esaurimento del marchio e vendite parallele

Vendite parallele e principio dell'esaurimento del marchio.

I distributori non autorizzati possono effettuare delle vendite parallele? Quando ci si può avvalere del principio dell'esaurimento del marchio? I casi Amazon, Sisley e L'Oréal.

Come
si è già avuto modo di spiegare (cfr. La
distribuzione selettiva. Una breve panoramica: rischi e vantaggi
), la
distribuzione selettiva ha la funzione di proteggere la commercializzazione dei
prodotti che, in funzione delle loro caratteriste, necessitano di un sistema di
rivendita più selezionato e curato rispetto ai prodotti di largo consumo.

In
tali casi, il produttore è portato non tanto a puntare sulla vastità e
capillarità della propria rete vendita, quanto a prediligere una limitazione dei
canali commerciali
, preferendo affidare i propri prodotti ad un ristretto
numero di rivenditori specializzati, scelti in funzione di determinati criteri
oggettivi dettati dalla natura dei prodotti: competenza professionale (per
quanto riguarda gli aspiranti distributori),[1] qualità
del servizio offerto, ovvero prestigio e cura dei locali nei quali i
rivenditori dovranno svolgere la loro attività.[2]

Tale sistema, regolamentato dal Regolamento UE 330/2010 sugli accordi verticali,[3] è conforme all’art. 101 § 3 del Trattato (e quindi non ricade nel divieto generale fissato dal § 1 di suddetto articolo), essenzialmente se:

  • la scelta dei rivenditori avvenga secondo criteri oggettivi di indole qualitativa, riguardanti la qualificazione professionale del rivenditore del suo personale e dei suoi impianti”,
  • che “questi requisiti siano richiesti indistintamente per tutti i rivenditori potenziali”,
  • e che “vengano valutati in modo non discriminatorio”.[4]

Con
riferimento alla tipologia di prodotti per i quali può essere
giustificato il ricorso ad un sistema selettivo, seppure il Regolamento
330/2010 non fa alcun cenno in merito, poiché si limita a dare una definizione
di tale sistema, si ritiene che la stessa è riservata solamente a prodotti di
lusso, di alta qualità e tecnologicamente sviluppati.[5]

Uno
degli elementi essenziali collegati alla distribuzione selettiva, è sicuramente
collegato al fatto che, in tale sistema, il produttore può imporre l’obbligo di
non vendere a soggetti (diversi dagli utilizzatori finali) non appartenenti
alla rete (ex art. 4 lett. b), iii)).[6]

Secondo
vantaggio è collegato ai limiti che possono essere imposti a membri del sistema
selettivo, in merito alla possibilità di vendere i prodotti online. Sul
punto la giurisprudenza europea ha affermato che, mentre un
produttore di un sistema non selettivo, non può impedire ai suoi distributori
di vendere online
,[7]
in un sistema selettivo, il produttore è autorizzato ad imporre al proprio
distributore una clausola che consente di vendere i prodotti tramite interneta
condizione che tale attività di vendita online
 sia
realizzata tramite una “vetrina elettronica” del negozio autorizzato e che
venga in tal modo preservata l’aurea di lusso ed esclusività di questi
prodotti
.[8]

Inoltre, la giurisprudenza[9] ha considerato legittima una clausola contrattuale che vieta ai distributori autorizzati di un sistema di distribuzione selettiva di servirsi in maniera riconoscibile di piattaforme terze per la vendita a mezzo internet dei prodotti contrattuali, purché ciò sia finalizzato a salvaguardare l’immagine di detti prodotti e che sia stabilita indistintamente e applicata in modo non discriminatorio.


1. La distribuzione parallela di distributori non autorizzati.

In ogni caso, nella pratica è altamente diffuso che, anche se il produttore crea un sistema selettivo, si sviluppino distribuzioni parallele all’interno del mercato stesso. Ciò può essere dovuto al fatto che molto spesso i produttori distribuiscono in via “selettiva” soltanto nei mercati più importanti, riservando, contrariamente, un sistema “classico” (ossia tramite un importatore esclusivo e non selettivo) alle altre zone, così permettendo (e facilitando) che i distributori “classici” vendano i prodotti anche a distributori paralleli che si trovano all’intero di un mercato selettivo.[10]

Leggi anche Le vendite parallele nell’UE. Quando e fino a che punto può un produttore controllarle? e Distribuzione selettiva ed esclusiva: il sistema misto che selettiva.

Cosa
succede quindi se la società produttrice rileva la vendita non autorizzata di
propri prodotti su una piattaforma e-commerce, da parte di un
distributore/intermediario estraneo alla rete di distribuzione selettiva?

