Per un pungo di dollari

Per un pungo di dollari. La nuova societa' ad 1 euro.

[:it]Parlando pochi giorni fa con dei giovani imprenditori, operanti nel settore delle start-up, ci si domandava quali fossero gli effettivi vantaggi che potrebbe apportare l’introduzione all’interno del nostro sistema giuridico la nuova società ad 1 Euro (SRLS – Società a Responsabilità Limitata Semplificata), introdotta in data 29.8.2012 dal Dm 138/2012.

Per avere un’idea più chiara delle caratteristiche apportate dal nuovo art. 2463-bis del Codice civile, si ricorda che:

  • la società può essere costituita da persone fisiche che non abbiano compiuto i trentacinque anni di età alla data della costituzione;
  • l'atto costitutivo deve essere redatto per atto pubblico in conformità al modello standard tipizzato;
  • il capitale sociale deve essere compreso tra 1 e 10.000 €, sottoscritto e interamente versato alla data della costituzione;
  • il conferimento deve farsi in denaro ed essere versato all'organo amministrativo;
  • gli amministratori devono essere scelti tra i soci;
  • l'atto costitutivo e l'iscrizione nel registro delle imprese sono esenti da diritto di bollo e di segreteria e non sono dovuti onorari notarili (si deve pertanto pagare l’imposta di registro di € 168 e la tassa annuale alla Camera di Commercio).

Leggendo il testo normativo e verificando anche i commenti dei vari blogs, riviste giuridiche e quotidiani, si può riscontrare che tale forma apporta effettivamente degli sgravi di spesa (non sono infatti dovuti oneri notarili), ma che di fatto non va a risolvere quelle che sono le vere problematiche degli imprenditori under 35, ovvero:

  • regimi di tassazione agevolati;
  • strumenti per facilitare un accesso a finanziamenti bancari o sussidi statali;

È necessario ricordare che il problema del capitale sociale è infatti relativo, basti pensare che i 10mila euro di capitale richiesti per la costituzione una Srl normale, non rimangono in banca congelati, ma possono essere utilizzati dai soci. Infatti, una volta costituita, la somma viene di fatto riversata sul conto della società e può essere utilizzata per comprare macchinari, computer, pagare stipendi e fornitori, registrare marchi e così via. Inoltre, se ci sono almeno due soci è sufficiente versare 2.500 euro, somma che può essere a sua volta utilizzata per gli adempimenti appena citati.

A questo si aggiunge che i costi per potere iniziare a mettere in moto una società dovranno essere sempre sostenuti dai giovani imprenditori, che, per quanto snella e leggera possa essere l’azienda, avranno comunque la necessità di investire qualche migliaia di euro per poterla azionarla (computer, macchinari, fornitori, etc.).

Da ultimo, si rileva che l’atto costitutivo, dovendo essere redatto in conformità al modello standard tipizzato, non è, secondo una prima lettura della norma, soggetto ad alcuna variazione. Tale caratteristica, che sicuramente permette di evitare le spese notarili, è di fatto limite per nulla trascurabile. Basti pensare, infatti, che tale standardizzazione comporterebbe l’impossibilità di attivare da parte dei soci amministratori della società ad 1 €, tutte le opzioni che la legge consente nello statuto di una Srl. Tra queste si possono ricordare:

la facoltà di attribuire ai soci particolari diritti;

  • la possibilità di pattuire clausole inerenti il trasferimento delle quote di partecipazione al capitale (quali l'intrasferibilità, la prelazione, il gradimento, la clausola che dispone della quota in caso di morte del socio, la clausola di covendita eccetera);
  • la possibilità di convenire cause di recesso ulteriori rispetto a quelle previste per legge;
  • la possibilità di pattuire cause di esclusione dalla società;
  • la previsione, in caso di più di amministratori, di forme di amministrazione diverse dal Cda;
  • la possibilità di prevedere un termine per l'approvazione del bilancio maggiore di quello di legge;
  • la possibilità di prevedere forme di decisioni dei soci diverse dalla riunione assembleare;
  • la possibilità di attribuire ai soci la competenza a decidere su materie diverse da quelle attribuite ai soci dalla legge;
  • la possibilità di prevedere quorum assembleari diversi da quelli prescritti dalla legge.

Sicuramente interessante vedere come sarà utilizzato questo strumento dai nuovi imprenditori e verificare se tale mezzo sia un effettivo incentivo allo slancio della nuova imprenditoria.

