Provvigioni su affari conclusi dopo lo scioglimento

Diritto dell'agente alle provvigioni su affari conclusi dopo la cessazione del rapporto.

Quando il rapporto di agenzia viene a cessare, spesso accade che l'agente ha segnalato alcuni affari, oppure ha semplicemente iniziato delle trattative che sono confluite in un accordo a seguito dello scioglimento del contratto.

In alcune (più rare ipotesi), l’agente ha concluso prima dello scioglimento del rapporto dei contratti di lunga durata.

Comprendere se l'agente ha diritto o meno alle provvigioni su affari conclusi dopo lo scioglimento è di essenziale importanza

Per comprendere se l'agente ha diritto alle provvigioni su affari conclusi dopo lo scioglimento del contratto, bisogna in prima analisi individuare quali tra questi affari rientrino sotto il rapporto terminato e quali invece debbano considerarsi esclusi, posto che proprio da ciò si determina l’effettiva maturazione o meno della provvigione.

Con questo articolo si va in prima sede ad analizzare brevemente la fattispecie più tipica, relativa appunto agli affari conclusi dopo lo scioglimento del rapporto, per poi approfondire la più rara (ma non per questo meno importante) ipotesi di contratti di lunga durata, che sono stati conclusi prima dello scioglimento del rapporto di agenzia.


1. Provvigioni su contratti conclusi dopo lo scioglimento del contratto.
1.1. La disciplina civilistica.

A seguito della chiusura di un rapporto di agenzia spesso accade che l’agente ha segnalato al preponente determinati affari, ovvero abbia iniziato alcune trattative che sono confluite in un accordo a seguito dello scioglimento del contratto. In tali casi bisogna comprendere quali tra questi affari rientrino sotto il rapporto terminato e quali invece debbano considerarsi esclusi, posto che da ciò si determina l’effettiva maturazione o meno della provvigione.

Tale questione viene regolata dal terzo comma dell’1748 c.c., che dispone l’agente ha diritto alla provvigione sugli affari conclusi dopo la data di scioglimento del contratto se:

  • “la proposta è pervenuta al preponente o all’agente in data antecedente o
  • gli affari sono conclusi entro un termine ragionevole dalla data di scioglimento del contratto e la conclusione è da ricondurre prevalentemente all’attività da lui svolta, salvo che da specifiche circostanze risulti equo ripartire la provvigione tra gli agenti intervenuti.”

Tale impostazione[1] è volta ad evitare che il preponente possa correre il rischio di pagare una doppia provvigione: una all’agente uscente ed una a quello entrante.[2] In caso di scioglimento del rapporto, pertanto, l’agente avrà diritto alla provvigione:

  • se ha inoltrato l’ordine al preponente prima dello scioglimento del contratto, oppure se il preponente lo ha ricevuto direttamente dal cliente di zona (nel caso in cui spetti all’agente la provvigione indiretta);
  • negli altri casi, la provvigione è dovuta unicamente se l’affare è stato concluso entro un termine ragionevole dalla data di scioglimento del contratto e la conclusione è da ricondurre prevalentemente all’attività svolta dall’agente stesso.

Richiede certamente maggiore attenzione la seconda ipotesi, ossia quella che riconosce la provvigione all’agente, anche se la proposta è pervenuta dopo lo scioglimento del rapporto, purché la stipula sia avvenuta entro un termine ragionevole.

Uno dei maggiori problemi interpretativi è individuare cosa si debba intendere per “termine ragionevole”, ossia quale sia la durata temporale massima, perché possa riconoscersi all’agente ancora il diritto alla provvigione. Sul punto la giurisprudenza non è uniforme, si legge di casi che hanno fissato tale termine in sei mesi[3] ed altri che hanno ritenuto ragionevole un termine addirittura biennale.[4] Si deve comunque ritenere che la ragionevolezza del termine debba essere parametrata anche in base al settore merceologico in cui l’agente ha operato ed agli usi in vigore in tale rapporto.

