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ToggleL’informatore scientifico è il soggetto che funge da tramite, altamente qualificato, tra la casa farmaceutica e chi è preposto alla somministrazione del farmaco (che sia il medico, l’ospedale o la farmacia).
La giurisprudenza italiana seppure non abbia del tutto escluso l’applicabilità delle norme sull’agenzia a tale figura, ne ha limitato la sua applicazione.
Si vanno qui di seguito a dare alcuni strumenti per comprendere se e quando un informatore scientifico debba essere inquadrato come dipendente, agente o lavoratore autonomo.
La promozione e intermediazione delle vendite nel mercato farmaceutico è caratterizzata da rilevanti peculiarità. Uno dei principali elementi di atipicità del settore è sicuramente individuabile nel fatto che i destinatari dei prodotti farmaceutici sono i pazienti, il cui rapporto con le imprese è però mediato da un terzo (il medico, l’ospedale o la farmacia) a cui l’ordinamento giuridico attribuisce, per un gran numero di farmaci, la funzione esclusiva di identificare la terapia più appropriata attraverso la prescrizione.
L’attività di connessione tra la causa farmaceutica e il soggetto preposto alla somministrazione del farmaco viene in buona parte svolta dall’informatore scientifico (anche detto propagandista farmaceutico).
L’informatore farmaceutico è disciplinato nel nostro ordinamento dal D.lgs. 219/2006 art. 122, norma che esige il possesso, da parte del soggetto che svolge tale attività, di un diploma di laurea in discipline scientifiche tassativamente elencate, così come l’obbligo per ogni impresa farmaceutica di comunicare all’Agenzia entro il mese di gennaio di ogni anno l’elenco degli informatori scientifici impiegati nel corso degli anni precedenti.
Dall’esame di tale normativa non si emerge un obbligo per le imprese farmaceutiche che intendano avvalersi di un informatore scientifico, di inquadrare tale soggetto come dipendente, essendo libere di adottare per lo svolgimento di tale attività sia un contratto di lavoro subordinato, di agenzia, così come di lavoro autonomo, in base alle effettive modalità di esecuzione del rapporto[1]
Si vanno qui di seguito a dare alcuni spunti e strumenti, per comprendere se e quando un informatore scientifico debba essere considerato dipendente, agente o lavoratore autonomo.
1. Lavoratore subordinato o agente?
Stante l’assoluta apertura da parte della giurisprudenza nel ritenere che l’informatore scientifico possa essere liberamente inquadrato come lavoratore subordinato,[2] qualora le parti dovessero scegliere di adottare tale disciplina, si dovrà certamente escludere l’applicabilità al rapporto delle norme in tema di agenzia.
Nel caso invece il rapporto dovesse essere classificato come agenzia, al fine di verificare se lo stesso sia stato inquadrato correttamente, bisognerà verificare, nel caso concreto, il contenuto effettivo delle prestazione rese, tenuto conto del reale atteggiamento delle parti; in pratica, accertare se vi sia o meno un’effettiva subordinazione dell’informatore scientifico al potere gerarchico e disciplinare dell’imprenditore, così come un’assunzione del rischio dell’attività.[3]
Una cassazione piuttosto datata (Cass. Civ. 1992 n. 9676), ma non per questo ancor oggi non attuale, ha sostenuto che l’attività di informatore scientifico può svolgersi sia nell’ambito del rapporto di lavoro autonomo, che in quello del rapporto di lavoro subordinato, evidenziando come nel caso del propagandista “agente” il rapporto sia caratterizzato da un’obbligazione di risultato, mentre, nel secondo caso, di mezzi. Si legge, invero, che
“a seconda che la prestazione dell’attività si caratterizzi – per le modalità del suo svolgimento – come mero risultato o come messa a disposizione di energie lavorative con l’inserzione del propagandista nell’organizzazione produttiva dell’imprenditore e l’assoggettamento alle disposizioni da questo impartite”
In particolare viene affermato dalla Corte che:
“dall’anzidetta attività – che (svolta in via autonoma o subordinata) consiste nel persuadere la potenziale clientela dell’opportunità dell’acquisto, informandola del prodotto e delle sue caratteristiche, ma senza promuovere (se non in via del tutto marginale) la conclusione di contratti – differisce l’attività dell’agente, il quale, nell’ambito di un’obbligazione non di mezzi, ma di risultato, deve altresì pervenire alla promozione della conclusione dei contratti, essendo a questi direttamente connesso e commisurato il proprio compenso.”