 

 

[:]


seanconne641_bw

La trasferibilita' a terzi dei prodotti iTunes.

[:it]È sempre più frequente e risulta sempre più facile che l'utente della rete sia spinto ad acquistare via internet prodotti, quali brani musicali o film.

La facilità di acquisto, la possibilità di accedere da remoto al proprio account, la trasferibilità su lettori mp3 ovvero su smart-phones, fa sì che il consumatore sempre più preferisca utilizzare il supporto multimediale piuttosto che quello fisico.

Ci si domanda a questo punto se la differenza tra queste due modalità di “acquisto” si limiti semplicemente ad una scelta di prodotto, oppure se siano riscontrabili delle effettive conseguenze pratico-giuridiche.

Sul punto, di recente, è stata portata avanti dall’attore Hollywoodiano, Bruce Willis, una critica che sicuramente può essere un ottimo spunto per una breve riflessione giuridica. La libreria di iTunes può essere donata in eredità?

La Apple ha dichiarato, con grande sorpresa di molti utenti, che tali beni non sono trasferibili a terzi.

In realtà, a seguito di una attenta lettura dei termini e condizioni d’uso di iTunes, si riscontra che vengono definiti come prodotti iTunes, non tanto i singoli file, bensì le licenze (d’uso) per i contenuti digitali. La principale differenza, quindi, tra l’acquisto di un CD e di un album digitale è  che nel primo caso viene trasferita effettivamente la proprietà del bene fisico, invece, nel secondo si acquista semplicemente una licenza d’uso personale, quindi la licenza ad utilizzare per uso prettamente personale e non commerciale il file stesso.

Leggendo, inoltre, i termini e le condizioni d’uso di iTunes si può rilevare che il titolare di un account iTunes non ha alcun diritto di modificare, affittare, noleggiare, prestare, vendere, distribuire, o creare le licenze acquistate, (definita anche come clausola di non trasferibilità). Pertanto il titolare dell' account ha il diritto all'uso dei file a fini prettamente personale, senza alcuna possibilità di trasferirli a terzi e, quindi, di lasciarli in eredità.

Tale argomento, che si rivolgerà sempre ad una più ampia fetta di mercato, risulta pertanto essere del tutto non privo di interesse, considerato che l’acquisto on-line riguarda sempre più non semplicemente file musicali, bensì anche film ed e-books.

 

 

[:]


Meta-tag

L’uso illecito del “meta-tag”. Fattispecie di contraffazione di marchio e concorrenza sleale?

[:it]Per meta-tag si fa riferimento a quelle parole chiave, codificate solitamente nel linguaggio HTML, che seppur non  riportate su video, vengono comunque utilizzate dai motori di ricerca al fine di indicizzare i vari siti. Attraverso un meta-tag, dunque, il gestore di un sito può inserire le parole chiave riguardanti la propria pagina web (c.d. keyword meta-tag) al fine di renderlo attraverso l'utilizzo dei motori di ricerca.

Potenzialmente, quindi, una gestore di un sito potrebbe inserire come parola chiave il nome di un marchio molto famoso, al fine di fare apparire il proprio sito tra i primi risultati ogni volta che un utente compia una ricerca utilizzando il nome del marchio noto oppure, inserisca il marchio di un proprio concorrente al fine di apparire tra i risultati ogni volta che venga fatta una ricerca dal consumatore che indica come parole chiave il marchio della società concorrente. (Es. la società XYZ S.R.L. che opera nel settore del mobilificio utilizza come meta-tag il marchio della società concorrente 123 S.P.A.)

Ci si domanda in dottrina e giurisprudenza se tale comportamento possa di per se configurare un illecito, posto che il nome o il marchio altrui, non viene posto esternamente nel sito, ma rimane visibile solamente ai motorio di ricerca.

Gli illeciti configurabili sono potenzialmente due: concorrenza sleale e contraffazione di marchio.

1.    Concorrenza sleale

Quanto alla concorrenza sleale, si è pronunciato il Tribunale di Milano, nel ormai noto caso “Solatube”, affermando che: “l’uso da parte di una società concorrente di un “meta-tag” riproducente il marchio della società legittima titolare costituisce illecito concorrenziale imputabile sotto il profilo dell’art. 2598 n. 3 c.c., in quanto determinante il costante e indebito abbinamento nei risultati della ricerca sui vari motori di ricerca del web idoneo a determinare uno sviamento della clientela in violazione dei principi della correttezza commerciale.”[1]

2.    Contraffazione di marchio

La sentenza appena citata, che configura la sussistenza della violazione dell’art. 2598 n. 3 c.c., stabilisce che l’uso da parte di una società concorrente di un meta tag riproducente il macchio di un’altra società non costituisce contraffazione del marchio difettando in esso ogni funzione distintiva di servizi e prodotti proprie del marchio.

