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ToggleIl 2023 ha portato una serie di sentenze significative nella giurisprudenza italiana ed europea inerenti al contratto di agenzia, delineando orientamenti e chiarimenti fondamentali in materia, talvolta in linea con i precedenti, talvolta in contrasto. Attraverso l’esame di queste decisioni, l’articolo offre una panoramica su come la materia dell’agenzia commerciale si è sviluppata nel corso degli ultimi mesi, andando a toccare temi importanti quali la forma del contratto, l’accesso alle scritture contabili, l’indennità di fine rapporto e il fallimento. Questo articolo intende fornire un’analisi generale delle sentenze più influenti, evidenziando le implicazioni pratiche per agenti e preponenti e tracciando il percorso della giurisprudenza nell’ambito del diritto di agenzia.
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1. Forma del contratto
1.1. Prova del rapporto.
Corte d’Appello Milano, Sez. lavoro, Sentenza, 18/05/2023, n. 532
L’art. 1742, comma 2, c.c., dispone che “il contratto deve essere provato per iscritto”. Del che la norma richiede la forma scritta solamente ad probationem e non ad substantiam. La forma, dunque, non è un elemento costitutivo del contratto, ma un onere richiesto ai fini della prova dell’avvenuta stipulazione di esso. Conseguenza dell’inosservanza della forma stabilita è il divieto della prova testimoniale (art. 2725, comma 1 c.c.), così come di quella presuntiva (art. 2729, comma 2, c.c.). Ad ogni modo, la mancanza di un contratto scritto non preclude l’indagine sull’esistenza e sulla natura del rapporto intercorso quale agenzia, ma comporta che tale accertamento debba svolgersi sulla base della documentazione prodotta in atti dalle parti in causa.
Nell’affermare tale principio, la Corte d’Appello richiama il consolidato orientamento della Corte di legittimità, in base al quale la prova dell’esistenza di un contratto di agenzia non deve necessariamente derivare da un documento formale che evidenzia l’accordo iniziale delle parti. Può anche essere dedotta da documentazione che riflette l’esecuzione volontaria del contratto, la sua conferma o il riconoscimento volontario delle sue condizioni da parte delle parti coinvolte e, quindi, documenti che mostrano come le parti abbiano effettivamente agito in accordo con un contratto di agenzia (ad esempio, riepiloghi di pagamenti e di provvigioni, estratti conto).[1]
La prova deve quindi riguardare i caratteri distintivi del rapporto di agenzia, ossia i requisiti di stabilità e continuità del rapporto. Nel caso di specie, sono stati sufficienti la periodicità delle fatture che nel caso di specie avevano cadenza mensile e restarono state emesse dalla gente nonché dai loro importi.
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1.2. Contratto di agenzia e art. 1341 c.c.
Corte d’Appello Milano, Sez. lavoro, 23/03/2023, n. 327
La sentenza della Corte d’Appello di Milano, n. 327 del 23 marzo 2023, affronta una questione importante relativa alla natura e alla formazione del contratto di agenzia, in relazione all’art. 1341 del codice civile italiano, che disciplina le condizioni generali di contratto.
La Corte osserva che il contratto di agenzia si basa sull’ “intuitus personae”, ovvero sulla particolare considerazione delle qualità personali dell’agente. A differenza dei contratti standardizzati che utilizzano moduli o formulari predisposti da una delle parti, e che sono destinati a una platea indifferenziata di soggetti, il contratto di agenzia è specificamente rivolto a determinati agenti e si caratterizza per un regolamento negoziale personalizzato.
In questo contesto, la Corte chiarisce che al contratto di agenzia non sono applicabili i criteri di forma previsti dall’art. 1341 c.c., inerente alla disciplina relativa ai contratti conclusi mediante la sottoscrizione di moduli e formulari: “non è sufficiente che uno dei contraenti abbia predisposto l’intero contenuto del regolamento (senza il concorso dell’altra parte) ma è necessario che le condizioni in esso fissate non possano che accettarsi (o rifiutarsi) nella loro interezza e, comunque, siano finalizzate a disciplinare una serie indefinita di rapporti“.[2]
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2. Rito lavoro
Cass. civ., Sez. lavoro, Ordinanza, 05/04/2023, n. 9431
Con sentenza del 23 novembre 2021, il Tribunale di Piacenza ha dichiarato il proprio difetto di competenza, per effetto della clausola compromissoria contenuta nell’art. 13, comma 2 del contratto di agenzia tra le parti, e ha ritenuto che l’attività di agenzia svolta dal ricorrente, data l’autonomia della sua struttura imprenditoriale di non modeste dimensioni, non rientrasse nella sua competenza. Successivamente, con atto notificato il 22 dicembre 2021, l’agente ha proposto regolamento di competenza, ai sensi degli artt. 42, 47, 819 ter c.p.c.