È
chiaro, infatti, che in tale situazione il rapporto tra produttore e il terzo è
di natura extracontrattuale e bisogna quindi comprendere quali (e se vi) siano strumenti
giuridici che consentano al produttore di difendersi da tali vendite estranea
al sistema selettivo.

Per potere rispondere a tale domanda è necessario fare un breve passo indietro.


2. Il principio di esaurimento comunitario.

Come è noto, l’ordinamento europeo garantisce la libertà (fondamentale) della circolazione delle merci; figlio di tale libertà è il principio di esaurimento comunitario, introdotto con Direttiva Europea 2008/95/CE all'articolo 7 e recepito dal nostro ordinamento con l’art. 5 c.p.i.[11]

Secondo
tale principio, una volta che il titolare di uno o più diritti di proprietà
industriale immette direttamente o con il proprio consenso[12]
(ad es., dal licenziatario) in commercio un bene nel territorio dell'Unione
europea, questi perde le relative facoltà di privativa.

L’esclusiva
è quindi limitata al primo atto di messa in commercio, mentre nessuna
esclusiva può essere successivamente vantata dal titolare della privativa,
sulla circolazione del prodotto recante il marchio.

Il
principio dell’esaurimento conosce tuttavia un’importante eccezione: il secondo
comma dell’articolo 5 c.p.i. reca, infatti, una norma di salvaguardia che, con
riferimento al marchio, consente al titolare, anche quando abbia immesso il
prodotto sul mercato e, pertanto, “esaurito” il diritto, di evitare che la
privativa subisca una diminuzione di attrattiva e di valore
.

Al
fine di eludere che il titolare del marchio possa arbitrariamente comprimere la
libera circolazione sul mercato comunitario, la deroga al principio
dell’esaurimento del marchio è circoscritta al ricorrere di condizioni che
rendono necessaria la salvaguardia dei diritti oggetto specifico della
proprietà: il secondo comma dell’art. 5 c.p.i. dispone infatti che devono
sussistere

motivi
legittimi
perché il titolare stesso si opponga all'ulteriore
commercializzazione dei prodotti, in particolare quando lo stato di questi è
modificato o alterato dopo la loro immissione in commercio
”.

La
giurisprudenza comunitaria[13]
ha confermato che l’esistenza di una rete di distribuzione selettiva può essere
ricompresa tra i “motivi legittimi”, ostativi all’esaurimento, a condizione che
il prodotto commercializzato sia un articolo di lusso o di prestigio che
legittimi la scelta di adottare un sistema di distribuzione selettiva.

Spetterà
al giudice nazionale, pertanto, chiamato a giudicare verificare se
sussistano “motivi legittimi” affinché il titolare del marchio possa opporsi
all’ulteriore commercializzazione dei suoi prodotti e, quindi, verificare se i
contratti di distribuzione selettiva siano conformi al diritto antitrust
europeo.[14] Ciò
consiste (per semplificare, ma lungi dal volere banalizzare) nell’accertare:

  • la liceità del sistema di distribuzione dei
    prodotti, valutando la natura dei medesimi (ossia che siano beni di lusso o,
    comunque prodotti di alta qualità o tecnologicamente sviluppati);
  • che il terzo rispetti gli standard che
    il produttore esige dai propri distributori autorizzati.

In
caso negativo, quindi se le modalità di commercializzazione utilizzate del
terzo non rispettano gli standard richiesti e siano lesivi del marchio
del produttore, tale attività sarà sottratta al principio dell’esaurimento.

Per portare qualche esempio pratico e quindi cercare di rendere per il lettore il più possibile chiara tale tematica, si riportano qui di seguito tre recenti (ed interessantissime) sentenze del Tribunale di Milano.


Il Caso Landoll s.r.l. contro MECS s.r.l.

Nella
2018 il Tribunale è stato chiamato a decidere sulla seguente questione: Landoll,
azienda leader nel settore della ricerca, sviluppo e commercializzazione
di prodotti cosmetici professionali e titolare di diversi marchi, provvedeva
alla distribuzione selettiva dei propri prodotti, sulla base di standard qualitativi
prescelti, volti alla tutela dell’immagine di lusso e prestigio. La ricorrente
ha rilevato l’offerta in vendita non autorizzata dei suoi prodotti su una
piattaforma e-commerce, riconducibile alla resistente. La ricorrente ha quindi
chiesto l’inibitoria nei confronti della resistente alla prosecuzione dell’attività
di vendita.

Il
Tribunale ha riconosciuto che la violazione dei diritti di privativa della
ricorrente sui propri marchi registrati, si evinceva dalla

 “valutazione dell’esistenza di un
pregiudizio effettivo all’immagine di lusso e di prestigio di essi che consegue
dall’esame delle modalità di presentazione al pubblico dei prodotti […] sia
su piattaforma e-commerce, che sul suo sito web
, che ne manifestano nella
loro presentazione la piana assimilazione a qualsiasi generico prodotto del
settore anche di minore qualità.”[15]

Ha
quindi inibito alla resistente l’ulteriore pubblicizzazione,
commercializzazione, offerta in vendita dei prodotti di parte ricorrente.  


