Flash of genius

La tutela del software. Brevettabilita' o copyright?

[:it]Come è tutelato il software? È brevettabile? Cosa si intende per tutela tramite copy-right?

A queste domande ha dato risposta la Corte di Giustizia, in una sentenza storica del 2.5.2012 (causa C-406/10), con la quale ha interpretato la direttiva 91/250/CEE.

Nello specifico la Corte ha esposto che:

  • il linguaggio di programmazione e il formato di file di dati utilizzati nell’ambito di tale programma non sono tutelati dal diritto d’autore sui programmi;
  • colui che ha in licenza una copia di un software può, senza l’autorizzazione del titolare del diritto d’autore, osservare, studiare o sperimentare il funzionamento di detto programma.

Alla base di questa decisione, sussiste una politica adottata dall’Italia e l’Europa già da diversi anni, che hanno scelto la strada della tutela dei software mediante il diritto d’autore, dovendosi considerare brevettabili solamente i software che producono un effetto tecnico.

Tanto da intendere brevemente la differenza tra i due approcci, basti pensare che:

  • il diritto d'autore è riconosciuto automaticamente all'autore ex art. 2575 c.c.;
  • l'attribuzione di un brevetto (art. 2585 c.c.) deve essere invece richiesta esplicitamente ad un ufficio brevetti, effettuando preventivamente una ricerca per verificate l'originalità della propria creazione.

Il legislatore europeo e quello italiano hanno optato per la scelta della tutela a mezzo copyright dei software, al fine di contemperare i contrapposti interessi in gioco: da un lato il progresso tecnologico e, dall’altro, i produttori di software.

In questo modo, infatti, è stato concesso all’autore la possibilità di sfruttamento economico della creazione intellettuale e, al tempo stesso, è permesso a tutti di fruire del progresso raggiunto (posta la non brevettabilità del prodotto) evitando che si creino stabili posizioni di monopolio culturale e tecnologico.

 

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Il postino

L’utilizzo della PEC in ambito di esecuzione presso terzi

[:it]Dal primo gennaio obbligo per il creditore procedente di indicare l’indirizzo di posta certificata nell’atto di pignoramento.

A partire dal 1° gennaio 2013, si applicano a pignoramenti verso terzi le modifiche al codice di procedura civile intro.otte dall’art. 1, comma 20, della legge 24 dicembre 2012 n. 228 in G.U. del 29 dicembre 2012 n. 302.

Nello specifico, la riforma prevede che il creditore procedente deve indicare l’indirizzo di posta certificata, (alias PEC), nell’atto di pignoramento (art. 543 c.p.c.) e, inoltre, l’indicazione che il terzo creditore può svolgere la dichiarazione di cui all’art. 547 c.p.c. anche a mezzo PEC.

Si ricorda, brevemente, che già con le modifiche adottate dalla legge 52/2006, era consentito al terzo, nei casi di crediti non di lavoro, di rendere la dichiarazione anche a mezzo raccomandata postale. Con la riforma, dunque, il terzo può decidere di rendere detta dichiarazione via mail certificata evitando aggravi di costi e complicanze.

È forse il caso di sottolineare che il terzo pignorato, chiamato a dichiarare, se si trova in possesso di cose del debitore esecutato o se sia nei confronti di quest’ultimo a sua volta debitore di somme di denaro, non assume la qualità di parte nell’ambito del processo esecutivo, mentre, in caso di dichiarazione mancata, negativa o contestata, diviene parte convenuta nell’eventuale giudizio da instaurare per accertare il suo obbligo verso il debitore. Il legislatore ha, inoltre, modificato gli artt. 548 e 549 c.p.c. Si legge nel nuovo testo dell’art. 548 c.p.c. che, nel caso di crediti di lavoro (545 comma 3 e 4 c.p.c.), la mancata dichiarazione del terzo o la sua mancata comparizione all’udienza stabilita dal creditore equivale a non contestazione del credito. Invero, per i crediti diversi da quelli di lavoro, il nuovo 548 c.p.c. comma 2 prevede che, qualora il creditore dichiari di non avere non aver ricevuto alcuna dichiarazione del terzo e, inoltre, il terzo non compare all’udienza fissata dal creditore, il Giudice fissa con ordinanza, da notificare al terzo, una nuova udienza; se neppure a questa seconda udienza il terzo non compare, il credito si considera non contestato. Da ultimo, il nuovo 549 c.p.c. prevede, che, se sulla dichiarazione del terzo sorgono contestazioni, queste sono risolte dal Giudice con ordinanza basata sugli opportuni accertamenti. L’ordinanza è, in caso, contestabile ex art. 617 c.p.c.