In questo contesto, la sentenza della Corte di Cassazione, si inserisce per chiarire i criteri di competenza in relazione ai rapporti di agenzia. La Corte ribadisce che le controversie relative al rapporto di agenzia rientrano nella competenza per materia del Tribunale del lavoro, secondo l’art. 409, n. 3, c.p.c., solo se il rapporto implica una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale. Tale requisito si considera mancante, escludendo l’applicazione del rito del lavoro, qualora l’agente operi tramite una società di persone o di capitali, o abbia organizzato la propria attività con criteri imprenditoriali, gestendo un’impresa autonoma.
La prevalente personalità della prestazione d’opera è un requisito distintivo di tutti i rapporti di parasubordinazione, inclusi quelli di agenzia, come previsto dall’art. 409 c.p.c., n. 3. Questo requisito viene meno qualora il contributo personale e diretto dell’agente all’attività sia meno significativo rispetto all’organizzazione e al coordinamento di una struttura autonoma. Tale situazione si verifica qualora il personale e diretto contributo dell’agente alla prestazione dell’attività caratteristica sia minore rispetto a quello all’organizzazione e al coordinamento di un’autonoma struttura.
È stata, ad esempio, riconosciuta la competenza del giudice ordinario per un’agenzia di considerevoli dimensioni, con dodici dipendenti, quattro subagenti e tredici consulenti previdenziali, oltre a un ampio portafoglio clienti, tanto da necessitare la gestione amministrativa, tecnica e finanziaria da parte di una società in accomandita semplice.[3]
Nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha confermato la sentenza del Tribunale di Piacenza, osservando che l’estensione territoriale del mandato (Italia e Svizzera), la rete commerciale composta da sei collaboratori per la promozione e conclusione degli affari, la loro remunerazione da parte dell’agente, l’assegnazione di aree di competenza distinte e la collaborazione di due architetti, indicano chiaramente un’organizzazione dell’attività in forma imprenditoriale. Tale organizzazione è stata allestita e gestita dall’agente, con una prestazione d’opera personale che prevale rispetto a quella tipicamente associata.
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3. Modifiche unilaterali del contratto.
Cass. civ., Sez. lavoro, Ordinanza, 05/04/2023, n. 9365
La sentenza in oggetto ha confermato un orientamento ormai più che costante, in base al quale nel contratto di agenzia, sono considerate nulle, ai sensi degli artt. 1346 e 1418 c.c., le clausole che conferiscono al preponente un potere illimitato di modifica unilaterale della base di calcolo e quindi dell’importo delle provvigioni. Il caso di specie riguardava il riconoscimento in capo al preponente di potersi riservare la facoltà di concedere extrasconti in misura non prestabilita e a un numero di clienti imprecisato, rendendo così non determinato e non determinabile un elemento essenziale del contratto, quale la controprestazione dovuta all’agente.
Sebbene il codice civile riconosca la possibilità di variazioni unilaterali (come quelle correlate alle controprestazioni, contemplate dagli artt. 2103 e 1560 c.c.), è fondamentale che tali modifiche siano predeterminate, attraverso caratteristiche intrinseche o limiti esterni, in modo da rendere possibile la formazione del consenso alla stipulazione del contratto su più oggetti determinati previsti come alternativi.
