenti cardine sono l’art. 101 del Trattato sul Funzionamento dell’UE (TFUE), che vieta gli accordi tra imprese aventi per oggetto o per effetto la restrizione della concorrenza[2], e l’art. 102 TFUE, che vieta l’abuso di posizione dominante da parte di un’impresa. In ambito di vertical agreements (accordi tra imprese operanti a differenti livelli della filiera distributiva), l’applicazione dell’art. 101(1) TFUE è stata dettagliata da normativa secondaria. In particolare, il Regulation (EU) 2022/720 (cosiddetto nuovo VBER – Vertical Block Exemption Regulation) disciplina le condizioni in cui gli accordi verticali possono beneficiare di un’esenzione automatica dal divieto antitrust[3]. A complemento, la Commissione UE ha emanato i nuovi Orientamenti del 2022 sulle restrizioni verticali, che forniscono criteri interpretativi per valutare gli accordi verticali alla luce dell’art. 101 TFUE e dello stesso Regolamento.

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2. Il precedente fondamentale: il caso Grundig (1964).

La moderna disciplina degli accordi verticali trova fondamento nel celebre caso Consten & Grundig (1964), pietra miliare in cui per la prima volta un sistema di esclusiva territoriale assoluta fu giudicato incompatibile con il mercato unico europeo[4]. In quella vicenda, Grundig aveva garantito al suo concessionario francese (Consten) una protezione territoriale totale, vietando vendite al di fuori della Francia e impedendo parallelamente ai distributori di altri Paesi di vendere in Francia. La Commissione (confermata dalla Corte di Giustizia nel 1966) dichiarò l’illegittimità di tale accordo: si stabilì il divieto dei sistemi di “esclusiva chiusa”, ossia quelli che prevedono il divieto assoluto di vendite passive fuori territorio, in quanto restrizioni anticoncorrenziali per oggetto[4][5]. Da allora vige il principio per cui le clausole che garantiscono una protezione territoriale perfetta (impedendo le vendite passive verso territori riservati) sono vietate di per sé ex art. 101(1) TFUE, indipendentemente dagli effetti concreti sul mercato[5]. Questo precedente giurisprudenziale ha posto le basi per tutta la successiva regolamentazione degli accordi verticali in Europa.

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3. L’esenzione per categoria e le restrizioni fondamentali negli accordi verticali.

Il Regolamento (UE) 2022/720 prevede un’esenzione automatica (per categoria) per gli accordi verticali che rispettino determinate condizioni. In particolare, l’art. 3 del regolamento stabilisce una “safe harbor” antitrust per tutti gli accordi verticali in cui sia il fornitore che l’acquirente non superano il 30% di quota di mercato nel rispettivo mercato rilevante[6]. Entro tale soglia, l’accordo beneficia di una presunzione di legalità as long as non contenga restrizioni fondamentali della concorrenza. Questa impostazione ricalca quella del precedente Reg. 330/2010, mantenendo la cosiddetta “zona di sicurezza” al 30%[7].

Le restrizioni fondamentali (note anche come hardcore restrictions) sono clausole verticali particolarmente gravi, considerate in grado di causare un significativo danno ai consumatori. La presenza di anche una sola di queste restrizioni “hardcore” comporta l’esclusione integrale dell’accordo dall’esenzione di categoria e la nullità di pieno diritto delle relative clausole ai sensi dell’art. 101(2) TFUE. In pratica, se un contratto di distribuzione contiene una restrizione fondamentale, perde automaticamente il beneficio dell’esenzione e può essere integralmente invalido (qualora la clausola illecita non sia scindibile dal resto dell’accordo). [2] [8] [9]

Tra le restrizioni fondamentali elencate all’art. 4 del Regolamento 2022/720 rientrano, ad esempio:

  • Prezzo di rivendita imposto: il fornitore non può fissare il prezzo minimo o fisso di rivendita al distributore (è ammessa solo la fissazione di un prezzo massimo o la semplice raccomandazione non vincolante). Qualsiasi forma di price fixing verticale (c.d. RPM, resale price maintenance) è considerata restrizione hardcore.
  • Restrizioni territoriali o di clientela: in linea generale, sono vietate le clausole che limitano l’area geografica o la categoria di clientela in cui l’acquirente può rivendere i beni, salvo specifiche eccezioni che consentono di organizzare le reti distributive in modo conforme alle regole antitrust. Nel sistema di distribuzione esclusiva, il fornitore può riservare un territorio o gruppo di clienti a un solo distributore e vietare agli altri membri del sistema di effettuare vendite attive in quell’area o verso quei clienti. Tuttavia, resta vietato impedire le vendite passive (cioè non sollecitate) da parte di altri distributori. Diversamente, nel sistema di distribuzione selettiva, è ammesso vietare le vendite attive e passive verso distributori non autorizzati, anche se situati in altri Stati membri dell’UE. In cambio, però, vige il divieto di impedire le vendite incrociate tra membri autorizzati del sistema. In altri termini, nel sistema selettivo è possibile limitare le vendite passive verso l’esterno, ma non tra soggetti interni alla rete.[4].
  • Restrizioni all’uso di Internet: il nuovo regolamento ha innovato espressamente su questo punto, introducendo all’art. 4 lett. e) il divieto generale di impedire l’uso efficace di internet da parte dell’acquirente (o dei suoi clienti) per la vendita dei prodotti[8]. Ciò significa che il fornitore non può adottare misure che, direttamente o indirettamente, limitino in modo significativo l’accesso a Internet come canale di vendita. Ad esempio, costituirebbero violazioni hardcore clausole che proibiscano al distributore di operare un sito di e-commerce, di utilizzare piattaforme online riconoscibili, o altre restrizioni equivalenti che di fatto precludano l’online come canale[8]. (Sono invece lecite condizioni qualitative sulle vendite online, purché non equivalgano a un divieto sostanziale di usare Internet).
  • Scambio di informazioni sensibili in contesti di duplice distribuzione: il Regolamento 2022/720 dedica attenzione ai casi in cui fornitore e acquirente sono (anche) concorrenti sul mercato (c.d. dual distribution). L’art. 2(4) esclude dall’esenzione automatica gli accordi verticali tra concorrenti quando non si limitano a una cooperazione “genuinamente verticale”. In particolare, le Linee Guida 2022 chiariscono che nello scenario di duplice distribuzione è illecito lo scambio di informazioni non necessario e idoneo a eliminare la concorrenza tra le parti – ad esempio la comunicazione da parte del distributore al produttore di informazioni strategiche sui prezzi futuri, clienti individuali, vendite dettagliate, etc., che il produttore (concorrente) potrebbe sfruttare a proprio vantaggio. Tali scambi informativi comportano il rischio di collusione orizzontale e dunque possono far perdere l’esenzione [10].
  • Clausole di non concorrenza ultraquinquennali: il Regolamento (art. 5) elenca alcune restrizioni escluse, ossia clausole che, pur non essendo hardcore, non beneficiano dell’esenzione di categoria (ma, a differenza delle hardcore, not rendono illecito l’intero contratto se isolate). Tra queste, la principale è il non-competition agreement imposto all’acquirente di durata indeterminata o superiore a 5 anni. Un obbligo che vincoli il distributore a non trattare prodotti concorrenti oltre il quinquennio, o senza scadenza, non è coperto dall’esenzione automatica (salvo rinnovo tacito che consenta alle parti di rinegoziare liberamente dopo 5 anni, con preavviso almeno semestrale). Oltre tale limite temporale, l’accordo verticale dovrà essere valutato caso per caso ai sensi dell’art. 101 TFUE, poiché patti di non concorrenza troppo lunghi possono ostacolare la concorrenza in modo ingiustificato.