Contrariamente, secondo autorevole dottrina, qualora un soggetto utilizzi come meta-tag un marchio di un proprio concorrente, tale pratica  configurerebbe anche un ipotesi di violazione del diritto esclusivo di marchio ex artt. 12 e 22 CPI (Codice della Proprietà Industriale). Tale violazione si estenderebbe, infatti, ai prodotti e servizi non affini, qualora venga utilizzato come parola chiave un marchio noto.[2] A sostegno di detta tesi, parte della dottrina ritiene appunto ragionevole riconoscere anche al meta-tag funzione pubblicitaria in senso lato.[3]

3.  Pubblicità subliminale

Infine, parte della dottrina è portata a ritenere che l’utilizzo di tale pratica potrebbe addirittura essere considerata come una forma di pubblicità subliminale vitata dall’art. 5.3 d.lgs. 145/07, che prevede che la pubblicità debba essere chiaramente riconoscibile come tale.[4]

 

RISASSUMENDO

  • l’uso da parte di una società concorrente di un “meta-tag” riproducente il marchio della società legittima titolare costituisce illecito concorrenziale imputabile sotto il profilo dell’art. 2598 n. 3 c.c
  • secondo autorevole dottrina, l’utilizzo di un  come meta-tag un marchio di un proprio concorrente, tale pratica  configurerebbe anche un ipotesi di violazione del diritto esclusivo di marchio ex artt. 12 e 22 CPI
  • Infine, parte della dottrina è portata a ritenere che l’utilizzo di tale pratica potrebbe addirittura essere considerata come una forma di pubblicità subliminale vitata dall’art. 5.3 d.lgs. 145/07

[1] Tribunale Milano, 20/02/2009, Riv. dir. ind. 2009, 4-5, 375 (nota TOSI)

[2]Riv. dir. ind. 2009, 4-5, 375 (nota TOSI); E. TOSI, Diritto privato dell’informatica, DNT, 12, 490 ss.; CASSANO, Orientamento dei motori di ricerca, concorrenza sleale e meta-tag, in Riv. dir. Ind., Milano 2009, 56

[3] Si veda quanto affermato dal il TOSI, nella nota alla sentenza del Tribunale di Milano del 20.2.2009: “a sostengo di quanto sopra affermato, l’ampio disposto dell’art. 2 lett. A) del d.lgs. 2 agosto 2005, n. 147 [..] stabilisce che per pubblicità deve intendersi qualsiasi forma di messaggio che sia diffuso, in qualsiasi modo, nell’esercizio di un’attività d’impresa allo scopo di promuovere la vendita di beni, la prestazione di opere o di servizio.”

[4] BONOMO, il nome a dominio e la relativa tutela. Tipologia delle pratiche confusorie in internet, 247 ss.; PEYRON, i meta-tags di internet come nuovo mezzo di contraffazione del marchio e di pubblicità nascosta: un caso statunitense, in Giur. It., 1998, I, 739 ss.

 

 

[:]


matrix-leather-coat__32936_std

Diritto dell'internet II. Il marchio ed il TLD.

[:it]Il nome a dominio è costituito da un Top Level Domain (TLD) e da un Secondo Level Domain (SLD). IL TLD può essere essenzialmente di due tipi, generico (gTLD) (quando è atto a distinguere, in linea di massima, il settore di operatività - a titolo esemplificativo, .com per le attività commerciali e .org per le organizzazioni no profit) o geografico - country code Top Level Domain (ccTLD) (quando è atto a segnalare la localizzazione «virtuale» dell'elaboratore).

Si consideri, che non vi è nessuna garanzia che, in concreto, ad un dominio geografico, per esempio .it per l'Italia, .fr. per la Francia e così via, corrisponda effettivamente un elaboratore situato nel territorio evocato dal ccTLD.