Di conseguenza, è stata considerata legittima una clausola che riservi al preponente la scelta, all’atto della stipulazione del contratto o nel corso del rapporto, tra più sistemi di provvigioni determinati nei loro effetti economici complessivi, tali quindi da consentire all’agente la rappresentazione delle possibilità alternative accettate con la conclusione del contratto.[4]
Contrariamente è stata dichiarata nulla, in quanto condizione meramente potestativa, la clausola con cui il preponente si riservi, in qualsiasi momento e previa comunicazione, la possibilità di trattare direttamente con alcuni clienti non predefiniti, senza riconoscere all’agente le provvigioni sulle vendite così effettuate e svuotando così il contenuto del contratto.[5]
Allo stesso modo, è stata dichiarata nulla per indeterminatezza dell’oggetto (ex artt. 1346 e 1418 c.c.) la clausola di un contratto di agenzia che consenta al preponente di modificare unilateralmente e con il solo onere del preavviso le tariffe provvigionali, escludendo che la determinazione di un elemento essenziale del contratto, quale la controprestazione dell’attività dell’agente, sia rimessa al mero arbitrio del preponente.[6]
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4. Provvigioni
Corte d’Appello Roma, Sez. lavoro, Sentenza, 20/02/2023, n. 428
L’articolo 1748 del codice civile regolamenta il diritto alla provvigione dell’agente, stabilendo i criteri e le condizioni per la sua maturazione, esigibilità e restituzione. La normativa può essere compresa attraverso i seguenti punti chiave:
1. Maturazione del Diritto alla Provvigione (comma 1): L’agente ha diritto alla provvigione per tutti gli affari conclusi durante il contratto se l’operazione è stata conclusa per effetto del suo intervento. Questo stabilisce il principio che la provvigione è dovuta in relazione all’efficacia dell’azione dell’agente nel portare a termine l’affare.
2. Esigibilità della Provvigione (comma 4): La provvigione diventa esigibile dal momento e nella misura in cui il preponente ha eseguito, o avrebbe dovuto eseguire, la prestazione in base al contratto concluso con il terzo. Inoltre, la provvigione è dovuta all’agente, al più tardi, nel momento in cui il terzo ha eseguito o avrebbe dovuto eseguire la prestazione, a condizione che il preponente abbia adempiuto ai suoi obblighi. Questo stabilisce un legame diretto tra l’esecuzione dell’affare e il diritto dell’agente a ricevere la provvigione.
3. Restituzione delle Provvigioni (comma 6): L’agente è tenuto a restituire le provvigioni riscosse solo se è certo che il contratto tra il terzo e il preponente non avrà esecuzione per cause non imputabili al preponente. È nullo qualsiasi patto che sia più sfavorevole all’agente. Questo implica che l’agente può essere tenuto a restituire la provvigione se l’affare non si concretizza per motivi non attribuibili al preponente.
Del che, anche se un contratto di agenzia include una clausola che considera approvato il conto provvigionale se non contestato entro un certo periodo (ad esempio, 30 giorni), l’approvazione dell’estratto conto non impedisce l’impugnabilità della validità e dell’efficacia dei singoli rapporti obbligatori.[7]
Ad ogni modo, l’inserimento nel conto provvigionale inverte l’onere della prova dell’esistenza del rapporto fondamentale.[8] Tuttavia, questo non impedisce al preponente di sottrarsi al pagamento della provvigione, dimostrando (tramite specifiche allegazioni e prove da parte dello stesso) che il contratto non è stato eseguito per cause a lui non imputabili.
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5. Accesso ai libri contabili
Corte d’Appello Bari, Sez. lavoro, Sentenza, 28/06/2023, n. 1038
L’articolo 1749 del codice civile italiano stabilisce un principio fondamentale nel contesto dei rapporti di agenzia: il preponente è tenuto ad agire con lealtà e buona fede nei confronti dell’agente. Questo principio implica l’imposizione di specifici doveri sul preponente per assicurare una gestione trasparente e corretta del rapporto di agenzia. Tra questi doveri rientra l’obbligo di fornire all’agente tutta la documentazione e le informazioni necessarie per l’adempimento efficace e completo del suo incarico. Inoltre, il preponente deve regolarmente, almeno su base trimestrale, fornire all’agente un dettagliato estratto conto delle provvigioni spettanti, offrendo così una visione chiara e dettagliata delle transazioni effettuate.
Parallelamente, la normativa riconosce all’agente un diritto esplicito di richiedere e ricevere tutte le informazioni necessarie per la verifica dell’importo delle provvigioni liquidate. Questo include, in particolare, il diritto di accesso agli estratti dei libri contabili del preponente. L’obiettivo è di consentire all’agente di controllare in modo autonomo e accurato le provvigioni a lui dovute, in linea con i principi di buona fede e correttezza che governano il rapporto di agenzia.