Un ulteriore elemento che dovrà essere tenuto in considerazione per un corretto inquadramento del rapporto, riguarda certamente le modalità di retribuzione dell’informatore scientifico. Se la retribuzione di tale soggetto non è in alcun modo parametrata a quelle che sono le vendite che vengono effettuate dal preponente della sua zona e che, quindi, il rischio economico venga ribaltato integralmente su tale soggetto, sarà certamente molto più complesso sostenere la sua inquadrabilità all’interno della disciplina dell’agenzia, o comunque di rapporto di lavoro autonomo.
– Leggi anche: Il contratto di agenzia e il rapporto di lavoro subordinato: criteri distintivi e parametri valutativi.
2. Agente o lavoratore autonomo?
In linea di massima la giurisprudenza italiana seppure non abbia del tutto escluso l’applicabilità delle norme sull’agenzia all’informatore farmaceutico, ne ha limitato la sua applicazione.
Punto di partenza di tale processo interpretativo, la definizione di “agenzia” di cui all’art. 1742 c.c., ove viene inserita tra le prestazioni caratteristiche dell’agente di commercio, quella di promozione dei contratti. Si legge:
“Col contratto di agenzia una parte assume stabilmente l’incarico di promuovere, per conto dell’altra, verso retribuzione, la conclusione di contratti in una zona determinata.”
Se si analizza, invece, l’attività di diversi informatori scientifici, si può rilevare che gli stessi (e da qui anche il nome) svolgono principalmente non tanto l’attività di promozione, quanto quella (diversa) di propaganda.
Per distinguere le due attività, si può semplificare facendo presente che l’attività di propaganda consiste essenzialmente nell’illustrare, seppure anche in maniera assai analitica, dettagliata e scientifica, le qualità di un determinato prodotto (nel caso di specie un farmaco), pur esalandone le sue qualità e le caratteristiche che lo contraddistinguono rispetto alla concorrenza.
Dall’altra parte, l’attività di promozione consiste, invece, in una serie di attività volte a stimolare la domanda di un prodotto, quali ad esempio, il lancio di campagne promozioni, sviluppo di strategie di marketing, etc.
Quindi, sul presupposto della significativa differenza tra tali tipologie di attività, parte della giurisprudenza ha ritenuto che la mera propaganda svolta da un informatore scientifico, mediante visite a medici o dirigenti sanitari,
“allo scopo di favorire l’adozione dei farmaci dagli stessi rappresentati debba considerarsi quale rapporto atipico, non inquadrabile nello schema del rapporto di agenzia, tenuto conto del fatto che il propagandista, oltre a non stipulare alcun contratto con clienti della casa editrice, non svolge neppure attività volta alla conclusione di contratti, ponendosi tale evento come un fatto esterno all’attività di pubblicità e, per di più, eventuale.”[4]
In particolare la Cassazione ha affermato che l’attività di promozione della conclusione di contratti per conto del preponente, che costituisce l’obbligazione tipica dell’agente, non può consistere in una mera attività di propaganda, da cui possa solo indirettamente derivare un incremento delle vendite, ma deve consistere nell’attività di convincimento del potenziale cliente ad effettuare delle ordinazioni dei prodotti del preponente, atteso che è proprio con riguardo a questo risultato che viene attribuito all’agente il compenso, consistente nella provvigione sui contratti conclusi per suo tramite ed andati a buon fine.