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L'ultimo contratto

La competenza per i contratti stipulati su internet dal consumatore.

[:it]Cosa succede se si conclude un contratto su internet, attraverso un sito straniero e, a seguito della conclusione si rilevando  delle problematiche relative al contratto stipulato?

A quale Giudice devo rivolgermi? Chi ha la competenza. Leggere di più


Strartup.com

Le start-up innovative. Iscrizione entro il 17 febbraio 2013.

[:it]Ormai è ufficiale che dal dal 19.10.2012 con la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale del decreto sviluppo bis, la sussistenza di incentivi alle start-up innovative, così come inseriti nel  altrimenti noto come decreto crescita.

Si elencano brevemente i requisiti necessari per l’iscrizione, come elencati nel sito del registro imprese:

  • società di capitali di diritto italiano le cui azioni o quote rappresentative del capitale sociale non sono quotate e in cui la maggioranza delle quote o azioni sono detenute da persone fisiche;
  • non siano operative da più di 48 mesi;
  • svolgano attività di impresa in italia;
  • la produzione annua non oltrepassi i 5 milioni di euro;
  • non vengano distribuiti gli utili;
  • abbia ad oggetto l’innovazione tecnologica di prodotti e servizi innovativi ad alto valore tecnologico;
  • non sia stata costituita da una fusione/scissione societaria o a seguito di cessione di un ramo d’azienda;
  • investa nello sviluppo almeno il 20% del maggior valore fra costo e valore totale della produzione, oppure impieghi come dipendenti o collaboratori dottori o dottorandi di ricerca, oppure si titolare o depositaria di brevetti per industria e biotecnologie;

Circa le agevolazioni la legge 17 dicembre 2012 n.221 ha stabilito per, con l’intento di facilitarne l’iscrizione, una serie di esenzioni mirati a costituire e a iscrivere l’impresa nel registro delle imprese, agevolazioni fiscali, nonché deroghe al diritto societario e una disciplina specifica nei rapporti di lavoro nell’impresa.

Si ricordano:

  • che la start-up è sollevata dal pagamento dell’imposta di bollo e dei diritti di segreteria dovuti per l’iscrizione nel registro delle imprese nonché dal pagamento del diritto annuale dovuto alle camere di commercio;
  • ha la facoltà di assumere personale con contratti a tempo determinato della durata minima di 6 mesi e massima di 36, in questo lasso di tempo, i contratti potranno essere anche di breve durata e rinnovati varie volte. Allo scoccare dei 36 mesi, il contratto non potrà subire ulteriori rinnovi, se non l’ultimo di 12 mesi per portare così l’ammontare del contratto a 48 mesi. Trascorso questo periodo, il collaboratore potrà continuare a lavorare in start up solo con un contratto a tempo indeterminato;
  • collaboratori della start up possono essere retribuiti a mezzo di stock option, e i fornitori di servizi esterni attraverso il work for equity
  • può beneficiare di un accesso prioritario alle agevolazioni per le assunzioni di personale altamente qualificato;
  • sono stati poi attivati incentivi fiscali per investimenti in start up derivanti da aziende e privati per gli anni 2013, 2014 e 2015;
  • da parte dell’Agenzia Ice ha disposto l’assistenza in ambito normativo, societario, fiscale, immobiliare, contrattualistico e creditizio, l’ospitalità a titolo gratuito alle principali fiere e manifestazioni internazionali, e l’attività destinata ad agevolare l’incontro delle start up innovative con investitori potenziali per le frasi di early stage capital e di capitale di espansione.

 

 

 
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Il distacco

Il distacco dalla rete. Un detachment quantificabile?

[:it]Se un cittadino rimane senza connessione, può richiedere il risarcimento del danno alla compagnia telefonica?

A questa domanda ha dato risposta il Giudice di Pace di Trieste con una recente sentenza (GdP Trieste 30/7/2012 n. 587).

La vicenda ha visto protagonista una famiglia rimasta senza collegamento ADSL per 4 mesi, la quale si è rivolta a Giudice di Pace al fine di richiedere il ristoro dei danni patiti. Il Giudice si è pronunciato sul punto affermando che “ormai da tempo la giurisprudenza è orientata nel ritenere che il distacco o il mancato allaccio della linea telefonica e internet costituiscano un danno patrimoniale e esistenziale per il titolare del contratto e della sua famiglia, danno considerato particolarmente grave in un'epoca in cui la comunicazione è fondamentale in ogni aspetto della vita quotidiani.