Deve però puntualizzarsi che il diritto all’accesso alla documentazione contabile non è fine a sé stesso, ma è funzionalmente e strumentalmente collegato al soddisfacimento del diritto alle provvigioni ed alle indennità collegate al rapporto di agenzia. In questo senso è stato affermato che l’acquisizione della documentazione in possesso solo del preponente dev’essere indispensabile per sorreggere, sul piano probatorio, la domanda formulata in relazione a diritti determinati o determinabili, ammettendosi la carenza di indicazione di tali dati quantitativi, quando essa derivi dall’ inadempimento dell’obbligo di informazioni posto dalla legge a carico del preponente e, in primis, dell’obbligo contrattuale concernente l’ invio degli estratti conto provvigionali.[9]
Incombe quindi alla parte che agisce al fine di ottenere l’esibizione documentale dedurre e dimostrare l’esistenza dell’interesse ad agire, con circostanziato riferimento alle vicende rilevanti del rapporto (tra cui, in primis, l’invio o meno degli estratti conto provvigionali ed il loro contenuto) e l’indicazione dei diritti, determinati o determinabili, al cui accertamento è finalizzata l’istanza.[10]
Va altresì evidenziato che nell’ambito dell’autorità istruttoria del giudice del lavoro, l’emissione di un ordine di esibizione ai sensi dell’articolo 210 del codice di procedura civile rimane una facoltà discrezionale del giudice di merito. Tale giudice non è tenuto a motivare la decisione di ricorrere a tale strumento istruttorio residuale, il quale si rende operante esclusivamente qualora non vi siano altri mezzi disponibili per acquisire la prova dei fatti, e non deve servire a fini meramente esplorativi da parte di chi sollecita l’ordine.[11]
In tale contesto, la Corte ha stabilito che l’esibizione di documenti non può essere ordinata quando la parte avrebbe avuto la possibilità di acquisire autonomamente tali documenti e presentarli in giudizio. Solo nel caso in cui specifici documenti non siano altrimenti ottenibili e la parte dimostri di essere stata impedita nel produrli, l’ordine di esibizione può essere considerato giustificato.
Nel caso specifico posto in esame, l’appellante ha invocato il diritto alla verifica dei Registri IVA relativi alle fatture di vendita emesse dalla controparte con una richiesta che è stata ritenuta genericamente esplorativa e priva della necessaria finalità strumentale. L’appellante, infatti, non ha fornito indicazioni concrete che tali registri avrebbero potuto rivelare discrepanze rispetto agli estratti conto già sottoposti all’analisi del consulente tecnico, risultando così una domanda priva del necessario fondamento che ne giustificherebbe l’ammissibilità secondo i criteri delineati dalla giurisprudenza citata.
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6. Scioglimento del contratto
Corte d’Appello Milano, Sez. lavoro, Sentenza, 10/02/2023, n. 1033
L’indennità di fine rapporto di agenzia, prevista dall’articolo 1751 del codice civile italiano, impone all’agente l’obbligo di dimostrare la conclusione effettiva del rapporto. Senza questa comprovazione, l’indennità non viene riconosciuta.
Nella situazione in esame, la preponente aveva informato l’agente della risoluzione del contratto di concessione di vendita in essere con la società produttrice dei prodotti promossi dall’agente. La Corte ha considerato che la mera notifica di estinzione del contratto di concessione da parte della mandante non è sufficiente a dimostrare l’intenzione di porre termine anche al rapporto di agenzia correlato. Si noti che nella comunicazione inviata all’agente, la preponente annunciava che stavano valutando la possibilità di negoziare, in qualità di singolo dealer, nuovi termini contrattuali con la società concedente, concludendo l’avviso con l’impegno di aggiornare l’agente sugli sviluppi delle trattative.
Tribunale Roma, Sez. XVII, Sentenza, 11/04/2023, n. 5790
In materia di contratto di agenzia, l’art.1751 c.c. prevede che l’agente, entro il termine breve di un anno, deve formulare a pena di decadenza una richiesta scritta di pagamento delle indennità di fine rapporto, mentre entro il termine di prescrizione quinquennale lo stesso deve proporre la relativa azione giudiziaria.