1.2 La disciplina AEC.

Certamente più chiara è la disciplina degli AEC Industria 2014, che all'art. 6, ultimo comma, prevedono che l’agente ha diritto alla provvigione sugli affari proposti e conclusi anche dopo lo scioglimento del contratto, non solo se la conclusione dell’affare sia effetto della sua attività, ma altresì la subordinano al fatto che:

  • all’atto della cessazione del rapporto, l’agente deve relazionare dettagliatamente la preponente sulle trattative commerciali intraprese, ma non concluse, a causa dell’intervenuto scioglimento del contratto di agenzia;
  • qualora, nell’arco di sei mesi dalla data di cessazione del rapporto, alcune di tali trattative vadano a buon fine, l’agente avrà diritto alle relative provvigioni;
  • decorso tale termine, la conclusione di ogni eventuale ordine, inserito o meno nella relazione dell’agente, non potrà più essere considerata conseguenza dell’attività da lui svolta e non sarà quindi riconosciuta alcuna provvigione;
  • alcuna provvigione sarà dovuta per gli affari conclusi anche entro sei mesi, ma non indicati all’interno della relazione.

2. Il diritto alle provvigioni sui contratti di lunga durata.

Nel caso in cui l’agente nel corso del rapporto promuova contratti di durata, il diritto alla provvigione sulle forniture effettuate in esecuzione del contratto procurato successivamente allo scioglimento del rapporto, dipende essenzialmente dalla natura del contratto di durata.

In linea di massima, nel caso in cui il contratto di durata sia un contratto di somministrazione, di subfornitura, ovvero un contratto di vendita a consegne ripartite, si può affermare che (salvo non sia stato diversamente pattuito),[5] l’agente abbia diritto alla provvigione su tutte le forniture effettuate anche a seguito dello scioglimento del contratto di agenzia, essendo questi di fatto atti di esecuzione di un contratto concluso nel corso del rapporto.

Contrariamente, qualora il contratto promosso sia un contratto quadro, in cui ciascuna fornitura deve formare oggetto di un ulteriore accordo (ordine - accettazione), in tal caso le singole forniture dovranno essere considerate come contratti di vendita indipendenti,[6] seppure conclusi nel contesto del contratto quadro, con la conseguenza che tali successivi contratti di vendita non daranno diritto alla provvigione (fatto salvo che l’agente non riesca a dimostrare che tali affari, siano riconducibili alla sua attività di promozione e siano stati conclusi entro un termine ragionevole).

Proseguendo con il ragionamento, nel caso in cui, invece, il rapporto di durata venga sottoscritto dal preponente a seguito dello scioglimento del rapporto, per comprendere se l’agente possa avere diritto alla provvigione, non sarà sufficiente accertare la natura del rapporto di durata, ma, altresì, dimostrare che la conclusione dell’affare, sia riconducibile all’attività di promozione dell’agente.

Si richiama qui di seguito un caso molto interessante,[7] che è stato deciso da una serie di tre sentenze del Tribunale di Grosseto, avente ad oggetto la seguente fattispecie: un agente, a seguito di gravose trattative protrattesi per diversi mesi, aveva procurato alla preponente (una società che opera nel settore degli alimenti surgelati) un affare con una catena di supermercati, avente ad oggetto la somministrazione a tempo indeterminato di piatti pronti surgelati e preconfezionati. Il contratto di somministrazione veniva stipulato qualche mese dopo lo scioglimento del rapporto di agenzia.

L’agente conveniva in giudizio la preponente, affinché gli venissero riconosciute le provvigioni sulle forniture effettuate in esecuzione del contratto di somministrazione. Con sentenza n. 52/2012 il Tribunale di Grosseto accoglieva le richieste attoree, ritenendo che:

il contratto di somministrazione, è stato formalmente stipulato […] poco più di due mesi dopo lo scioglimento del contratto di agenzia […], termine che deve essere considerato, per la sua oggettiva brevità, assolutamente ragionevole.

Seppure il Tribunale avesse accertato il diritto dell’agente alle provvigioni, ha respinto la domanda attorea, volta ad ottenere la condanna del preponente al pagamento delle stesse

fino al termine del contratto di somministrazione […] in quanto si tratterebbe di una pronuncia di condanna “in futuro” correlata, per di più ad un termine che nel contratto di somministrazione non è stato individuato dalle parti, giacché lo stesso contratto risulta essere stato stipulato a tempo indeterminato.”

L’agente, qualche anno dopo l’emanazione della prima sentenza, ha promosso un ulteriore giudizio, con il quale ha domandato la condanna della preponente al pagamento delle provvigioni sulle forniture eseguite dopo l’accertamento peritale di cui al primo giudizio. L’agente ha fondato la propria richiesta, sul principio di cui all’art. 2909 c.c., in base al quale l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti. Il Tribunale ha condannato nuovamente la preponente, asserendo che

il diritto ad ottenere il pagamento delle provvigioni via via che matureranno in relazione all’esecuzione protratta nel tempo del contratto di somministrazione, è pacifico e già accertato nella sentenza irrevocabile emessa da questo Ufficio con conseguente applicazione dell’effetto revulsivo previsto dall’art. 2909 (sul punto tra le tante Cass. Sez. Lav. 2001 n. 4304).”