Caso Sisley Italia s.r.l. contro Amazon Europe Core s.a.r.l.

In
tale vertenza,[16] Sisley
Italia s.r.l., società anch’essa leader nel settore della cosmesi e
organizzata tramite un sistema di distribuzione selettiva, ha proposto ricorso affinché
il Tribunale di Milano inibisse ad Amazon di commercializzare sul territorio
italiano i prodotti recanti i marchi Sisley, ritenendo che le modalità di immissione
in commercio utilizzate dalla resistente violassero gli standard richiesti
da Sisley ai propri distributori autorizzati. Nel dispositivo si legge che sul
portale di Amazon

i prodotti Sisley
vengono mostrati e offerti mescolati ad altri articoli, quali prodotti per la
casa e per le pulizie, prodotti comunque di basso profilo e di scarso valore
economico. Anche nella sezione ‘Bellezza Luxory’ […] il marchio Sisley è
accostato a marchi di fascia bassa, di qualità, reputazione e prezzo molto
inferiori o comunque di gran lunga meno prestigiosi.”

La
sentenza prosegue:

Laddove si
consideri che, nei propri contratti, Sisley esplicitamente richiede che i
propri prodotti vengano venduti in profumerie di lusso o in reparti
specializzati di profumeria e cosmesi di grandi magazzini, con personale
qualificato, in un determinato contesto urbano, appare indubbiamente
inadeguata, rispetto agli standard richiesti, la messa in vendita dei prodotti
in questione accanto a contenitori per microonde, prodotti per la pulizia dei
pavimenti e per gli animali domestici,”

Il Tribunale di Milano ha quindi riconosciuto che la commercializzazione e promozione di tali prodotti nella stessa pagina internet di prodotti di altre marche – anche di segmenti di mercato più bassi – fosse “lesivo del prestigio e dell’immagine del marchio Sisley.”


Ma cosa succede se i prodotti vengono importati da un paese Extra-UE? Il Caso L’Oréal.

Come
si è avuto modo di vedere condizione perché l’esaurimento ex art. 5 c.p.i.
abbia luogo è che la prima immissione in commercio sia stata effettuata dal
titolare (o con il suo consenso) e che tale immissione venga effettuata
all’interno del mercato unico.

Diversa
la situazione in cui la prima immissione viene effettuata nel mercato unico da
terzi non autorizzati: la giurisprudenza della Corte di Giustizia sin dal 1982
ha deciso che se l’immissione in commercio del bene tutelato sia effettuata dal
titolare al di fuori della Comunità, questi può far valere il proprio diritto
per opporsi all’importazione nell’Unione da parte di un distributore
extracomunitario.[17]

Applicando
tali principi il Tribunale di Milano[18]
ha vietato alla IDS International Drugstore Italia s.p.a., l’offerta in vendita
e commercializzazione, in qualsiasi modo e forma, compreso l’uso di internet
e di social network, dei prodotti L’Oréal. Tali prodotti
erano stati invero acquistati da IDS da un distributore extracomunitario,
il quale li aveva acquistati direttamente dal produttore.

Posto
che la prima immissione in commercio all’interno dell’UE non era stata
effettuata da parte del titolare (o con il suo consenso), questi continuava a
detenere, ai sensi degli art. 5 e 20 c.p.i., il diritto di opporsi all’importazione
parallela da paesi extracomunitari senza il suo consenso.

Diversa
questione sarebbe invece nel caso in cui il titolare del marchio acconsenta all’immissione
in commercio in un determinato Stato membro dello SEE; in tal caso egli esaurisce
i propri diritti di proprietà intellettuale e, quindi, non potrà più vietare l’importazione
in un diverso Stato membro.


[1] Si pensi alla
decisione Grundig approvata nel 1985 dalla Commissione, in cui
si richiedeva la presenza “di personale qualificato e di un servizio esterno
con la competenza tecnica necessaria per assistere e consigliare la clientela”,
nonché “l’organizzazione tecnica necessaria per l’immagazzinamento e il
tempestivo rifornimento degli acquirenti”; “presentare ed esporre i prodotti
Grundig in maniera rappresentativa in locali appositi, separati dagli altri
reparti, e il cui aspetto rispecchi l’immagine di mercato di Grundig”.

[2] Sul punto cfr.
PAPPALARDO, Il diritto della concorrenza dell’Unione Europea, pag. 409, UTET,
2018.