L’assegnazione del nome a dominio viene svolta da organismi che hanno il compito di stabilire le procedure di iscrizione dei domini e di assegnare questi ai soggetti richiedenti contraddistinti dal Country code “.it”. Ogni stato ha i propri organi addetti a tali funzioni e ogni singolo paese opera in maniera indipendente essendo i diversi stati contraddistinti dai propri Country code (.de, .fr, .nl, .be). Sarà pertanto possibile che lo stesso domain name venga usato da soggetti distinti in diversi Stati e che gli indirizzi si diversifichino solamente  per il Country Code (p.e. “www.esempio.it” e www.esempio.de”). Sulla base di quanto sovresposto,  essendo internet una piattaforma mondiale, regolata da organi Statali indipendenti, è evidente che i rischi e le occasioni di confusione tra nomi a dominio utilizzati da titolari di marchi operanti in diversi parti del globo, saranno sempre più numerosi e frequenti.

Ci si chiede pertanto se il titolare di un marchio registrato in Italia possa agire al fine di impedire ad un terzo l’utilizzo di un nome a dominio contenente il marchio della propria impresa, qualora questo sia caratterizzato da un TLD differente (es. www.abcd.it ed www.abcd.fr).

Anche in tal caso bisogna fare una distinzione tra marchi rinomati e marchi non rinomati

 a)   casi di marchio rinomato

Secondo dottrina e giurisprudenza  nel caso di marchio di alta rinomanza, il problema del TLD non sembra neppure porsi, poiché la contraffazione del segno è anche in questo caso in re ipsa legata alla registrazione del nome a dominio, indipendentemente dal TLD che esso abbia e anche in assenza di un uso effettivo.[1]

b)   casi di marchio non rinomato

Nei casi di marchio per così dire sic et simpliciter, non pare sostenibile affermare che il titolare di un marchio registrato, non noto né tantomeno notorio, possa opporsi alla registrazione di un nome a dominio uguale o simile, ma con TLD differente (es. .it e .de).

Infatti, poiché la legge sui marchi trova applicazione solo in ambito nazionale, il titolare del marchio registrato in Italia non è titolare di un diritto all’uso esclusivo del marchio fuori del territorio nazionale e non può pertanto impedire ad un terzo di registrare all’estero un nome a dominio uguale o simile al suddetto marchio, ma con il TLD differente.

Ad ogni modo si deve ritenere che qualora il terzo registri il domain name all’estero al fine di indirizzare gli utenti verso il proprio sito nel quale di fatto pubblicizza o vende determinati beni o servizi concorrenziali, in tal caso risulta irrilevante il territorio nel quale il segno cotraffattivo viene immesso in rete (es. formaggitaliani.it e formaggitaliani.com).

Atteso, infatti, il carattere globale del sistema di comunicazione Internet  ciascun utente, anche italiano potrà collegarsi al sito corrispondente al domain name in ipotesi confondibile con il marchio registrato.[2]

Si può quindi ritenere che “il titolare del marchio registrato in Italia non è titolare di un diritto all’uso esclusivo del marchio fuori del territorio nazionale, e non può impedire ad un terzo di registrare all’estero un nome di dominio uguale o simile al suddetto marchio all’interno di un TLD geografico o tematico [differente], salvo che dall’uso che ne viene fatto per offrire in vendita o pubblicizzare beni o servizi, si determini una violazione del diritto”.[3]

Per concludere, quindi, si ritiene che il titolare di un Marchio italiano non può impedire ad un terzo l’utilizzo di un domain name confondibile con il suddetto marchio se riporta un TLD differente, almeno che tale registrazione abbia violato il diritto del titolare all’utilizzo del marchio, poiché atta ad indirizzare gli utenti ad un sito web nel quale vengono offerti o pubblicizzati beni o servizi identici, simili o affini.

Sulla base di quanto esposto, si ritiene comunque necessario, data la complessità e la specificità della disciplina, che tale parere venga utilizzato quale linea guida e che le singole fattispecie vengano analizzate in maniera specifica.

RIASSUMENDO
  • il TLD può essere essenzialmente di due tipi, generico (gTLD) (quando è atto a distinguere,  il settore di operatività (.com), le attività commerciali (.org) o geografico  (country code Top Level Domain ccTLD) quando è atto a segnalare la localizzazione «virtuale» dell'elaboratore (.it, .de)
  • ci si chiede pertanto se il titolare di un marchio registrato in Italia possa agire al fine di impedire ad un terzo l’utilizzo di un nome a dominio contenente il marchio della propria impresa, qualora questo sia caratterizzato da un TLD differente (es. www.abcd.it ed www.abcd.fr)
  • nei casi di marchio rinomato il problema del TLD non sembra neppure porsi, poiché la contraffazione del segno è anche in questo caso in re ipsa legata alla registrazione del nome a dominio, indipendentemente dal TLD che esso abbia e anche in assenza di un uso effettivo
  • nei casi di marchio non rinomato si può quindi ritenere che “il titolare del marchio registrato in Italia non è titolare di un diritto all’uso esclusivo del marchio fuori del territorio nazionale, e non può impedire ad un terzo di registrare all’estero un nome di dominio uguale o simile al suddetto marchio all’interno di un TLD geografico o tematico [differente], salvo che dall’uso che ne viene fatto per offrire in vendita o pubblicizzare beni o servizi, si determini una violazione del diritto”

