[:it]Con sentenza del 2 luglio 2015, n. 13580, la Corte di Cassazione si è espressa su un punto molto spesso oggetto di controversie nei rapporti contrattuali tra agente e preponente. Il caso è stato il seguente: un preponente, al quale era stato attribuito il potere di modificare, nel corso del rapporto contrattuale, il portafoglio clienti del proprio agente, ha utilizzato tale clausola, per effettuare una drastica riduzione del portafoglio clienti dell’agente stesso, pari, appunto, al 88% (sul punto cfr. anche Le modifiche unilaterali del contratto di agenzia da parte del preponente).
La Corte, che è stata interrogata sulla legittimità di tale comportamento, ha rilevato che, seppure al preponente venga genericamente attribuito il potere di ridurre il pacchetto clienti del proprio agente, tale facoltà dovrebbe, comunque, essere esercitata principalmente con lo scopo di adeguare il contratto all’effettiva evoluzione che il rapporto ha nel corso del tempo. Inoltre, sempre secondo la Cassazione, tale potere deve comunque essere sottoposto a dei limiti ed essere esercitato dal titolare con correttezza e buona fede.
Il ricorso è stato fondato essenzialmente sulla denuncia di violazione e/o falsa applicazione, da parte del preponente, dell’art. 2 A.E.C. 2002 (accordi economici collettivi) e dell’art. 2697 c.c. I commi 3,4 e 5 (che qui interessano) dell’art. 2 A.E.C. 2002 così recitano:
“Le variazioni di zona (territorio, clientela, prodotti) e della misura delle provvigioni, esclusi i casi di lieve entità (intendendosi per lieve entità le riduzioni, che incidano fino al cinque per cento del valore delle provvigioni di competenza dell’agente o rappresentante nell’anno civile precedente la variazione, ovvero nei dodici mesi antecedenti la variazione, qualora l’anno precedente non sia stato lavorato per intero), possono essere realizzate previa comunicazione scritta all’agente o al rappresentante da darsi almeno due mesi prima (ovvero quattro mesi prima per gli agenti e rappresentanti impegnati ad esercitare la propria attività esclusivamente per una sola ditta), salvo accordo scritto tra le parti per una diversa decorrenza.
Qualora queste variazioni siano di entità tale da modificare sensibilmente il contenuto economico del rapporto (intendendosi per variazione sensibile le riduzioni superiori al venti per cento del valore delle provvigioni di competenza dell’agente nell’anno civile precedente la variazione, ovvero nei dodici mesi antecedenti la variazione, qualora l’anno precedente non sia stato lavorato per intero), il preavviso scritto non potrà essere inferiore a quello previsto per la risoluzione del rapporto.
Qualora l’agente o rappresentante comunichi, entro trenta giorni, di non accettare le variazioni che modifichino sensibilmente il contenuto economico del rapporto, la comunicazione del preponente costituirà preavviso per la cessazione del rapporto di agenzia o rappresentanza, ad iniziativa della casa mandante“.
Dalla lettura di tale articolo, si evince, quindi, che al preponente è conferito un diritto potestativo, consistente nella possibilità di diminuire la clientela del proprio agente. In tal caso, qualora l’agente comunichi di non accettare le diminuzioni impostegli da preponente, si determina una giusta causa di recesso, che consente al preponente di recedere dal rapporto contrattuale senza dovere corrispondere all’agente l’indennità di fine rapporto ex art. 1751 c.c..
Tuttavia, tale diritto potestativo, soggiace, secondo un costante indirizzo giurisprudenziale, anch’esso ai principi generali del nostro ordinamento, di correttezza e buona fede, nello svolgimento del rapporto contrattuale, disciplinati appunto agli artt. 1175, 1375 c.c. e 1749 c.c. (cfr. Cass. n. 9924/09).
Inoltre, la stessa Corte, ha richiamato un proprio orientamento (cfr. Cass. 5467/2000), secondo il quale, in generale, nel contratto di agenzia, l’attribuzione al preponente del potere di modificare alcune clausole (in particolare quelle relative all’ambito territoriale e alla misura delle provvigioni), dovrebbe “essere giustificata dalla necessità di meglio adeguare il rapporto alle esigenze delle parti, così come si sono modificate durante il corso del tempo”.