A seguito di tale pronuncia, al fine di evitare il pagamento delle provvigioni sugli affari futuri, la preponente ha provveduto a cedere di fatto l’affare  ad una società dello stesso gruppo, anch’essa attiva nel settore degli alimenti surgelati. L’agente è ricorso, quindi, nuovamente al Tribunale di Grosseto, sostenendo che la cessione del contratto di durata ex art. 1406 c.c., comportava l’obbligo del cessionario di provvedere al pagamento delle provvigioni. Il Tribunale di Grosseto,[8] sposava nuovamente la tesi dell’attore, affermando che:

poiché la caratteristica della cessione del contratto ex art. 1406 c.c. è l’avere ad oggetto la trasmissione di un complesso unitario di situazioni giuridiche attive e passive che derivano da ciascuna delle parti del contratto […], la cessionaria sarà tenuta a corrispondere al ricorrente le provvigioni – nella stessa misura convenuta nel contratto di agenzia à sulle forniture di prodotti alimentari surgelati effettuate in favore della X srl.


3. Provvigioni su contratti di lunga durata ed indennità di fine rapporto.

Da ultimo, si tiene altresì a sottolineare, che la sottoscrizione di contratti di durata, possa essere utilizzato come elemento determinante per provare che sussistono le condizioni richieste dall’art. 1751 c.c., perché scaturisca il diritto dell’agente a percepire l’indennità di fine rapporto (cfr. Indennità di fine rapporto dell’agente. Come si calcola se non si applicano gli AEC?). Si legge in una interessante sentenza della Cassazione che:

L'indennità di cessazione del rapporto di agenzia compensa l'agente per l'incremento patrimoniale che la sua attività reca al preponente sviluppando l'avviamento dell'impresa. Ne consegue che tale condizione deve ritenersi sussistente, ed è quindi dovuta l'indennità, ove i contratti conclusi dall'agente siano contratti di durata, in quanto lo sviluppo dell'avviamento e la protrazione dei vantaggi per il preponente, anche dopo la cessazione del rapporto di agenzia, sono in re ipsa”.[9]


[1] Articolo riformato con D.Lgs. n. 65/1999, con il quale il legislatore ha recepito i principi della Direttiva europea n. 86/653 e, in particolare, di cui all’art. 8 che così dispone: “Per un'operazione commerciale conclusa dopo l'estinzione del contratto di agenzia, l'agente commerciale ha diritto alla provvigione; a) se l'operazione è dovuta soprattutto al risultato dell'attività da lui svolta durante il contratto di agenzia e se l'operazione è conclusa entro un termine ragionevole dopo l'estinzione del contratto, o b) se, conformemente alle condizioni di cui all'articolo 7, l'ordinazione effettuata dal terzo è stata ricevuta dal preponente o dall'agente commerciale prima dell'estinzione del contratto di agenzia.”

[2] Cfr. Tribunale di Rimini, 22.9.2004, n. 238 che ha escluso il diritto dell’agente alle provvigioni in caso di proroghe delle offerte di fornitura, stante l’assenza del preponderante intervento promozionale dell’ex agente. Sul punto cfr. VENEZIA, Il contratto di agenzia, pag. 281, 2015, CEDAM.

[3] Cass. Civ. 2006, n. 2824, in Leggi d’Italia

[4] Cass. Civ. 2013, n. 894, in Leggi d’Italia

[5] L’art. 1748 comma 3 c.c., sulle provvigioni spettanti per affari conclusi dopo lo scioglimento del contratto è interamente derogabile: a favore Saracini-Toffoletto, Il contratto di agenzia. Commentario, 2014, GIUFFRÈ e Bortolotti, opera cit., pag. 276; contrario, Trioni, che ritiene che tale norma non è inderogabile, posto che il terzo comma dell’art. 1748 c.c., diversamente dal secondo e quarto, non prevede espressamente la salvezza dei patti contrari.

[6] Cfr. sul punto BORTOLOTTI, Concessione di Vendita, Franchising e altri contratti di distribuzione, pag. 8, 2007, CEDAM.