[3] che definisce distribuzione
selettiva come: “un sistema di distribuzione nel quale il fornitore si
impegna a vendere i beni o servizi oggetto del contratto, direttamente o
indirettamente, solo a distributori selezionati sulle base di criteri
specificati e nel quale questi distributori si impegnano a non vendere tali
beni o servizi a rivenditori non autorizzati nel territorio che il fornitore ha
riservato a tale sistema.”

[4] Sentenza Metro I,
25.10.1977 e causa C-31/80, L’Oréal/ PVBA. Tale orientamento è stato confermato
anche dagli Orientamenti della Commissione al n. 175, che dispongono che “In
genere, si ritiene che la distribuzione selettiva basata su criteri puramente
qualitativi non rientri nell’ambito dell’articolo 101, paragrafo 1, in quanto
non provoca effetti anticoncorrenziali, purché vengano soddisfatte tre
condizioni. In primo luogo, la natura del prodotto in questione deve rendere
necessario un sistema di distribuzione selettiva nel senso che un tale sistema
deve rappresentare un requisito legittimo, in considerazione delle
caratteristiche del prodotto in questione, per conservarne la qualità e
garantirne un utilizzo corretto. In secondo luogo, la scelta dei rivenditori
deve avvenire secondo criteri oggettivi d’indole qualitativa stabiliti
indistintamente e resi disponibili per tutti i rivenditori potenziali e
applicati in modo non discriminatorio. In terzo luogo, i criteri stabiliti non
devono andare oltre il necessario.”

[5] In ogni caso, una risposta si ritrova all’interno degli Orientamenti della Commissione, ove al n. 176, viene affermato che: “se le caratteristiche del prodotto non richiedono una distribuzione selettiva […], tale sistema di distribuzione non comporta generalmente vantaggi in termini di efficienza tali da compensare una notevole riduzione della concorrenza all’interno del marchio. Se si verificano effetti anticoncorrenziali sensibili, è probabile che il beneficio dell’esenzione per categoria venga revocato”. Cfr. anche, n. 25, caso Coty Germany, sentenza del 6.12.2017, che dispone:

[6] A tal proposito, si
richiama quanto affermato dalla Corte di Giustizia nel caso Metro-Saba
I
, sentenza del 25.10.1977, al par. 27 “Qualsiasi sistema di vendita
fondato sulla selezione dei punti distribuzione implica inevitabilmente –
altrimenti non avrebbe senso – l’obbligo per i grossisti che fanno parte della
rete, di rifornire solo i rivenditori autorizzati”.

[7] Caso Pierre Fabre, sentenza del 13.10.2011.

[8] Caso Coty Germany, sentenza del 6.12.2017.

[9] Cfr.
nota precedente.

[10] In tal caso, il
produttore non può imporre il divieto di effettuare vendite passive, nei
confronti dei rivenditori appartenenti alle zone in cui non esiste il sistema
selettivo, ma unicamente vietare allo stesso, ex art. 4 let. b) i), le vendite
attive.

[11] Art. 5,
comma 1, c.p.i. (Esaurimento), “Le facoltà esclusive attribuite dal presente
codice al titolare di un diritto di proprietà industriale si esauriscono una
volta che i prodotti protetti da un diritto di proprietà industriale siano
stati messi in commercio dal titolare o con il suo consenso nel territorio
dello Stato o nel territorio di uno Stato membro della Comunità europea o dello
Spazio economico europeo.”

[12] La prassi
decisionale e la giurisprudenza europea hanno chiarito che si ha il consenso
quando l’immissione in commercio sia stata effettuata da un’impresa controllata
dal titolare del diritto di proprietà intellettuale o da un’impresa, di regola
un licenziatario, a ciò autorizzata dal titolare. L’esaurimento si verifica
quando il prodotto tutelato sia stato immesso in commercio dal titolare del
diritto “col suo consenso o da persona a lui legata da vincoli di dipendenza
giuridica o economico”
(sent. Keurkoop, cit., n. 25).  Sul punto Cfr. Pappalardo, Il diritto
della concorrenza dell’Unione Europea
, pag. 875, 2018, UTET.

[13] Caso Copad SA, sentenza del 23 aprile 2009, “Quando la commercializzazione di prodotti di prestigio da parte del licenziatario in violazione di una clausola del contratto di licenza deve considerarsi nondimeno effettuata con il consenso del titolare del marchio, quest’ultimo può invocare tale clausola per opporsi ad una rivendita di tali prodotti sul fondamento dell’art. 7, n. 2, della direttiva 89/104, come modificata dall’Accordo sullo Spazio economico europeo, solo nel caso in cui si accerti, tenuto conto delle circostanze della fattispecie, che tale rivendita nuoce alla notorietà del marchio.”