L’utilizzo di poteri potestativi, pertanto, non deve comunque tradursi in un sostanziale aggiramento delle obbligazioni contrattuali e, pertanto, deve essere comunque limitato e sottoposto ai principi di correttezza e buona fede.
La Corte ha concluso, affermando che nel caso di specie, il preponente ha essenzialmente utilizzato e mascherato un proprio diritto potestativo, quello appunto di ridurre, la clientela del proprio agente, per mettere quest’ultimo in una situazione di fatto impossibile da accettare e, quindi, con il fine e la funzionalità di fare cessare il rapporto contrattuale, senza che nascesse l’obbligo di pagare l’onere di pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso.
Si ricorda da ultimo che la Corte ha fatto riferimento già numerose volte al principio di agire secondo buona fede ex art. 1375 c.c. In altre occasioni ha ad esempio considerato contrario a tale principio il comportamento del preponente che aveva operato un cambiamento radicale nella politica dei prezzi, da rendere di fatto impossibile per l’agente operare (cfr. Cass. Civ. 1995 n. 1142), il rifiuto incondizionato e sistematico di fare corso aglio ordini trasmetti dall’agente (Cass. Civ. 1985 n. 6475), sostituire l’agente nel corso del preavviso, informando contemporaneamente la clientela (Cass. Civ. 1991 n. 1032).[:de]Con sentenza del 2 luglio 2015, n. 13580, la Corte di Cassazione si è espressa su un punto molto spesso oggetto di controversie nei rapporti contrattuali tra agente e proponente. Il caso è stato il seguente: un preponente, al quale era stato attribuito il potere di modificare, nel corso del rapporto contrattuale, il portafoglio clienti del proprio agente, ha utilizzato tale clausola, per effettuare una drastica riduzione del portafoglio clienti dell’agente stesso, pari, appunto, al 88%.
La Corte, che è stata interrogata sulla legittimità di tale comportamento, ha rilevato che, seppure al preponente venga genericamente attribuito il potere di ridurre il pacchetto clienti del proprio agente, tale facoltà dovrebbe, comunque, essere esercitata principalmente con lo scopo di adeguare il contratto all’effettiva evoluzione che il rapporto ha nel corso del tempo. Inoltre, sempre secondo la Cassazione, tale potere deve comunque essere sottoposto a dei limiti ed essere esercitato dal titolare con correttezza e buona fede.
Il ricorso è stato fondato essenzialmente sulla denuncia di violazione e/o falsa applicazione, da parte del preponente, dell’art. 2 A.E.C. 2002 (accordi economici collettivi) e dell’art. 2697 c.c. I commi 3,4 e 5 (che qui interessano) dell’art. 2 A.E.C. 2002 così recitano:
“Le variazioni di zona (territorio, clientela, prodotti) e della misura delle provvigioni, esclusi i casi di lieve entità (intendendosi per lieve entità le riduzioni, che incidano fino al cinque per cento del valore delle provvigioni di competenza dell’agente o rappresentante nell’anno civile precedente la variazione, ovvero nei dodici mesi antecedenti la variazione, qualora l’anno precedente non sia stato lavorato per intero), possono essere realizzate previa comunicazione scritta all’agente o al rappresentante da darsi almeno due mesi prima (ovvero quattro mesi prima per gli agenti e rappresentanti impegnati ad esercitare la propria attività esclusivamente per una sola ditta), salvo accordo scritto tra le parti per una diversa decorrenza.
Qualora queste variazioni siano di entità tale da modificare sensibilmente il contenuto economico del rapporto (intendendosi per variazione sensibile le riduzioni superiori al venti per cento del valore delle provvigioni di competenza dell’agente nell’anno civile precedente la variazione, ovvero nei dodici mesi antecedenti la variazione, qualora l’anno precedente non sia stato lavorato per intero), il preavviso scritto non potrà essere inferiore a quello previsto per la risoluzione del rapporto.