Sulla base di questo ragionamento il Giudice ha, pertanto, liquidato il danno patrimoniale derivante dal mancato adempimento (avere lasciato la famiglia sconnessa per 4 mesi) esprimendosi sul punto:  “tale inadempimento, pur non essendo precisamente quantificabile economicamente, sussistendo i presupposti di cui all, può essere valutato equitativamente in € 1.600,00.”

Il Giudice continua nella motivazione, riconoscendo anche il danno da “digital divide, ossia un danno di natura esistenziale caratterizzato dall’esclusione del cittadino dalla rete. Il mancato accesso ai servizi di connettività genera, compromette la sfera relazionale, le attività realizzatrici e diverse abitudini di vita.

Sul punto il Giudice: “alquanto difficoltoso lo svolgimento delle quotidiane attività, difficoltà costituenti presupposto per concedere alla parte attrice il risarcimento del danno esistenziale subito a causa dell'inadempimento del gestore telefonico ....La valutazione del danno in mancanza di criteri oggettivi deve essere determinata equitativamente in € 800,00"

 

 

 

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Il fantasma dell'opera

L'opera digitale. Un horror per il nostro ordinamento?

[:it]Sempre più spesso si parla di “opera digitale”, il cui significato sembrerebbe essere inteso sempre più dagli utenti, senza che vi sia, invero, un reale ed effettivo riscontro da parte del legislatore.

Come è noto, infatti, l'opera digitale è intesa come una opera dell’ingegno che è caratterizzata dal fatto di contenere un cosiddetto “corpus mysthicum(quale appunto l’originalità, la creatività, le
caratteristiche di innovatività; connotazioni quindi intangibili) e di non avere un “corpus mechanicum” (si pensi ad esempio allo spartito musicale o il tradizionale foglio di carte su cui è scritta un’opera).

È importante, sul punto, ricordare che l’opera digitale, proprio per la sua connotazione del tutto immateriale, non deve essere confusa con il CD/DVD contenente files multimediali. Bensì l’opera si identifica proprio nei files in esso racchiusi, quindi in un insieme di impulsi elettrici espressi in codice binario.

Importante, sul punto, differenziare le opere digitali in senso stretto, dalle opere “digitalizzate”, (appunto il semplice DVD o CD, al cui interno vengono impressi e salvati dei file digitali). In questi casi, infatti, il formato fisico incide fortemente sulla distribuzione e le opere musicali, editoriali ed audiovisive, già pienamente tutelate, vengono trasportate in formato digitale per ragioni distributive.

Classico esempio, dunque, di opera digitale è la fotografia e/o il video digitale, non essendo questa necessariamente associata ad una riproduzione cartacea.

Va da sé che i problemi collegati ai rapporti tra il diritto d’autore e le opere digitali sono evidentemente enormi. Posta la facilità con cui un soggetto possa “impossessarsi” ed utilizzare un’opera digitale di un terzo attraverso l’utilizzo del web.

Il nostro ordinamento, ciò nonostante , in ambito di diritto d’autore non ha ancora dato una definizione del termine di “opera digitale” e non ha avuto ancora modo di regolamentare tale disciplina, nonostante le necessità siano già da anni necessarie.

 

 

 

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Intrigo internazionale

La giurisdizione su internet? La Corte di Giustizia da risposta a questo "intrigo internazionale".

[:it]Pubblicata in data 25.10.2012 una importantissima sentenza della Corte di Giustizia che ha avuto modo di risolvere una questione ormai aperta da diversi anni. È stato, infatti, richiesto all’organo giurisdizionale europeo, di decidere in merito alla possibilità di un cittadino dell’UE, di potere ricorrere presso i giudici dello Stato in cui questi ha il proprio centro d’interessi, al fine di richiedere il risarcimento del danno causato dalla violazione dei propri diritti alla persona, per mezzo di contenuti messi da un terzo sul web, tramite un sito internet.