Si registra un’ulteriore problematica, o forse è meglio dire che tale problematica si acuisce e si rende ancora più palese quando l’informatore farmaceutico presta la propria attività nei confronti di strutture ospedaliere o aziende sanitarie pubbliche. In tal caso, parte della giurisprudenza ritiene addirittura che bisognerebbe a priori escludere la sussistenza di un’attività di promozione, posto che l’intermediario che entra in contatto con enti pubblici, non può in alcun modo convincere la P.A. ad ordinare il prodotto, atteso il vincolo delle procedure amministrative di evidenza pubblica in materia di conclusione di contratti.”[5]
In altre pronunce, soprattutto quanto l’informatore scientifico svolge contemporaneamente i compiti tipici dell’agente, è stato ritenuto che l’attività di propaganda pur non potendo costituire di per sé sola l’attività tipica dell’agente, integra il presupposto della promozione della conclusione di contratti.
Si ritiene opportuno riportare qui di seguito un estratto di una pronuncia della Corte, con cui viene dato atto che, seppure la prestazione dell’agente consiste in atti di contenuto vario e non predeterminato che tendono tutti alla promozione della conclusione di contratti, l’attività tipica dell’agente di commercio non richiede:
necessariamente la ricerca del cliente ed è sempre riconducibile alla prestazione dedotta nel contratto di agenzia anche quando il cliente, da cui proviene la proposta di contratto trasmessa dall’agente, non sia stato direttamente ricercato da quest’ultimo ma risulti acquisito su indicazioni del preponente (o in qualsiasi altro modo), purché sussista nesso di causalità tra l’opera promozionale svolta dall’agente nei confronti del cliente e la conclusione dell’affare cui si riferisce la richiesta di provvigione.
In ogni caso, perché possa configurarsi un contratto di agenzia non occorre che l’agente abbia la possibilità di fissare prezzi e sconti e comunque quella di modulare le condizioni del servizio alle peculiari esigenze dei clienti del servizio stesso, potendo la standardizzazione delle condizioni di vendita rendere preminente l’azione di propaganda rispetto a quella di preparazione e allestimento del contratto.”[6]
Può pertanto concludersi che la propaganda è una componente della promozione, considerata dall’art. 1742 c.c., e che la stessa è sufficiente ad integrarla quando riassume, congiunta ad altri compiti tipici dell’agente, la funzione di organizzazione e sviluppo di collocamento del prodotto, in modo da attribuire all’incaricato il ruolo di effettivo intermediario tra l’impresa ed i suoi clienti, anche attraverso una attività di sollecitazione mediata dei possibili acquirenti del bene o servizio.
In altre parole, non può escludersi a priori l’esistenza di un contratto di agenzia solo perché la promozione dei contratti si rivolga nei confronti di persone diverse a clienti finali (cioè quelle persone che effettuano l’acquisto del bene o del servizio), dovendo nel caso di specie verificare se il soggetto svolge un’effettiva attività di promozione delle vendite, anche seppure di carattere indireto.
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[1] Sul punto cfr. Venezia, Il contratto di agenzia, pag. 667, 2020, Giuffrè.
[2] Cass. Civ. 2006 n. 4271, Cass. Civ. 2001 n. 9167.
[3] Cass. Civ. 2009 n. 9696, “L’elemento distintivo tra il rapporto di agenzia e il rapporto di lavoro subordinato va individuato nella circostanza che il primo ha per oggetto lo svolgimento a favore del preponente di un’attività economica esercitata in forma imprenditoriale, con organizzazione di mezzi e assunzione del rischio da parte dell’agente, che si manifesta nell’autonomia nella scelta dei tempi e dei modi della stessa, pur nel rispetto – secondo il disposto dall’art. 1746 c.c. – delle istruzioni ricevute dal preponente, mentre oggetto del secondo è la prestazione, in regime di subordinazione, di energie lavorative, il cui risultato rientra esclusivamente nella sfera giuridica dell’imprenditore, che sopporta il rischio dell’attività svolta.” Cass. Civ. 2008 n. 21380.
[4] Cass. Civ. 2006 n. 3709.
[5] Cass. Civ. 2008 n. 18686.
[6] Cass. Civ. 2018, n. 20453.