(Si noti che la presenza di una “restrizione esclusa” come il patto di non concorrenza >5 anni non annulla l’intero accordo: semplicemente quella clausola non gode di esenzione per categoria e va valutata singolarmente. Le restrizioni fondamentali, invece, contagiano l’intero contratto rendendolo privo di esenzione e nullo se indispensabile). [2] [8] [9]

Quanto sopra delineato costituisce, in sintesi, la disciplina UE degli accordi verticali leciti. Tipicamente, nei normali contratti di distribuzione, clausole come il controllo del prezzo di rivendita, l’esclusiva territoriale assoluta, il divieto di vendite online, ecc., sono vietate in quanto restrittive della concorrenza. Tuttavia, la situazione si complica quando consideriamo una diversa figura contrattuale: il contratto di agenzia. Gli accordi di agenzia spesso contengono proprio quelle stesse pattuizioni (prezzi imposti, zone di esclusiva, limitazioni di clienti) che, tra fornitori e distributori indipendenti, sarebbero hardcore vietate. È dunque fondamentale capire se e quando un rapporto di agenzia rientri nella definizione di accordo verticale soggetto alle regole di cui sopra, oppure no.

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4. Contratti di agenzia e applicabilità dell’art. 101 TFUE.

La domanda cruciale è: un contratto di agenzia commerciale può essere considerato un accordo verticale ai sensi del Regolamento 2022/720, e quindi soggetto al divieto di cui all’art. 101(1) TFUE? La risposta ha implicazioni pratiche importanti, poiché – come detto – nei contratti di agenzia è prassi inserire clausole di fissazione del prezzo, di esclusiva territoriale o di clientela, ecc., tutte restrizioni che, se l’agenzia fosse trattata come un normale accordo tra imprese indipendenti, violerebbero l’art. 101(1). In generale, però, il diritto antitrust riconosce che taluni accordi di intermediazione non sono frutto di imprese effettivamente concorrenti tra loro, ma fanno parte di un unico centro d’interessi economico. In tali casi, l’art. 101 TFUE non si applica affatto.

Già nel 1962 la Commissione CEE, nella cosiddetta “Comunicazione di Natale”, aveva chiarito che gli accordi di rappresentanza commerciale in linea di principio sfuggono al divieto antitrust qualora l’agente non assuma nessun rischio contrattuale significativo (se non la normale garanzia per insolvenza, lo star del credere)[12]. La logica è che quando l’agente agisce solo come ausiliario del preponente – eseguendo istruzioni e operando nell’interesse di quest’ultimo – l’accordo “non ha né per oggetto né per effetto” di restringere la concorrenza. L’agente, infatti, in tale scenario non è un operatore economico indipendente, ma parte integrante dell’organizzazione commerciale del preponente.

Questo principio è stato consolidato da una lunga evoluzione giurisprudenziale: in numerosi casi, la Corte di Giustizia ha ribadito che l’art. 101, §1 non si applica ai contratti di intermediazione commerciale se l’agente non assume i rischi commerciali e finanziari tipici di un distributore indipendente[13]. In particolare, l’agente genuino viene visto come un “organo ausiliario” facente parte dell’impresa del preponente (e quindi non come un altro centro di interessi con cui fare cartello). Viceversa, se l’agente opera con un grado di autonomia tale da sopportare rischi o funzioni analoghe a quelle di un commerciante indipendente, allora si considera che l’accordo di agenzia sia fake (non genuino) e debba ricadere sotto l’art. 101[14].