La Corte, era stata chiamata a decidere su due questioni molto simili:

- il primo caso aveva visto un cittadino tedesco, che era stato precedentemente condannato per omicidio e poi, in seguito, era stato ammesso alla libertà condizionata, ha richiesto al Tribunale tedesco il risarcimento del danno per dei contenuti messi in rete da una società austriaca, che ledevano i suoi diritti alla persona;

- nel secondo, parimenti, un cittadino francese chiedeva la condanna al pagamento di una somma di denaro nei confronti di una testata giornalistica on-line inglese, che aveva pubblicato informazioni non veritiere sul suo conto.

La Corte di Giustizia, chiamata a decidere su queste controversie ha affermato che sussiste la possibilità alternativa di agire:

1. presso i Giudici dello Stato membro, ove il soggetto che ha pubblicato i contenuti lesivi è stabilito;

2. nel luogo in cui il soggetto leso trova il proprio centro di interessi;

3. dinanzi ai giudici di ogni Stato membro sul cui territorio un’informazione messa in rete sia accessibile oppure lo sia stata.

La sentenza argomentava la propria decisione sulla base dell’art. 5, punto 3, del regolamento (CE) 44/2001, regolante, tra le altre cose, la competenza giurisdizionale in ambito europeo.

Tale norma, infatti, recita che “la persona domiciliata nel territorio di uno Stato membro può essere convenuta in un altro Stato membro in materia di illeciti civili dolosi o colposi, davanti al giudice del luogo in cui l'evento dannoso è avvenuto o può avvenire.”

Molto interessante questa sentenza e sicuramente non di poco spessore, che va a dare certezza in una altra situazione di violazione di diritti alla persona in ambito meta-territoriale, ossia attraverso l’utilizzo della piattaforma web.

 

 

 

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La compravendita del domain name

Intervento al convegno sulla vendita internazionale di beni mobili.

[:it]Il 15.11. ho avuto il piacere di presentare brevemente, in occasione del convegno sulla vendita internazionale dei beni mobili, presso l'aula magna dell'Università di Verona, un tema già da me trattato nei seguenti articoli: la compravendità del domain name e tld (in ambito internazionale).

Se è di vostro interesse ecco qui le slides del convegno.[:]


Un americano a Roma

Ma il .eu, lo potrebbe utilizzare anche un americano a Roma...?

[:it]In data 12 luglio 2012 la Corte di Giustizia europea ha emanato una sentenza molto interessante in ambito di diritto dell’internet e e-commerce. Nello specifico ha stabilito che i domini di primo livello (Tld – top level domain) “.eu” sono riservati solamente alle imprese che hanno “la propria sede legale nel territorio dell’Ue”.
In particolare ai sensi della normativa EU (art. 12 del regolamento n. 874 del 2004)  può essere richiesta la registrazione del Tld “.eu” solamente dei “nomi di dominio [..] dei marchi nazionali registrati, dei marchi comunitari registrati, [..] e dai titolari o licenziatari di diritti preesistenti.

La Corte di Giustizia, nell’interpretare la succitata norma ha considerato che per “licenziatari di diritti preesistenti” non possono intendersi società o persone dell’unione europea che si limitano, su richiesta di un titolare di un marchio con sede in un paese terzo, alla registrazione dello marchio medesimo senza che ne sia a loro consentito un uso commerciale.

Il caso di specie, per rendere più chiara la questione, ha visto protagonista una società americana, (la Wlash Optical), che opera nella vendita online di lenti a contatto e di altri articoli di occhialeria. La stessa gestisce dal 1998 il sito www.lensworld.com e si è resa titolare del marchio Benelux Lensworld, registrando lo stesso in data 26 ottobre 2005. Nel novembre 2005 la stessa decide di stipulare un contratto di licenza con la Bureau Gevers, società belga che svolge attività di consulenza in materia di proprietà intellettuale, affinché quest’ultima registri a suo nome, ma per conto della stessa Walsh Optical, il dominio “lensworld.eu” presso l’UERid.

A seguito di un anno, anche la Pie Optiek, società belga concorrente della ditta americana, chiede la registrazione del sito “www. lensworld.eu.” Detta richiesta viene ad ogni modo respinta.

La Pie Optiek, pertanto, promuove un azione legale nei confronti della società americana, ritenendo che, in quanto avente sede in un paese terzo, non avesse diritto ad utilizzare il dominio .eu. Il tribunale di prima istanza respinge il ricorso. Avverso la sentenza propone appello la Pie Optiek. La Corte di Appello di Bruxelles rimette la causa alla Corte di Giustizia richiedendo l’interpretazione dell’articolo 12, paragrafo 2, del Regolamento n. 874 del 2004. La  Corte, quindi, afferma che non si può intendere licenziatario di diritti preesistenti” una persona semplicemente autorizzata dal titolare del marchio, con sede in un paese terzo, a registrare a proprio nome, ma per conto del concedente, un nome a dominio identico o simile al marchio stesso, senza che tuttavia le sia consentito un uso commerciale del medesimo.