[7] Per maggiori approfondimenti cfr. Giulia Cecconi, Le provvigioni sui contratti di durata, in Agenti e rappresentanti di commercio, 1/2019, AGE EDITRICE.

[8] Tribunale di Grosseto, sentenza n. 269 del 2018.

[9] Cass. Civ. sez. lav. n. 24776 del 2013.


procacciatore d'affari

Procacciatore d'affari e provvigioni: quando il diritto alle provvigioni è subordinato alla comunicazione di inizio attività

Con una recente sentenza le Sezioni Unite della Cassazione hanno affermato che che chi esercita l'attività di procacciatore d'affari senza avere comunicato l'inizio attività è tenuto alla restituzione alle parti contraenti delle provvigioni percepite.

Il ragionamento della Corte è assai complesso e tortuoso a causa di un assai tortuoso e poco lineare tessuto normativo.

Per comprendere i motivi che hanno spinto le Sezioni Unite ad affermare che il diritto alle provvigioni del procacciatore d'affari è subordinato all'obbligo di inizio attività, bisogna fare qualche passo indietro e ripercorrere quello che è stato il percorso normativo che ha disciplinato una figura assai analoga al procacciatore d'affari, ossia il mediatore, e quindi comprendere come tali interventi normativi possano avere avuto ripercussioni così gravi sui procacciatori stessi.

1. L'abolizione del ruolo dei mediatori.

Fino al 2010 il ruolo dei mediatori era disciplinato dall’art. 2 L. 1989/39, che imponeva l'obbligo di iscrizione a tutti i soggetti che svolgevano attività di mediazione, anche se in modo discontinuo o occasionale. Il ruolo era suddiviso in tre sezioni:

  • una per gli agenti immobiliari,
  • una per gli agenti merceologici ed
  • una per gli agenti muniti di mandato a titolo oneroso.

L’art. 73 del D. Lgs 26.03.2010, n. 59 ha abrogato l’art. 2 della L. 1989/39, andando così a sopprimere i ruoli qui sopra elencati.

A seguito di tale modifica legislativa lo svolgimento dell’attività di mediatore immobiliare è unicamente condizionata alla:

  • DIA (Dichiarazione Inizio Attività) – ora SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività) – corredata delle autocertificazioni e delle certificazioni attestanti il possesso dei requisiti richiesti;
  • verifica dei requisiti da parte della Camera di Commercio territorialmente competente e conseguente iscrizione dei mediatori nel RI (Registro delle Imprese) se l’attività è svolta in forma di impresa, ovvero in un’apposita sezione del REA (Repertorio delle notizie Economiche e Amministrative).

Posto che il D.lgs. 2010/59 ha soppresso il ruolo dei mediatori, ma non ha abrogato integralmente la Legge 1989/39, ci si è chiesti come dovesse essere interpretato l’articolo 6 di tale testo normativo, che subordina il diritto del mediatore alla provvigione, alla sua regolare iscrizione al ruolo. L'art. 6 così recita:

"hanno diritto alla provvigione soltanto coloro che sono iscritti nei ruoli".

La Giurisprudenza maggioritaria[1] si è espressa, affermando che hanno diritto a ricevere la provvigione solo i mediatori che abbiano segnalato l'inizio della propria attività alla Camera di Commercio competente e siano stati regolarmente iscritti nei registri delle imprese o nei repertori tenuti da tale Ente. Si legge, infatti, che:

la L. n. 39 del 1989, art. 6, secondo cui <hanno diritto alla provvigione soltanto coloro che sono iscritti nei ruoli>, va interpretata nel senso che, anche per i rapporti di mediazione sottoposti alla normativa prevista dal D.Lgs. n. 59 del 2010, hanno diritto alla provvigione solo i mediatori che siano iscritti nei registri delle imprese o nei repertori tenuti dalla camera di commercio.”

2. Differenza tra procacciatore d'affari e mediatore.

Ciò chiarito, ci si è chiesti se a tale obbligo di segnalazione dovessero essere assoggettati unicamente i mediatori, ovvero anche i procacciatori d'affari, che di fatto svolgono attività di intermediazione.

Prima di dare una risposta a tale quesito è necessario comprendere brevemente la distinzione tra mediatore e procacciatore d’affari. Ai sensi dell’art. 1754 c.c., mediatore, è colui che

mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, dipendenza o rappresentanza”.