Qualora l’agente o rappresentante comunichi, entro trenta giorni, di non accettare le variazioni che modifichino sensibilmente il contenuto economico del rapporto, la comunicazione del preponente costituirà preavviso per la cessazione del rapporto di agenzia o rappresentanza, ad iniziativa della casa mandante“.
Dalla lettura di tale articolo, si evince, quindi, che al preponente è conferito un diritto potestativo, consistente nella possibilità di diminuire la clientela del proprio agente. In tal caso, qualora l’agente comunichi di non accettare le diminuzioni impostegli da preponente, si determina una giusta causa di recesso, che consente al preponente di recedere dal rapporto contrattuale senza dovere corrispondere all’agente l’indennità di fine rapporto ex art. 1751 c.c..
Tuttavia, tale diritto potestativo, soggiace, secondo un costante indirizzo giurisprudenziale, anch’esso ai principi generali del nostro ordinamento, di correttezza e buona fede, nello svolgimento del rapporto contrattuale, disciplinati appunto agli artt. 1175, 1375 c.c. e 1749 c.c. (cfr. Cass. n. 9924/09).
Inoltre, la stessa Corte, ha richiamato un proprio orientamento (cfr. Cass. 5467/2000), secondo il quale, in generale, nel contratto di agenzia, l’attribuzione al preponente del potere di modificare alcune clausole (in particolare quelle relative all’ambito territoriale e alla misura delle provvigioni), dovrebbe “essere giustificata dalla necessità di meglio adeguare il rapporto alle esigenze delle parti, così come si sono modificate durante il corso del tempo”.
L’utilizzo di poteri potestativi, pertanto, non deve comunque tradursi in un sostanziale aggiramento delle obbligazioni contrattuali e, pertanto, deve essere comunque limitato e sottoposto ai principi di correttezza e buona fede.
La Corte ha concluso, affermando che nel caso di specie, il preponente ha essenzialmente utilizzato e mascherato un proprio diritto potestativo, quello appunto di ridurre, la clientela del proprio agente, per mettere quest’ultimo in una situazione di fatto impossibile da accettare e, quindi, con il fine e la funzionalità di fare cessare il rapporto contrattuale, senza che nascesse l’obbligo di pagare l’onere di pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso.
Si ricorda da ultimo che la Corte ha fatto riferimento già numerose volte al principio di agire secondo buona fede ex art. 1375 c.c. In altre occasioni ha ad esempio considerato contrario a tale principio il comportamento del preponente che aveva operato un cambiamento radicale nella politica dei prezzi, da rendere di fatto impossibile per l’agente operare (cfr. Cass. Civ. 1995 n. 1142), il rifiuto incondizionato e sistematico di fare corso aglio ordini trasmetti dall’agente (Cass. Civ. 1985 n. 6475), sostituire l’agente nel corso del preavviso, informando contemporaneamente la clientela (Cass. Civ. 1991 n. 1032).[:en]Con sentenza del 2 luglio 2015, n. 13580, la Corte di Cassazione si è espressa su un punto molto spesso oggetto di controversie nei rapporti contrattuali tra agente e proponente. Il caso è stato il seguente: un preponente, al quale era stato attribuito il potere di modificare, nel corso del rapporto contrattuale, il portafoglio clienti del proprio agente, ha utilizzato tale clausola, per effettuare una drastica riduzione del portafoglio clienti dell’agente stesso, pari, appunto, al 88%.
La Corte, che è stata interrogata sulla legittimità di tale comportamento, ha rilevato che, seppure al preponente venga genericamente attribuito il potere di ridurre il pacchetto clienti del proprio agente, tale facoltà dovrebbe, comunque, essere esercitata principalmente con lo scopo di adeguare il contratto all’effettiva evoluzione che il rapporto ha nel corso del tempo. Inoltre, sempre secondo la Cassazione, tale potere deve comunque essere sottoposto a dei limiti ed essere esercitato dal titolare con correttezza e buona fede.