[14] Sul punto, cfr. Fratti, Distribuzione selettiva di cosmetici di lusso: il Tribunale di Milano chiarisce i presupposti per l’esclusione del principio dell’esaurimento del marchio.

[15]
Tribunale di Milano, ordinanza del 18.12.2018. Cfr. nota precedente.

[16] Tribunale di Milano, ordinanza del 3.7.2018

[17] Cfr. Pappalardo,
op. cit., pag. 878.

[18]
Tribunale di Milano, ordinanza del 19.11.2018, cfr. nota 12.


vendite parallele

Le vendite parallele nell'UE. Quando e fino a che punto può un produttore controllarle?

Quando si parla di vendite parallele, ci si riferisce alle importazioni che si affiancano a quelle effettuate da un importatore “ufficiale”, ossia territorialmente competente[1]: i commercianti paralleli entrano nel mercato riservato a distributori esclusivi, senza avere accesso diretto al fornitore, che appunto alimenta e fornisce unicamente i rivenditori autorizzati.

Il commercio parallelo, nel corso degli anni ha assunto forme assai diversificate e spesso ha permesso il sorgere di reti commerciali “alternative”, che si sono affiancate a quelle ufficiali impostate dal produttore; a volte sono alimentate dai distributori esclusivi stessi, che avendo acquistato la merce dal produttore, trovano più conveniente rivenderla a commercianti paralleli, con i quali hanno instaurato dei rapporti commerciali; altre volte i commercianti paralleli si procurano i beni presso rivenditori al dettaglio di un altro paese, ove i prezzi di mercato sono più bassi.[2]

1. È lecito un sistema di vendita esclusivo che blocca la distribuzione parallela?

La normativa comunitaria, si è sin dal principio confrontata con tale fenomeno ed ha dovuto cercare di trovare un bilanciamento tra, da un lato, il principio del libero scambio delle merci e, dall’all’altro lato, gli interessi commerciali dei singoli produttori di suddividere i diversi mercati europei tramite la nomina di concessionari esclusivi. L’impostazione della Commissione è stata da sempre, quella di permettere al produttore di creare delle reti tramite la nomina di concessionari esclusivi, affinché questi potesse gestire con maggiore facilità i diversi mercati europei. Il “compromesso” che è stato raggiunto, è stato quello di creare una netta linea di demarcazione tra le forme di distribuzione esclusiva “aperta”, considerate in linea di principio ammissibili, e le c.d. esclusive “chiuse”, ritenute quasi sempre non autorizzate[3].

Le prime forme si contraddistinguono dal fatto che il concessionario ottiene il diritto di essere l’unico soggetto a venire rifornito dal produttore in un determinato territorio. In ogni caso, la posizione che viene a questi garantita non è di “monopolio”, posto che gli importatori paralleli, nelle modalità e con i limiti che verranno di seguito descritti, potranno acquistare la merce da soggetti terzi (grossisti o concessionari di altre zone), per poi, eventualmente, rivenderli anche nel territorio esclusivo del concessionario.

Contrariamente, l’esclusiva “chiusa” è caratterizzata dal fatto che al concessionario viene garantita una protezione territoriale perfetta e ciò tramite l’imposizione a tutti i distributori della rete di non rivendere a soggetti al di fuori dalla loro zona e con l’ulteriore obbligo di imporre tale divieto anche ai loro acquirenti e così via.

Tale impostazione è stata assunta nella (ormai lontana) decisione Grundig[4], alla quale la Commissione non si è mai allontanata, ove è stato appunto ritenuto contrario ai principi del mercato unico europeo, la protezione assoluta dei concessionari e la creazione di distribuzioni esclusive chiuse, tramite, ad es[5]:

  • divieto di esportare imposto dai fornitori ai distributori;
  • approvvigionare commercianti noti per la loro attività di rivendita al di fuori delle zone stabilite;
  • differenziazione dei prezzi in funzione della destinazione;
  • riduzione o vera e propria soppressione degli sconti ai grossisti che avessero effettuato esportazioni indesiderate[6];
  • riduzione delle quantità abitualmente cedute ai grossisti, con l’intento di scoraggiare l’esportazione parallela.

La Corte ha quindi ritenuto, non solo che i contratti di distribuzione con protezione territoriale assoluta rientrano nel divieto dell’art. 101, § 1 TFUE, ma addirittura che tali accordi sono vietati unicamente sulla base del loro oggetto restrittivo, senza che sia necessario effettuare alcuna indagine di mercato, atta a verificare gli effetti che tali divieti abbiano effettivamente sul mercato.