Corte d’Appello Cagliari Sassari, Sez. lavoro, Sentenza, 22/02/2023, n. 37
In tema di contratto di agenzia, fatto costitutivo del diritto all’indennità ex art. 1751 c.c. è la cessazione del rapporto, di cui al primo comma della citata disposizione codicistica, unitamente alle condizioni previste nelle successive articolazioni dello stesso articolo, mentre costituiscono fatti impeditivi le circostanze tipizzate al secondo comma.
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7. Clausola risolutiva espressa
Si osserva che in tema di clausola risolutiva espressa si riscontrano due orientamenti giurisprudenziali divergenti, che qui di seguito si riportano.
- Cassazione civile, Sezione II, Ordinanza, 23/06/2023, n. 18030
Secondo questa interpretazione, il recesso senza preavviso da un rapporto di agenzia è consentito solo in presenza di una causa che impedisca la prosecuzione anche provvisoria del rapporto, come previsto dall’articolo 1751, comma 2, del codice civile. Questa sentenza sottolinea che il ricorso da parte della impresa preponente ad una clausola risolutiva espressa, richiede comunque una verifica giudiziale dell’esistenza di un inadempimento che costituisca giusta causa di recesso, ai sensi dell’articolo 2119 del codice civile. In tale verifica, il giudice deve considerare le dimensioni economiche del contratto, l’impatto dell’inadempimento sull’equilibrio contrattuale e la gravità della condotta, tenendo conto della posizione dell’agente e dell’intensità della relazione di fiducia nel rapporto di agenzia. La sentenza si richiama ai più recenti orientamenti della Cassazione.[12]
- Corte d’Appello Milano, Sez. lavoro, Sentenza, 16/02/2023, n. 120
Questo secondo orientamento stabilisce che, nel rapporto di agenzia, è legittimo includere una clausola risolutiva espressa ai sensi dell’articolo 1456 del codice civile. In presenza di tale clausola, il giudice non deve valutare l’entità dell’inadempimento rispetto all’interesse della controparte, ma deve soltanto accertare se l’inadempimento sia imputabile al soggetto obbligato. La clausola risolutiva espressa, dunque, conferisce al contraente il diritto di ottenere la risoluzione del contratto per un determinato inadempimento dell’altra parte, senza doverne dimostrare l’importanza. Anche qui, la sentenza cita precedenti della Cassazione, seppure più risalenti.[13]
Nel caso di specie il Giudice ha accertato la circostanza documentale che il minimo concordato non sia stato raggiunto e ha ritenuto non rilevante il fatto che la decisione di risolvere in tronco la collaborazione sia avvenuta due anni dopo il mancato raggiungimento del budget, anche tenuto conto del fatto che nel caso di specie ill recesso del 24/3/15 è basato pure sul mancato raggiungimento del budget per il 2014 e non solo per il 2013) o che non ci siano state preventive contestazioni ad opera della preponente.