Il ricorso è stato fondato essenzialmente sulla denuncia di violazione e/o falsa applicazione, da parte del preponente, dell’art. 2 A.E.C. 2002 (accordi economici collettivi) e dell’art. 2697 c.c. I commi 3,4 e 5 (che qui interessano) dell’art. 2 A.E.C. 2002 così recitano:
“Le variazioni di zona (territorio, clientela, prodotti) e della misura delle provvigioni, esclusi i casi di lieve entità (intendendosi per lieve entità le riduzioni, che incidano fino al cinque per cento del valore delle provvigioni di competenza dell’agente o rappresentante nell’anno civile precedente la variazione, ovvero nei dodici mesi antecedenti la variazione, qualora l’anno precedente non sia stato lavorato per intero), possono essere realizzate previa comunicazione scritta all’agente o al rappresentante da darsi almeno due mesi prima (ovvero quattro mesi prima per gli agenti e rappresentanti impegnati ad esercitare la propria attività esclusivamente per una sola ditta), salvo accordo scritto tra le parti per una diversa decorrenza.
Qualora queste variazioni siano di entità tale da modificare sensibilmente il contenuto economico del rapporto (intendendosi per variazione sensibile le riduzioni superiori al venti per cento del valore delle provvigioni di competenza dell’agente nell’anno civile precedente la variazione, ovvero nei dodici mesi antecedenti la variazione, qualora l’anno precedente non sia stato lavorato per intero), il preavviso scritto non potrà essere inferiore a quello previsto per la risoluzione del rapporto.
Qualora l’agente o rappresentante comunichi, entro trenta giorni, di non accettare le variazioni che modifichino sensibilmente il contenuto economico del rapporto, la comunicazione del preponente costituirà preavviso per la cessazione del rapporto di agenzia o rappresentanza, ad iniziativa della casa mandante“.
Dalla lettura di tale articolo, si evince, quindi, che al preponente è conferito un diritto potestativo, consistente nella possibilità di diminuire la clientela del proprio agente. In tal caso, qualora l’agente comunichi di non accettare le diminuzioni impostegli da preponente, si determina una giusta causa di recesso, che consente al preponente di recedere dal rapporto contrattuale senza dovere corrispondere all’agente l’indennità di fine rapporto ex art. 1751 c.c..
Tuttavia, tale diritto potestativo, soggiace, secondo un costante indirizzo giurisprudenziale, anch’esso ai principi generali del nostro ordinamento, di correttezza e buona fede, nello svolgimento del rapporto contrattuale, disciplinati appunto agli artt. 1175, 1375 c.c. e 1749 c.c. (cfr. Cass. n. 9924/09).
Inoltre, la stessa Corte, ha richiamato un proprio orientamento (cfr. Cass. 5467/2000), secondo il quale, in generale, nel contratto di agenzia, l’attribuzione al preponente del potere di modificare alcune clausole (in particolare quelle relative all’ambito territoriale e alla misura delle provvigioni), dovrebbe “essere giustificata dalla necessità di meglio adeguare il rapporto alle esigenze delle parti, così come si sono modificate durante il corso del tempo”.
L’utilizzo di poteri potestativi, pertanto, non deve comunque tradursi in un sostanziale aggiramento delle obbligazioni contrattuali e, pertanto, deve essere comunque limitato e sottoposto ai principi di correttezza e buona fede.
La Corte ha concluso, affermando che nel caso di specie, il preponente ha essenzialmente utilizzato e mascherato un proprio diritto potestativo, quello appunto di ridurre, la clientela del proprio agente, per mettere quest’ultimo in una situazione di fatto impossibile da accettare e, quindi, con il fine e la funzionalità di fare cessare il rapporto contrattuale, senza che nascesse l’obbligo di pagare l’onere di pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso.
Si ricorda da ultimo che la Corte ha fatto riferimento già numerose volte al principio di agire secondo buona fede ex art. 1375 c.c. In altre occasioni ha ad esempio considerato contrario a tale principio il comportamento del preponente che aveva operato un cambiamento radicale nella politica dei prezzi, da rendere di fatto impossibile per l’agente operare (cfr. Cass. Civ. 1995 n. 1142), il rifiuto incondizionato e sistematico di fare corso aglio ordini trasmetti dall’agente (Cass. Civ. 1985 n. 6475), sostituire l’agente nel corso del preavviso, informando contemporaneamente la clientela (Cass. Civ. 1991 n. 1032).[:]