2. Il Regolamento 330/2010: vendite attive e passive.

L’impostazione della Corte è stata confermata anche dal Regolamento 330/2010, sulle vendite verticali. Il Regolamento, da un lato, conferisce la facoltà di suddividere il mercato tramite la concessione di esclusive aperte[7], dall’altro lato, prevede all’art. 4, let. b) la validità di clausole contrattuali che impongono agli importatori il divieto di vendite attive [8] (e non passive[9]) nel territorio esclusivo o alla clientela esclusiva riservati ad altri distributori. Importante sottolineare il fatto che l’eccezione non si limita al divieto di vendite attive nel territorio esclusivo, ma copre anche il divieto di vendite alla clientela esclusiva, cioè quella che il fornitore si riserva, o che ha riservato ad un altro acquirente.

Il fornitore, pertanto, non può limitarsi a vietare al distributore di effettuare vendite fuori zona o ad un gruppo di clienti, posto che il divieto, per essere legittimo, deve riferirsi a vendite attive in una zona o a clienti riservati in esclusiva ad un differente distributore, ovvero al fornitore stesso.

Il concedente potrà, pertanto, impedire al proprio concessionario esclusivo di assumere iniziative miranti a conquistare parti di mercato in zone diverse da quelle loro assegnate; in ogni caso, il divieto di vendere fuori zona non può essere imposto, per le vendite passive, ossia la risposta ad ordini non sollecitati di singoli clienti non appartenenti alla zona esclusiva.

3. Le vendite su internet e gli impatti sulle vendite parallele.

Il fenomeno della distribuzione parallela si è certamente sviluppato con l’avvento di Internet. Il web essendo una piattaforma che, per definizione, può essere visitata “worldwide”, ha aumentato sensibilmente le potenzialità dei singoli anelli della catena distributiva di essere visibili (e, quindi, vendere) in territori riservati in esclusiva ad altri soggetti (sul tema cfr. Un produttore può impedire ai suoi distributori di vendere online? Vendite attive, vendite passive e geoblocking.).

Seppure ci siano delle sostanziali differenze tra vendite online e vendite offline, si può certamente affermare che i principi esposti al paragrafo precedente si applicano indifferentemente ad entrambe le tipologie di mercato.  I poteri  ed i limiti del produttore di vietare ed indirizzare le vendite dei propri concessionari sono i medesimi per il commercio tradizionale e quello elettronico: essenziale sarà pertanto comprendere, anche in tale contesto, la distinzione delle vendite attive, rispetto alle passive.

Secondo gli Orientamenti della Commissione, la mera esistenza di un sito Internet deve essere considerata, in linea di principio, come una forma di vendita passiva. Si legge infatti:

se un cliente visita il sito Internet di un distributore e lo contatta, e se tale contatto si conclude con una vendita, inclusa la consegna effettiva, ciò viene considerato come una vendita passiva. Lo stesso avviene se un cliente decide di essere informato (automaticamente) dal distributore e questo determina una vendita.” [10]

Contrariamente, deve considerarsi vendita attiva:

La pubblicità on-line specificamente indirizzata a determinati clienti [...]. I banner che mostrino un collegamento territoriale su siti Internet di terzi […] e, in linea generale, gli sforzi compiuti per essere reperiti specificamente in un determinato territorio o da un determinato gruppo di clienti costituisce una vendita attiva in tale territorio o a tale gruppo di clienti [ivi incluso] il pagamento di un compenso ad un motore di ricerca o ad un provider pubblicitario on-line affinché vengano presentate inserzioni pubblicitarie specificamente agli utenti situati in un particolare territorio.”

L’allargamento sensibile delle vendite tramite internet ha avuto l’effetto di aprire spazi considerevoli alla concorrenza intra-brand ed alla distribuzione parallela e ciò è stato certamente favorito anche dalla giurisprudenza europea, tendenzialmente favorevole all’utilizzo di tale strumento anche da parte dei concessionari ed intermediari del fornitore.

Invero, a seguito delle sentenze Pierre Fabre del 13.10.2011[11], un divieto assoluto ai distributori dell’utilizzo di internet per la distribuzione dei prodotti acquistati è da considerarsi sostanzialmente inammissibile. Un limite a tale potere dispositivo è stato imposto dalla sentenza del 6 dicembre 2017 Coty Germany GmbH[12], ove la Corte ha chiarito che in un sistema di distribuzione selettiva di prodotti di lusso, un produttore (in questo caso Coty) è autorizzato ad imporre al proprio distributore una clausola che consente di vendere i prodotti tramite internet, ma a condizione che tale attività sia realizzata in modo da preservare la connotazione lussuosa dei prodotti.

Da ultimo è intervenuta la più recente decisione Guess del dicembre 2018[13], con cui la Commissione ha condannato la casa madre ad una sanzione di 40 milioni di euro, per avere imposto ai dettaglianti un divieto di vendere prodotti contrattuali tramite internet o qualsiasi altro sistema elettronico o informatico, senza il previo consenso scritto di Guess stessa.