Il criterio di distinzione fondamentale è dunque l’assunzione del rischio. Come sottolineato sia dalla Corte di Giustizia che dagli Orientamenti della Commissione, “il fattore determinante per definire un accordo di agenzia commerciale ai fini dell’applicazione dell’art. 101, §1, è il rischio finanziario o commerciale assunto dall’agente”[15]. In pratica, se i rischi legati alle attività contrattuali gravano sostanzialmente sul preponente, ci troviamo di fronte a un true contratto di agenzia; se invece l’agente si fa carico di rischi significativi (normalmente propri di un rivenditore), l’accordo potrà essere considerato come intesa tra imprese distinte e soggetto al divieto di cartello[8]. La Commissione nelle Linee Guida conferma che, di norma, un accordo è considerato di agenzia quando l’agente non acquisisce la proprietà dei beni che vende (che rimane in capo al preponente) né fornisce esso stesso i servizi oggetto del contratto[8] – situazioni dalle quali si inferisce che il rischio commerciale resta sul preponente.

Ma quali sono, concretamente, i risks la cui presenza trasforma un agente in un “finto agente”? Le Linee Guida sia del 2010 che del 2022 elencano una serie di circostanze esemplificative in cui l’agente esce dal suo ruolo “tipico”. Tra i rischi incompatibili con un’agenzia pura rientrano, ad esempio, l’ipotesi in cui l’agente acquista la proprietà dei prodotti (rivendendoli poi per conto proprio), partecipa ai costi di fornitura o logistica, mantiene scorte a proprio costo o rischio, assume responsabilità verso terzi per difetti o danni dai prodotti, garantisce personalmente le obbligazioni dei clienti (rischio d’insolvenza), effettua investimenti propri in promozione, infrastrutture, personale, oppure svolge in parallelo attività in concorrenza nel medesimo mercato del preponente. In tutte queste situazioni l’agente sta operando con una autonomia economica e un’allocazione del rischio non coerenti con la figura dell’agente “vero” ai fini antitrust.

L’importanza pratica di questa distinzione è evidente: se un contratto di agenzia viene qualificato come “falso” secondo il diritto antitrust, esso ricadrà sotto il divieto dell’art. 101(1). In tal caso il preponente non potrà imporre all’agente quelle restrizioni che normalmente applicherebbe (prezzi, territori, clienti, ecc.), pena violare la legge antitrust. Ad esempio, se l’intermediario non è un vero agente agli occhi dell’art. 101, il preponente non potrà vietargli di concedere sconti sulla propria provvigione, né limitare l’area o la clientela in cui operare, né tanto meno proibire le passive sales al di fuori della zona assegnata. In sintesi, l’accordo di agenzia “falso” sarà trattato alla stregua di un accordo verticale qualsiasi tra imprese indipendenti, soggetto quindi a tutte le restrizioni e nullità previste (salvo, eventualmente, rientrare nei parametri di esenzione del Reg. 2022/720, come quota di mercato <30% e assenza di clausole hardcore).

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5. Novità e dibattito: i criteri della Commissione e prime considerazioni.

I nuovi Orientamenti UE del 2022 confermano il predetto approccio basato sui rischi, ma introducono anche esempi moderni di forme ibride di intermediazione che stanno sfumando il confine tra agenzia e distribuzione. Da una prima analisi, emerge che molte di queste situazioni riguardano elementi non tipici dell’agente “tradizionale” così come finora conosciuto e regolato. Ci si riferisce a figure di intermediari che, pur qualificati contrattualmente come agenti, nell’operatività assumono connotati imprenditoriali ben differenti [15].

Vale la pena evidenziare che parte della dottrina ha espresso perplessità sui criteri enunciati dalla Commissione per distinguere agenti veri e falsi: secondo alcuni, tali criteri risultano talora misleading poiché derivati da casistiche giurisprudenziali eccezionali, non rappresentative della normalità dei rapporti di agenzia. In particolare, si osserva che la Commissione ha mutuato le proprie linee guida da una serie di decisioni della Corte di Giustizia relative a fattispecie peculiari, senza tenere conto del modo di operare degli agenti “ordinari” nei comuni rapporti transfrontalieri. Ciò potrebbe condurre – avverte la dottrina – a incertezze applicative: un giudice o un’autorità antitrust nazionale, applicando pedissequamente gli Orientamenti, rischierebbe di classificare come falso agente anche intermediari che di fatto svolgono un’attività tipica di agenzia (quantomeno dal punto di vista civilistico). In altre parole, c’è il timore che criteri troppo rigidi possano far ricadere sotto l’art. 101 contratti di agenzia genuini, creando “falsi positivi” antitrust. Questa critica invita quindi a usare cautela e senso pratico nell’analisi caso per caso, considerando la realtà economica sostanziale oltre alle formule contrattuali.