[2] Tribunale di Reggio Emilia 30.5.2000 (ordinanza)

[:]


ghost_in_the_shell

Diritto dell'internet parte I: il marchio ed il nome a dominio.

[:it]Per riuscire ad entrare in questo argomento, si rende necessario esaminare in via propedeutica alcuni concetti che toccano sia il diritto industriale, che le regole consuetudinarie del mondo dell’internet.

Prima di tutto è necessario vedere come il nome a dominio viene inquadrato all’interno dell’ordinamento italiano. Il legislatore

ha disciplinato per la prima volta tale figura coll’art. 22 c.p.i. (codice della proprietà industriale), introducendo il divieto di adottare come “nome a dominio un segno uguale o simile all’altrui marchio se, a causa dell’identità o dell’affinità tra l’attività di impresa dei titolari di quei segni ed i prodotti o servizi per i quali il marchio è adottato, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni”.

Il nome a dominio, pertanto, può anche rilevare come segno distintivo perché alla luce della progressiva “commercializzazione” della rete Internet l’imprenditore non si avvale più di un  nome a dominio qualsiasi, ma richiede un determinato indirizzo Internet per rendere identificabili ai navigatori i prodotti o servizi offerti dal proprio sito commerciale.

La dottrina e giurisprudenza, anche anteriormente all’introduzione della suddetta definizione all’interno del c.p.i., ha riconosciuto la capacità distintiva del nome a dominio riconoscendo che: “non sembra fondatamente contestabile che il domain name nella specie assuma anche un carattere distintivo dell'utilizzatore del sito - atto a concorrere all'identificazione del medesimo e dei servizi commerciali da esso offerti al pubblico a mezzo della interconnessione di reti (Internet) - con qualche apparente affinità con la figura dell'insegna, in quanto luogo (virtuale) ove l'imprenditore contatta il cliente fino a concludere con esso il contratto”.[1]

Tale interpretazione viene nuovamente confermata anche a seguito dell’introduzione del suddetto art. 22 c.p.i. da una recente decisione del Tribunale di Milano del 20.2.2009 che conferma in via definitiva l’orientamento giurisprudenziale dominante favorevole al riconoscimento della natura distintiva del nome a dominio formatosi anteriormente al c.p.i.[2]

Alle norme sulla tutela dei marchi si affiancano anche le regole della rete. In internet vige, infatti il principio del “first come, first served”, in base al quale un nome a dominio viene assegnato al primo richiedente, indipendentemente dal fatto che sia in conflitto con altrui diritti di privativa. Gli enti preposti all’assegnazione dei domini non sono tenuti ad effettuare alcun controllo preventivo atto  a prevenire/evitare la registrazione -quale domain name - di segni o marchi confondibili con un marchio registrato da parte di un soggetto diverso dal titolare del segno distintivo. In altri termini, in base all’attuale metodo di assegnazione dei domain names, tutti i nomi non ancora registrati (come domain name) sono liberamente registrabili da chiunque sulla base delle priorità delle richieste, indipendentemente dal fatto che tali nomi corrispondano o meno a denominazioni o segni distintivi di terzi più o meno noti.

A tal punto si rende necessario andare ad analizzare l’effettivo metodo applicativo delle suddette norme e, per far ciò, si rende necessario suddividere i marchi in due macrogruppi, ossia i marchi non rinomati e quelli rinomati.

a)  casi di domani name di marchio non rinomato

Nel primo caso, qualora il domain name sia identico o simile a marchio altrui non rinomato occorre, perché questi possa inibire l’utilizzo del suddetto nome a dominio, la concorrenza di due requisiti:

-      l’identità o somiglianza del marchio con il domain name (es. il marchio registrato è ABCD s.r.l. ed il terzo utilizza un nome a dominio coincidente www.abcd.it);

-      l’identità o affinità dei prodotti o servizi offerti. (entrambi operano nello stessa branca del mercato);

In tal caso sarà applicabile il principio di specialità della tutela del marchio previsto e disciplinato dagli artt. 2569, comma 1. c.c.[3] e dall’art. 20 comma 1 c.p.i., lett. a) e b).