Sempre legata ad internet è la questione – che richiederebbe da sola un approfondimento molto più ampio – legata al fatto se un produttore può direttamente vendere su una piattaforma online prodotti a prezzi inferiori rispetto a quelli consigliati ai propri concessionari. Ci si domanda, infatti, se tale comportamento possa essere considerato contrario di esecuzione del contratto secondo buona fede ex art. 1375 c.c. In merito non risulta che la giurisprudenza italiana si sia ancora espressa; ci si limita, per il momento, a consigliare di prevedere in maniera chiara e precisa tale fattispecie nel contratto di concessione, potendo, in caso contrario, tale comportamento dare adito a controversie molto complesse e gravose per entrambe le parti.[14]

4. Si può evitare la distribuzione parallela, creando un sistema di distribuzione selettiva?

Una modalità per evitare il crearsi di una distribuzione parallela potrebbe essere la creazione di una rete distributiva selettiva, posto che, in tale tipologia di distribuzione, il produttore può pretendere che i propri beni possano essere acquistati solamente da determinati intermediari, che rispettano i requisiti di forma e qualità  dallo stesso imposti (cfr. La distribuzione selettiva. Una breve panoramica: rischi e vantaggi). Ne consegue che, in un sistema di distribuzione selettiva senza falle, i prodotti non vengono in possesso di intermediari o rivenditori commerciali non ammessi alla rete. (cfr. Il sistema misto: quando il produttore sceglie di adottare sia la distribuzione esclusiva, che selettiva).

In ogni caso, anche tale sistema ha dei vantaggi, degli svantaggi e dei limiti; in primo luogo, può essere attuato solamente per i prodotti di alta qualità e tecnologicamente sviluppati.[15]

Inoltre, l’art. 4 d) del Regolamento, prevede comunque delle restrizioni al potere direttivo del produttore, il quale non potrà impedire le “forniture incrociate tra distributori all’interno di un sistema di distribuzione selettiva, ivi inclusi i distributori operanti a differenti livelli commerciali.” Tale libertà, per ogni membro appartenente alla rete selettiva, di approvvigionarsi senza alcun ostacolo presso gli altri membri, costituisce la necessaria contropartita dell’esclusione di reti distributive parallele. Gli Orientamenti prevedono al punto 58, che:

“un accordo o una pratica concordata non possono avere come oggetto diretto o indiretto quello di impedire o limitare le vendite attive o passive dei prodotti contrattuali fra i distributori selezionati, i quali devono rimanere liberi di acquistare detti prodotti da altri distributori designati della rete, operanti allo stesso livello o a un livello diverso della catena commerciale. La distribuzione selettiva non può pertanto essere combinata con restrizioni verticali volte ad obbligare i distributori ad acquistare i prodotti oggetto del contratto esclusivamente da una fonte determinata.

Da ultimo, ma non meno importante, si rileva che, seppure in una distribuzione selettiva, “il produttore può imporre l’obbligo di non vedere a soggetti (diversi dagli utilizzatori finali) non appartenenti alla reteex art. 4 lett. b), iii), molto spesso, nella pratica, molti produttori distribuiscono in via "selettiva" soltanto nei mercati più importanti, riservando, contrariamente, un sistema “classico” (ossia tramite un importatore esclusivo) alle altre zone. In tal caso, il produttore non può imporre il divieto di effettuare vendite passive, nei confronti dei rivenditori appartenenti alle zone in cui non esiste il sistema selettivo, ma unicamente vietare allo stesso, ex art. 4 let. b) i), le vendite attive.

È comunque fatto salvo il diritto del produttore, che ha legittimamente adottato un sistema di distribuzione selettiva al fine di tutelare i prodotti contraddistinti dal marchio, di agire nei confronti dei distributori paralleli, le cui modalità di rivendita siano tali da arrecare pregiudizio all’immagine di lusso e prestigio -  che il produttore cerca di difendere proprio attraverso l’adozione di un sistema di distribuzione selettiva - , o comunque che sussista un effetto confusorio circa l’esistenza di un legame commerciale tra il titolare del marchio e il rivenditore non autorizzato. In merito, si evidenziano due recenti ordinanze del Tribunale di Milano (cfr. La vendita online da parte di distributori non autorizzati. I casi Amazon, L’Oréal e Sisley). [16]

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[1] Cfr. definizione da Dizionari Online Simone https://www.simone.it/newdiz/newdiz.php?action=view&id=736&dizionario=11

[2] Sul punto cfr. Pappalardo, Il diritto della concorrenza dell’Unione Europea, pag. 403, 2018, UTET.

[3] Sul punto cfr. Bortolotti, I contratti di distribuzione, pag. 690, 2016, Wolters Kluwer.