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6. Quando l’agente not è davvero un agente: esempi pratici.

Per chiarire ulteriormente il confine, la Commissione ha fornito nei suoi Orientamenti alcuni esempi concreti di situazioni in cui un intermediario, pur chiamato agente, non può essere considerato tale ai fini antitrust. Si tratta di casi che riflettono evoluzioni del mercato odierno e aiutano a identificare scenari “a rischio” di falsa agenzia[16]:

  • Agente–distributore: un intermediario che, oltre a operare come agente per un preponente, svolge in parallelo attività di distributore indipendente di altri prodotti nello stesso settore. In questo caso risulta impossibile separare nettamente i costi e i rischi associati alle due attività. L’agente finisce per comportarsi in parte come un normale rivenditore (per le linee di prodotto che acquista e rivende in proprio), e ciò contamina anche il rapporto di agenzia: dal punto di vista concorrenziale, un simile operatore non potrà beneficiare dell’esenzione riservata all’agente puro, poiché porta inevitabilmente su di sé alcuni rischi imprenditoriali.
  • Piattaforme online “ibride”: nel contesto dell’economia digitale, molte piattaforme di intermediazione (si pensi a marketplace, portali di prenotazione, ecc.) sostengono ingenti investimenti specifici di mercato – sviluppo e manutenzione di software, servizi pubblicitari e promozionali, gestione del customer care e dei resi – e contemporaneamente si assumono rilevanti rischi finanziari o commerciali legati all’andamento delle vendite[42]. Queste piattaforme online che fungono da intermediari tra venditori e acquirenti, ma investono risorse proprie e influenzano attivamente il mercato, difficilmente potranno qualificare come agenti genuini. La loro posizione economica è più assimilabile a quella di operatori indipendenti (o di co-distributori) anziché meri ausiliari del fornitore, soprattutto se la piattaforma tratta allo stesso tempo prodotti di suoi concorrenti o promuove i propri servizi concorrendo con i fornitori che ospita.

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7. Le nuove figure di agenzia. L’influencer e l’agente “online”.

Agente “influencer”: una figura emersa di recente è quella dell’influencer commerciale che promuove prodotti sui social media per conto di un’azienda. Pur potendo essere inquadrato contrattualmente come agente (procurando clientela al preponente in cambio di una commissione), un influencer tipicamente sostiene spese proprie (es. per shooting fotografici, montaggio video, personale di supporto), decide in autonomia come presentare e pubblicizzare il prodotto (tono, contenuti, canali e tempistiche della comunicazione) e gestisce il rapporto con i follower/potenziali clienti senza direttive vincolanti del preponente. In sostanza, l’influencer esercita un’attività creativa e imprenditoriale per promuovere le vendite, assumendosene il rischio di successo: caratteristiche ben lontane dall’agente classico che esegue istruzioni. È quindi lecito chiedersi se, in determinati casi, in cui l’influencer disponga di un ampio potere contrattuale — tale da consentirgli di decidere in maniera pressoché autonoma le strategie di vendita e il posizionamento dei prodotti sul mercato, inclusi i prezzi — possa davvero qualificarsi come agent ai fini della normativa antitrust, o se invece il suo ruolo debba essere inquadrato come una forma di collaborazione commerciale autonoma, soggetta dunque all’applicazione dell’art. 101 TFUE.