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Sempre in tema di rinuncia della clausola risolutiva espressa, la Corte d’Appello Bari, Sez. lavoro, Sent., 28/06/2023, n. 1038, ha richiamato un orientamento della Cassazione, che ha escluso la possibilità di ritenere provata la rinuncia implicita alla risoluzione del contratto ex art. 1456 c.c. in forza della sola tolleranza della parte creditrice, chiarendo che
“L’operatività della clausola risolutiva espressa viene meno in conseguenza della rinunzia della parte interessata ad avvalersene, ma, qualora si deduca la rinunzia tacita – che è pur sempre un atto di volontà abdicativa, ancorché non manifestato espressamente, bensì mediante comportamenti incompatibili con la conservazione del diritto – l’indagine del giudice volta ad accertarne l’esistenza, implicando la risoluzione di una questio voluntatis, deve essere condotta in modo che non risulti alcun ragionevole dubbio sull’effettiva intenzione del preteso rinunziante. La tolleranza dell’avente diritto – che può estrinsecarsi sia in un comportamento negativo (mancata comunicazione della dichiarazione di avvalersi della clausola subito dopo l’ inadempimento) che in un comportamento positivo (accettazione di un adempimento parziale) – non costituisce di per sé prova di rinunzia tacita, ove non risulti determinata dalla volontà di non più avvalersi della clausola, ma da altri motivi, e il giudice, qualora accerti che non è configurabile una rinunzia tacita ma solo un comportamento tollerante, non può attribuire ad esso alcuna rilevanza giuridica ai fini della inoperatività della clausola risolutiva”.[14]
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8. Indennità di fine rapporto
Cass. civ., Sez. lavoro, Ordinanza, 02/08/2023, n. 23547
Ai fini della determinazione dell’indennità in caso di cessazione del rapporto di agenzia per recesso del preponente, ex art. 1751 c.c., nella base di computo vanno ricomprese non soltanto le provvigioni maturate, ma anche quelle percepite come “fisso provvigionale”, atteso che la previsione codicistica fa riferimento, in relazione al profilo del “quantum”, al più ampio concetto di “retribuzioni riscosse” e non solo di provvigioni. Ciò in conformità alla direttiva Europea 86/653, la quale distingue retribuzione e provvigioni agli artt. 6, commi 1 e 2 e 17, ma ai fini del computo dell’indennità fa riferimento non soltanto alle provvigioni ma anche alle altre somme che la norma indica col termine retribuzioni. La Corte, sulla base di questo ragionamento, ha ritenuto possibile utilizzare come base di computo del tetto massimo non unicamente le provvigioni maturate dall’agente, ma altresì quelle percepite come “fisso provvigionale” (in questo caso superiore a quanto effettivamente maturato).
Considerando che nel calcolo massimo di cui all’art. 1751 c.c. possono computarsi anche le provvigioni fisse, è importante notare che la norma non specifica un metodo preciso di computazione. Pertanto, per il calcolo, si deve fare riferimento ai criteri ivi indicati. Questi criteri non riguardano esclusivamente lo sviluppo della clientela o degli affari da parte dell’agente e il mantenimento, da parte del preponente, di vantaggi sostanziali derivanti dall’attività di promozione svolta dall’agente stesso, ma anche alla rispondenza ad equità dell’attribuzione, in considerazione delle circostanze del caso concreto ed in particolare delle provvigioni perse da quest’ultimo.[15]
Tenuto conto che la disposizione codicistica mira ad indennizzare l’agente per la perdita del contratto e perciò dei vantaggi che il contratto gli avrebbe procurato, se il recesso ingiustificato avviene dopo un breve periodo di tempo dall’inizio del rapporto, la perdita può essere correlata al lavoro effettivamente svolto per la penetrazione in un mercato nuovo e dall’impegno profuso nella medesima direzione, prendendo come parametro per il calcolo dell’indennità anche delle provvigioni fisse. Queste provvigioni, pur non essendo direttamente indicative dell’attività di promozione delle vendite, possono essere un parametro utile nel determinare il compenso adeguato.
Corte d’Appello Milano, Sez. lavoro, Sentenza, 17/02/2023, n. 1111
In tema di contratto di agenzia, l’art. 1750 c.c. esprime un precetto materiale che vieta pattuizioni che alterino la parità delle parti in materia di recesso, con la conseguenza di reputare nullo per frode alla legge (ai sensi dell’art. 1344 c.c.) il patto che contempli, in aggiunta all’obbligo di pagare l’indennità di mancato preavviso, una clausola penale che, in quanto eccessivamente onerosa a cagione del proprio rilevantissimo importo, incida in misura significativa sulla normale facoltà di recedere di una delle parti, limitandola fortemente ed eludendo, per tale via, il principio imperativo della parità delle parti medesime nella materia del recesso.
Diverso è il caso esaminato dalla Corte di Appello di Brescia richiamata nella sentenza,[16] che ha invece ritenuto legittima una clausola penale prevista in caso di recesso, tenuto conto che la stessa non sarebbe stata applicata nel caso di recesso della società mandante senza giusta causa e, soprattutto, nel caso di recesso del promotore per giusta causa.
