[:it]Il nome a dominio è costituito da un Top Level Domain (TLD) e da un Secondo Level Domain (SLD). IL TLD può essere essenzialmente di due tipi, generico (gTLD) (quando è atto a distinguere, in linea di massima, il settore di operatività – a titolo esemplificativo, .com per le attività commerciali e .org per le organizzazioni no profit) o geografico – country code Top Level Domain (ccTLD) (quando è atto a segnalare la localizzazione «virtuale» dell’elaboratore).
Si consideri, che non vi è nessuna garanzia che, in concreto, ad un dominio geografico, per esempio .it per l’Italia, .fr. per la Francia e così via, corrisponda effettivamente un elaboratore situato nel territorio evocato dal ccTLD.
L’assegnazione del nome a dominio viene svolta da organismi che hanno il compito di stabilire le procedure di iscrizione dei domini e di assegnare questi ai soggetti richiedenti contraddistinti dal Country code “.it”. Ogni stato ha i propri organi addetti a tali funzioni e ogni singolo paese opera in maniera indipendente essendo i diversi stati contraddistinti dai propri Country code (.de, .fr, .nl, .be). Sarà pertanto possibile che lo stesso domain name venga usato da soggetti distinti in diversi Stati e che gli indirizzi si diversifichino solamente per il Country Code (p.e. “www.esempio.it” e www.esempio.de”). Sulla base di quanto sovresposto, essendo internet una piattaforma mondiale, regolata da organi Statali indipendenti, è evidente che i rischi e le occasioni di confusione tra nomi a dominio utilizzati da titolari di marchi operanti in diversi parti del globo, saranno sempre più numerosi e frequenti.
Ci si chiede pertanto se il titolare di un marchio registrato in Italia possa agire al fine di impedire ad un terzo l’utilizzo di un nome a dominio contenente il marchio della propria impresa, qualora questo sia caratterizzato da un TLD differente (es. www.abcd.it ed www.abcd.fr).
Anche in tal caso bisogna fare una distinzione tra marchi rinomati e marchi non rinomati
a) casi di marchio rinomato
Secondo dottrina e giurisprudenza nel caso di marchio di alta rinomanza, il problema del TLD non sembra neppure porsi, poiché la contraffazione del segno è anche in questo caso in re ipsa legata alla registrazione del nome a dominio, indipendentemente dal TLD che esso abbia e anche in assenza di un uso effettivo.[1]
b) casi di marchio non rinomato
Nei casi di marchio per così dire sic et simpliciter, non pare sostenibile affermare che il titolare di un marchio registrato, non noto né tantomeno notorio, possa opporsi alla registrazione di un nome a dominio uguale o simile, ma con TLD differente (es. .it e .de).
Infatti, poiché la legge sui marchi trova applicazione solo in ambito nazionale, il titolare del marchio registrato in Italia non è titolare di un diritto all’uso esclusivo del marchio fuori del territorio nazionale e non può pertanto impedire ad un terzo di registrare all’estero un nome a dominio uguale o simile al suddetto marchio, ma con il TLD differente.
Ad ogni modo si deve ritenere che qualora il terzo registri il domain name all’estero al fine di indirizzare gli utenti verso il proprio sito nel quale di fatto pubblicizza o vende determinati beni o servizi concorrenziali, in tal caso risulta irrilevante il territorio nel quale il segno cotraffattivo viene immesso in rete (es. formaggitaliani.it e formaggitaliani.com).
Atteso, infatti, il carattere globale del sistema di comunicazione Internet ciascun utente, anche italiano potrà collegarsi al sito corrispondente al domain name in ipotesi confondibile con il marchio registrato.[2]
Si può quindi ritenere che “il titolare del marchio registrato in Italia non è titolare di un diritto all’uso esclusivo del marchio fuori del territorio nazionale, e non può impedire ad un terzo di registrare all’estero un nome di dominio uguale o simile al suddetto marchio all’interno di un TLD geografico o tematico [differente], salvo che dall’uso che ne viene fatto per offrire in vendita o pubblicizzare beni o servizi, si determini una violazione del diritto”.[3]
Per concludere, quindi, si ritiene che il titolare di un Marchio italiano non può impedire ad un terzo l’utilizzo di un domain name confondibile con il suddetto marchio se riporta un TLD differente, almeno che tale registrazione abbia violato il diritto del titolare all’utilizzo del marchio, poiché atta ad indirizzare gli utenti ad un sito web nel quale vengono offerti o pubblicizzati beni o servizi identici, simili o affini.
Sulla base di quanto esposto, si ritiene comunque necessario, data la complessità e la specificità della disciplina, che tale parere venga utilizzato quale linea guida e che le singole fattispecie vengano analizzate in maniera specifica.
- il TLD può essere essenzialmente di due tipi, generico (gTLD) (quando è atto a distinguere, il settore di operatività (.com), le attività commerciali (.org) o geografico (country code Top Level Domain ccTLD) quando è atto a segnalare la localizzazione «virtuale» dell’elaboratore (.it, .de)
- ci si chiede pertanto se il titolare di un marchio registrato in Italia possa agire al fine di impedire ad un terzo l’utilizzo di un nome a dominio contenente il marchio della propria impresa, qualora questo sia caratterizzato da un TLD differente (es. www.abcd.it ed www.abcd.fr)
- nei casi di marchio rinomato il problema del TLD non sembra neppure porsi, poiché la contraffazione del segno è anche in questo caso in re ipsa legata alla registrazione del nome a dominio, indipendentemente dal TLD che esso abbia e anche in assenza di un uso effettivo
- nei casi di marchio non rinomato si può quindi ritenere che “il titolare del marchio registrato in Italia non è titolare di un diritto all’uso esclusivo del marchio fuori del territorio nazionale, e non può impedire ad un terzo di registrare all’estero un nome di dominio uguale o simile al suddetto marchio all’interno di un TLD geografico o tematico [differente], salvo che dall’uso che ne viene fatto per offrire in vendita o pubblicizzare beni o servizi, si determini una violazione del diritto”
[1] Tribunale di Reggio Emilia 30.5.2000 (ordinanza); Peyron, Giur. it. 2001, 96.
[2] Tribunale di Reggio Emilia 30.5.2000 (ordinanza)
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