[4] Decisione Grundig-Costen, 23.9.1964.

[5] Sul punto cfr. Pappalardo, Il diritto della concorrenza dell’Unione Europea, pag. 383, 2018, UTET.

[6] In merito la Commissione si è espressa nel caso Distillers (1978), ove la Commissione ha sottolineato il fatto che gli sconti possono essere utilizzati per disciplinare, in via indiretta, i flussi di esportazione “stabilendo che nei confronti dei rivenditori britannici della DCL che esportano alcolici verso altri paesi della CEE il prezzo è diverso da quello che viene praticato quando gli alcolici sono rivenduti per il consumo nel mercato nazionale, e riservando inoltre gli sconti di prezzo unicamente alle vendite di alcolici destinati ad essere rivenduti e consumati nel Regno Unito, restringono la libertà dei suddetti clienti di rivendere i prodotti in questione in un altro Paese della CEE (…).

L’inapplicabilità degli sconti alle vendite di alcolici destinati all’esportazione e l’applicazione, nei confronti degli stessi clienti, di prezzi diversi per gli alcolici destinati all’esportazione e per quelli destinati al consumo nel Regno Unito, costituiscono un chiaro tentativo di impedire le importazioni parallele dal Regno Unito negli altri paesi della CEE ed equivalgono pertanto a un divieto espresso di esportazione (n. 2, p. 25).

[7] Importante comunque sottolineare il fatto, che il Regolamento 330/2010, contrariamente al precedente 2790/1990, non menziona la clausola di esclusiva “aperta”, ma la stessa risulta esentata “automaticamente” in base al principio della liceità di tutte le clausole non espressamente vietate, statuito all’art. 2 del Regolamento.

[8] Le Line Guida della Commissione (LGC o Orientamenti) al punto 51, definiscono vendite attive: “il contatto attivo con singoli clienti ad esempio per posta, compreso mediante l’invio di messaggi di posta elettronica non sollecitati, o mediante visite ai clienti; oppure il contatto attivo con uno specifico gruppo di clienti, o con clienti situati in uno specifico territorio attraverso inserzioni pubblicitarie sui media o via Internet o altre promozioni specificamente indirizzate a quel gruppo di clienti o a clienti in quel territorio. La pubblicità o le promozioni che sono interessanti per l’acquirente soltanto se raggiungono (anche) uno specifico gruppo di clienti o clienti in un territorio specifico, sono considerati vendite attive a tale gruppo di clienti o ai clienti in tale territorio.”

[9] Le LGC, punto 51, definiscono vendite passive: “la risposta ad ordini non sollecitati di singoli clienti, incluse la consegna di beni o la prestazione di servizi a tali clienti. Sono vendite passive le azioni pubblicitarie o promozioni di portata generale che raggiungano clienti all’interno dei territori (esclusivi) o dei gruppi di clienti (esclusivi) di altri distributori, ma che costituiscano un modo ragionevole per raggiungere clienti al di fuori di tali territori o gruppi di clienti, ad esempio per raggiungere clienti all’interno del proprio territorio. Le azioni pubblicitarie o promozioni di portata generale sono considerate un modo ragionevole per raggiungere tali clienti se è interessante per l’acquirente attuare tali investimenti anche se non raggiungono clienti all’interno del territorio (esclusivo) o del gruppo di clienti (esclusivo) di altri distributori

[10] LGC n. 52

[11] C-439/09, Pierre Fabre del 13.10.2011.

[12] C-230/16, Coty Germany del 6.12.2017.

[13] https://www.bbmpartners.com/news/La-decisione-Guess-della-Commissione-Europea-Una-prima-analisi

[14] Si rimanda in materia Dr. Thume “Paralleler Online-Vertrieb des Herstellers im Spannungsfeld seiner Dispositionsfreiheit und Treuepflicht”, Betriebs-Berater, 15.2018, pag. 770.

[15] Ciò significa che l’applicazione di tale sistema a tipologie di prodotti non “adeguate”, comporta il rischio, di una (seppure ipotetica) revoca dell’esenzione da parte della Commissione, ovvero dell’Autorità garante, per gli accordi che producano effetti esclusivamente sul mercato interno. Sul tema cfr. Pappalardo, Il diritto della concorrenza dell'Unione Europea, 2018, pag. 405, UTET.

[16] Ordinanze del 19 novembre 2018 e 18 dicembre 2018 del Tribunale di Milano. https://sistemaproprietaintellettuale.it/notizie/angolo-del-professionista/13754-distribuzione-selettiva-di-cosmetici-di-lusso-il-tribunale-di-milano-chiarisce-i-presupposti-per-l-esclusione-del-principio-dell-esaurimento-del-marchio.html