Corte giustizia Unione Europea, Sez. III, 23/03/2023, n. 574/21
L’art. 17 comma 3 della direttiva 86/653 ha quale fine quello di riparare il pregiudizio subìto dalla cessazione dei suoi rapporti con il preponente. Ciò si verifica nel caso in cui l’agente commerciale venga privato delle provvigioni che gli sarebbero derivate dall’esecuzione del contratto, procurando al tempo stesso al preponente vantaggi sostanziali in connessione con l’attività dell’agente commerciale, ovvero in condizioni che non abbiano consentito all’agente commerciale di ammortizzare gli oneri e le spese sostenuti per l’esecuzione del contratto dietro raccomandazione del preponente.
L’articolo 17, paragrafo 2, della direttiva 86/653 include anche le provvigioni future che l’agente avrebbe guadagnato se il contratto di agenzia non fosse terminato. Pertanto, nella determinazione dell’indennità di fine rapporto, secondo le condizioni di legge, devono essere considerate le provvigioni per le operazioni che sarebbero state concluse dopo l’estinzione del contratto, sia con nuovi clienti acquisiti dal preponente prima dell’estinzione, sia con i clienti con cui l’agente ha significativamente sviluppato gli affari.
Parimenti, l’articolo 17, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 86/653 deve essere interpretato nel senso che il versamento di provvigioni una tantum non esclude dal calcolo dell’indennità, prevista da tale articolo 17, paragrafo 2, le provvigioni che l’agente commerciale perde e che risultano dalle operazioni realizzate dal preponente, dopo l’estinzione del contratto di agenzia commerciale, con i nuovi clienti che l’agente commerciale gli ha procurato prima di tale estinzione, o con i clienti con i quali quest’ultimo ha sensibilmente sviluppato gli affari prima di detta estinzione, quando tali provvigioni corrispondono a remunerazioni forfettarie per ogni nuovo contratto concluso con tali nuovi clienti, o con i clienti esistenti del preponente, con l’intermediazione dell’agente commerciale.
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9. Patto di non concorrenza
Corte d’Appello Milano, Sez. lavoro, 23/03/2023, n. 327
Sebbene l’art. 1751-bis, comma secondo, preveda espressamente che l’accettazione del patto di non concorrenza comporta, in occasione della cessazione del rapporto, la corresponsione all’agente commerciale di una indennità di natura non provvigionale, secondo l’orientamento della Corte, tale previsione normativa può essere pattiziamente derogata pattiziamente dalle parti, non essendo presidiata da una sanzione di nullità espressa e non diretta a tutelare un interesse pubblico. Inoltre, la previsione vigente non opera per i contratti d’agenzia sottoscritti precedentemente all’entrata in vigore dell’art. 23, comma 1, L. 29 dicembre 2000, n. 422 (Legge comunitaria 2000), considerata l’irretroattività della legge e la conseguente operabilità della stessa solo per l’avvenire.
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10. Risarcimento del danno
Tribunale Cosenza, Sez. lavoro, Sentenza, 11/01/2023, n. 1969
Nel contesto del rapporto di agenzia, in tema di risarcimento del danno all’immagine, non è sufficiente per la mandante affermare genericamente di aver subito una perdita di prestigio e credibilità professionale a causa delle azioni dell’agente. Questo presunto danno non può essere assunto in re ipsa solo perché gli assicurati, venendo a conoscenza del cambio di agente, potrebbero sviluppare un’opinione negativa sull’ex agente.
È necessario, invece, che il danno all’immagine venga specificamente dimostrato e provato dal richiedente. Il giudice, nella sua valutazione, non deve basarsi su ipotesi astratte, ma piuttosto su evidenze concrete del pregiudizio effettivamente subìto dalla parte lesa. Pertanto, la sua liquidazione deve essere compiuta dal giudice, con accertamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità, sulla base non di valutazioni astratte, bensì del concreto pregiudizio presumibilmente patito dalla vittima, per come da questa dedotto e dimostrato, anche attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti, che siano fondate.[17]
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11. Fallimento
Cass. civ., Sentenza del 26/09/2023 n. 27384
La messa in liquidazione coatta amministrativa della società preponente non comporta automaticamente la cessazione del rapporto di lavoro con l’agente, consentendo così all’agente di richiedere indennità di mancato preavviso o di fine rapporto, per il periodo in questione, qualora riesca a provarne la sussistenza dei presupposti.