Si tratta, con ogni evidenza, di un esercizio concettuale più che pratico, finalizzato a comprendere come nuove figure professionali possano progressivamente inserirsi nei modelli distributivi tradizionali. Resta fermo che, in questo processo evolutivo, anche la normativa antitrust sarà destinata a giocare un ruolo rilevante, fungendo da parametro di compatibilità dei nuovi modelli contrattuali con le regole del mercato interno.

Agente operante tramite e-commerce proprio: si pensi infine al caso di un agente cui il preponente affida la vendita in una certa zona, ma senza vincolarlo sulle modalità – e l’agente decide di organizzare direttamente un e-shop o di usare piattaforme online terze (come Amazon, eBay, Etsy, Farfetch, ecc.) per vendere i prodotti del preponente. In tal scenario, l’agente gestisce in proprio l’account online, stabilisce i prezzi di vendita al pubblico, decide la strategia commerciale digitale e la logistica di consegna, il tutto senza un controllo operativo stringente da parte del preponente. Di fatto, l’agente si comporta come un commerciante indipendente che utilizza canali online per collocare i prodotti: anche se formalmente agente, sta assumendo rischio d’impresa (es. rischio invenduto, reputazione online, feedback clienti) e un margine di autonomia incompatibile con la qualifica di “organo ausiliario” del preponente. In una futura valutazione antitrust, è verosimile che tali agenti “digitali” vengano considerati fakes agenti.

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8. Conclusioni.

In definitiva, la figura dell’agente di commercio rappresenta un unicum contrattuale nel diritto antitrust: quando l’agente risulta genuinamente integrato nella sfera del preponente — ossia non assume rischi finanziari o commerciali rilevanti — l’accordo tra le parti sfugge all’applicazione dell’art. 101 TFUE. In tali casi, che costituiscono la stragrande maggioranza delle ipotesi concrete, il preponente può legittimamente imporre condizioni contrattuali altrimenti vietate nei rapporti tra imprese indipendenti, quali la fissazione dei prezzi di rivendita, l’attribuzione di esclusive territoriali o il divieto di vendite attive.

Tuttavia, le evoluzioni del mercato e dei modelli distributivi odierni mostrano che non tutti i rapporti di agenzia presentano le caratteristiche dell’agente “tipo” finora considerato. Alcune forme di intermediazione – dalle piattaforme online agli influencer, fino ad agenti con doppio ruolo – potrebbero trascinare il contratto fuori dall’area protetta riservata agli agenti veri, facendo sì che tali rapporti vengano valutati alla stregua di accordi tra imprese indipendenti. In futuro, è quindi plausibile che determinate tipologie di agenzia vengano considerate “false” in ottica antitrust, perdendo l’immunità e rientrando nel campo di applicazione dell’art. 101.

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[1] [4] [5] Vendite parallele. Quando possono essere bloccate?

[2] Art. 101 TFUE

[3] Regolamento 2022/720

[6] Esenzioni per gli accordi verticali di fornitura e distribuzione (a partire dal 2022)

[7] Quote di mercato nella concessione di vendita e antitrust

[8] Vendite online contratti di distribuzione e nell’antitrust

[9] Comunicazione 101 del 27.4.2004

[10] Information exchange and dual distribution: antitrust implications in distribution contracts

[11] Contratto di agenzia e normativa antitrust. Una panoramica

[12] Decreto della Commissione Europea (Comunicazione / Decisione) pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 139 del 24 dicembre 1962, a pag. 2921, riguardante i contratti di rappresentanza esclusiva stipulati con rappresentanti di commercio

[13] Suiker Unie – Sentenza del 16-12-1975 — Cause Riunite 40—18, 50, 54—56, 111, 113 E 114-73

[14] DaimlerChrysler/Commissione, sentenza 15. 9. 2005 – Causa T-325/01

[15] Orientamenti sulle restrizioni verticali – Commissione 2022

[16] Comunicazione della Commissione – Orientamenti sulle restrizioni verticali (2022/C 248/01)