Ovviamente più i prodotti ed i servizi offerti sono vicini, tanto maggiore sarà la confusione del pubblico sulla effettiva provenienza degli stessi.

Pertanto, anche nel caso in cui non sussista alcuna identità tra i settori merceologici del marchio non rinomato e del domain name, qualora venga dimostrata la mala fede del titolare del nome a dominio, si ritiene tale attività essere idonea a precludere al titolare del marchio l’utilizzo in Internet come ulteriore segno distintivo e pertanto censurabile ex art. 22 c.p.i. [4]

b)  casi di domani name di marchio rinomato

Nel caso di marchio notorio o di alta rinomanza, si ritiene indebito l’uso del domain name simile al marchio che anche nelle ipotesi di uso di segni per prodotti e servizi non affini se l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi.[5]

RIASSUMENDO

  • il legislatore, ha disciplinato per la prima volta tale il nome a dominio coll’art. 22 c.p.i. (codice della proprietà industriale)
  • l’orientamento giurisprudenziale dominante favorevole al riconoscimento della natura distintiva del nome a dominio
  • nei  casi di domain name di marchio non rinomato qualora il domain name sia identico o simile a marchio altrui occorrono, per inibire l’utilizzo del suddetto nome a dominio, che vi sia identità o somiglianza del marchio con il domain name e identità o affinità dei prodotti o servizi offerti
  • nei casi di domain name di marchio rinomato,  si ritiene indebito l’uso del domain name simile al marchio anche nelle ipotesi di uso di segni per prodotti e servizi non affini se l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi

[1] Tribunale di Milano, ordinanza 10 giugno 1997 - Amadeus Marketing SA, Amadeus Marketing Italia s.r.l. c. Logica s.r.l.

[2] “Il domain name ha doppia natura, tecnica di indirizzo delle risorse logiche della rete Internet e distintiva. In quanto segno distintivo - costituito dalla parte caratterizzante il nome a dominio denominata Second Level Domain - può entrare in conflitto con altri segni in applicazione del principio dell’unitarietà dei segni distintivi statuito dall’art. 22 c.p.i.”. Tribunale Milano, 20.02.2009, Soc. Solatube Global Marketing Inc. e altro c. Soc. Solar Proiect e altro.

[3] art. 2569, comma 1. c.c.[3] “Chi ha registrato nelle forme stabilite dalla legge un nuovo marchio idoneo a distinguere prodotti o servizi ha diritto di valersene in modo esclusivo per i prodotti o servizi per i quali è stato registrato”.

[4] Tribunale di Milano, ordinanza 10 giugno 1997 “La pratica confusoria illecita nota come domain grabbing consiste nella registrazione, presso la Naming Authority, del marchio altrui come nome a dominio, al solo fine di appropriarsi della notorietà del segno, costituisce in sé e per sé atto di contraffazione - censurabile ai sensi degli art. 22 c.p.i. - anche in quanto attività idonea a precludere al titolare dei marchio l’utilizzo in Internet come ulteriore segno distintivo”.

[5] Tribunale Milano, 20.02.2009 “La pratica confusoria illecita nota come domain grabbing consiste nella registrazione, presso la Naming Authority, del marchio altrui come nome a dominio, al solo fine di appropriarsi della notorietà del segno, costituisce in sé e per sé atto di contraffazione - censurabile ai sensi degli art. 22 c.p.i. - anche in quanto attività idonea a precludere al titolare dei marchio l’utilizzo in Internet come ulteriore segno distintivo”; Tribunale Modena, 18.10.2005L'assegnazione di un domain name (nome di sito web) corrispondente ad un marchio - anche solo di fatto, ma notorio - può costituire usurpazione del segno e concorrenza sleale in quanto comporta l'immediato vantaggio di ricollegare la propria attività a quella del titolare del marchio, sfruttando la notorietà del segno e traendone indebito vantaggio. Inoltre, la violazione di un marchio - perpetrata mercé il suo impiego quale domain name di un sito Internet - non è esclusa dalla circostanza che tale utilizzo sia avvenuto previa autorizzazione dell'apposita autorità preposta alla registrazione dei nomi di dominio, né dal fatto che il titolare del marchio non abbia in precedenza registrato presso detta autorità il medesimo nome”.

 

 

[:]