Cass. civ., Sentenza n. 10046 del 14/04/2023
In questa sentenza si afferma che, in caso di fallimento del preponente, il contratto di agenzia in corso non comporta lo scioglimento automatico del contratto di agenzia, ma si applica la regola generale di sospensione e la scelta del curatore se continuare o sciogliere il contratto. Secondo l’articolo 72 della legge fallimentare, il contratto è sospeso e non segue le disposizioni dell’articolo 78, non potendo il contratto di agenzia essere assimilato a quello di mandato, data la natura continua e stabile dell’attività dell’agente.
Il curatore ha la discrezionalità di decidere se subentrare o meno nel contratto di agenzia pendente, senza necessità di autorizzazione del comitato dei creditori. La scelta può essere manifestata anche tramite fatti concludenti, come l’esclusione dei crediti dell’agente dallo stato passivo.
Nel caso di scioglimento del rapporto di agenzia a seguito del fallimento del preponente, i crediti dell’agente relativi all’indennità sostitutiva del preavviso e all’indennità suppletiva di clientela possono essere ammessi allo stato passivo del fallimento, avendo queste indennità una natura non retributiva o risarcitoria, ma indennitaria.
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12. Procacciamento d’affari
Corte d’Appello Roma, Sez. III, 17/03/2023, n. 1119
I caratteri distintivi del contratto di agenzia sono la continuità e la stabilità dell’attività dell’agente di promuovere la conclusione di contratti in una zona determinata per conto del preponente (art. 1742 c.c.), realizzando in tal modo con quest’ultimo una non episodica collaborazione professionale autonoma, con risultato a proprio rischio e con l’obbligo naturale di osservare, oltre alle norme di correttezza e di lealtà, le istruzioni ricevute dal preponente medesimo; invece il rapporto del procacciatore d’affari si concreta nella più limitata attività di chi, senza vincolo di stabilità ed in via del tutto episodica, raccoglie le ordinazioni dei clienti, trasmettendole all’imprenditore da cui ha ricevuto l’incarico di procurare tali commissioni; mentre la prestazione dell’agente è stabile, avendo egli l’obbligo di svolgere l’attività di promozione dei contratti, la prestazione del procacciatore è occasionale nel senso che dipende esclusivamente dalla sua iniziativa.[18] Ne consegue che il rapporto di agenzia e il rapporto di procacciamento di affari non si distinguono solo per il carattere stabile del primo e facoltativo del secondo, ma anche perché il rapporto di procacciamento d’affari è episodico, ovvero limitato a singoli affari determinati, è occasionale, ovvero di durata limitata nel tempo ed ha ad oggetto la mera segnalazione di clienti o sporadica raccolta di ordini e non l’attività promozionale stabile di conclusione di contratti.[19]
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[1] Cass. Civ. n. 1657 del 2017.
[2] Cass. n. 20461/20, conf. Cass. n.. 17073/13.
[3] Cassazione n. 18040 del 2007.
[4] Cassazione n. 11003 del 1997
[5] Cassazione n. 11003 del 1997.
[6] Cassazione n. 4504 del 1997.
[7] Cassazione n. 14767 del 2000.
[8] Cassazione n. 13506 del 2014
[9] cfr. Cassazione n. 18586 del 2007, Cassazione n. 14968 del 2011, Cassazione n. 21219 del 2015.
[10] Cassazione n. 19319 del 2016.
[11] Cassazione n. 31251 del 2021.
[12] Cassazione Sez. lav. n. 30488 e n. 22246 del 2021; Cassazione Sez. lav. n. 24368 del 2015; Cassazione Sez. lav. n. 10934 del 2011; Cassazione n. 6008 del 2012.
[13] Cassazione n. 7063 del 1987; Cassazione n. 4659 del 1992; Cassazione n. 4369 del 1997; Cassazione n. 8607 del 2002.
[14] Cassazione civile, Sez. I, 18 giugno 1997, n. 5455.
[15] Cassazione n. 23966 del 2008; Cassazione n. 15203 del 2010; Cassazione n. 15375 del 2017.
[16] Corte d’Appello di Bresca n. 246 del 2021.
[17] Cassazione n. 4005 del 2020.
[18] Cassazione n. 19828 del 2013; Cassazione n. 13629 del 2005.
[19] Cassazione n. 2828 del 2016; Cassazione n. 19828 del 2013.