La Corte rileva sul punto come il dominio di primo livello .eu è stato creato allo scopo di accrescere la visibilità del mercato interno nell’ambito degli scambi commerciali virtuale basato su Internet, offrendo un nesso chiaramente identificabile con l’Unione Europea, con il quadro normativo associato e con il mercato europeo, nonché consentendo alle imprese, alle organizzazioni e alle persone fisiche dell’Unione di registrarsi in un dominio che renda evidente tale nesso.

Per tale motivo debbano essere registrati i nomi di dominio esclusivamente richiesti da qualsiasi soggetto che soddisfi i criteri di presenza sul territorio dell’Unione Europea. Più precisamente, da parte di imprese che abbiano la propria sede legale, amministrazione centrale o sede di affari principale nel territorio dell’Unione, da qualsiasi organizzazione stabilita nel territorio della medesima nonché da qualsiasi persona fisica residente nel territorio dell’Unione Europea.

 

 

 

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Le barzellette

C'e' un francese, uno spagnolo, un italiano e YouTube.

[:it]YouTube può ritrasmettere sulla propria piattaforma spezzoni di un canale televisivo? E se sì, che ruolo ricopre da un punto di vista civilistico? A questi quesiti sicuramente di grande rilevanza e di grande importanza ha dato risposta il Tribunal de grande instance di Parigi.

I giudici francesi si sono visti a decidere su una vertenza promossa dalla società televisiva TF1, che chiedeva a YouTube un risarcimento danni pari ad 150 milioni di euro per violazione del codice della proprietà intellettuale. In particolare dell’art. 216-1 che subordina la diffusione e la ritrasmissione di un’opera dell’ingegno all’autorizzazione del titolare dei diritti e dell’art. 1382 del Code civil (corrispondente al nostro art. 2043 c.c. disciplinante la responsabilità extracontrattuale).

I giudici d’oltralpe hanno deliberato il rigetto di tutte le istanze formulate da TF1, condannando la stessa al pagamento delle spese legali pari ad € 80.000.

La sentenza risulta interessante in quanto statuisce che “il modello economico sviluppato dalla società YouTube nella sua qualità di fornitore di hosting non è né vietato, né illecito e nessuno sviamento di clientela” può esserle imputato. Secondo il giudici francesi, infatti YouTube e televisione configurano due differenti tipologie di business.

Viene, inoltre, fatta chiarezza sulla figura di YouTube, la quale rimarrebbe mero hosting non essendo in alcun modo assimilabile la sua attività a quella di tipo editoriale.

Gli attori sul punto avevano osservato che YouTube compie attività che vanno oltre a quelle tipiche dell’hosting. Ad esempio, Youtube attua una verifica preventiva volta a bloccare e censurare alcuni contenuti che YouTube “ritiene contrari alla propria linea editoriale”; inoltre Google acquisisce in automatico i diritti d’autore necessari allo sfruttamento dei contenuti postati dagli utenti. Malgrado dette osservazioni la Corte ha affermato che tali circostanze, non sarebbero idonee e sufficienti a qualificare il colosso del web quale “editore”.

Da ultimo la sentenza ripercorre quanto già affermato dalla giurisprudenza Spagnola dello Juzgado de lo Mercantil di Madrid, 20 settembre 2010, che declinava ogni responsabilità in capo a Youtube per i contenuti pubblicati dagli utenti (si veda sul punto anche "Il contratto di hosting e i profili di responsabilita’ dell’hosting provider e  Responsabilita’ del motore di ricerca nel caso di “caching” (if you can)).

Sul punto aggiunte anche che l’utilizzo della pubblicità su alcuni dei video pubblicati non sarebbe di per sé sufficiente a comportare la perdita di status di intermediario.

Gli operatori di internet quindi sono semplici intermediari e, in quanto tali, non possono essere considerati responsabili dei contenuti veicolati da terzi, né, tanto meno, essere equiparati a degli editori.
In definitiva, si avverte che la giurisprudenza europea si stia avviando finalmente verso una difficile inquadratura nell’individuazione dei doveri e delle responsabilità dei motori di ricerca e degli hosting.

 

 

 

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