Il mediatore svolge, pertanto, la propria attività senza vincoli ed incarichi, in una posizione di imparzialità ed autonomia.[2]

Contrariamente, il procacciatore d’affari agisce in quanto incaricato da una delle parti, venendo così meno il requisito dell’indipendenza. Una sentenza del 2016 della Corte di Cassazione, che conferma un orientamento ormai consolidato, distingue le due figure asserendo che:

la mediazione ed il contratto atipico di procacciamento d'affari si distinguono sotto il profilo della posizione di imparzialità del mediatore rispetto a quella del procacciatore il quale agisce su incarico di una delle parti interessate alla conclusione dell'affare e dalla quale, pur non essendo a questa legato da un rapporto stabile ed organico (a differenza dell'agente) può pretendere il compenso.  

La Corte prosegue, analizzando anche ciò che accomuna tali figure, ossia:

“l'elemento della prestazione di una attività di intermediazione finalizzata a favorire fra terzi la conclusione degli affari.

La Giurisprudenza ha considerato che entrambe le figure svolgono di fatto attività di “intermediazione”, ha inquadrato il procacciatore d'affari come mediatore "atipico", che si distingue dal mediatore c.d. tipico, appunto per il carattere della "parzialità".

Stante l'inserimento del procacciatore nella "categoria dei mediatori", è sorta consequenziale la seguente domanda: il procacciatore deve anch'esso adempiere all’obbligo di comunicazione di inizio attività? La questione non era (e non è) priva di conseguenze pratiche, posto che, come si è già qui sopra accennato, la mancata segnalazione di inizio attività alla Camera di Commercio competente, fa venire meno, ex art. 6 L 1989/39, al diritto del mediatore alle provvigioni.

Sul punto sono intervenute le Sezioni Unite della Cassazione, che con sentenza n. 19161 2017, in primo luogo hanno confermato essere:

configurabile, accanto alla mediazione ordinaria, una mediazione negoziale cosiddetta atipica, fondata su un contratto a prestazioni corrispettive, con riguardo anche a una sola soltanto delle parti interessate (c.d. mediazione unilaterale).

In secondo luogo hanno altresì affermato che:

“proprio per il suo estrinsecarsi in attività di intermediazione, rientra nell’ambito di applicabilità della disposizione prevista dall’art. 2, comma 4, della legge 39/89, che, per l’appunto, disciplina anche ipotesi atipiche di mediazione per il caso il cui oggetto dell’affare siano beni immobili o aziende.

Contrariamente, ove oggetto dell’affare siano i beni mobili:

l’obbligo di iscrizione sussiste solo per chi svolga la detta attività in modo non occasionale e quindi professionale o continuativo.

Pertanto, l'obbligo di iscrizione ai registri dei mediatori, si estende anche a tutti i procacciatori d'affari che svolgono attività di intermediazione di beni immobili o aziende (anche occasionalmente), ovvero di beni mobili (in via professionale).

La sanzione per la mancata segnalazione è piuttosto rigida, ed è disciplinata dall'art. 8 L. 1989/39:

Chiunque esercita l'attività di mediazione senza essere iscritto nel ruolo è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma compresa tra lire un milione e lire quattro milioni ed è tenuto alla restituzione alle parti contraenti delle provvigioni percepite."

3. Differenza tra agente di commercio e mediatore.

A questo punto, si ritiene opportuno effettuare una brevissima analisi della distinzione tra agente di commercio e mediatore, che viene così riassunta dalla sentenza delle Sezioni Unite oggetto di esaminata:

[il mediatore]agisce in posizione di terzietà rispetto ai contraenti posti in contatto, a tale stregua differenziandosi dall'agente di commercio, che attua invece una collaborazione abituale e professionale con altro imprenditore.”

Il motivo per cui ci si sofferma su questa distinzione è volta a sottolineare il fatto che, seppure anche l'agente di commercio sia tenuto a segnalare l'inizio della propria attività (l'art. 74 della Legge 2010/59, ha abrogato oltre al ruolo dei mediatori, anche quelli degli agenti), l’inadempimento a tale onere non comporta il venir meno al diritto alle provvigioni: non è infatti prevista nella Legge 1985/204, che disciplina appunto l'attività degli agenti di commercio, una sanzione simile o paragonabile a quella oggetto di esamina del presente articolo.

- Leggi anche: Differenze tra contratto di agenzia e procacciatore d'affari.

Tenendo conto di tale sostanziale differenza tra agente e mediatore (tipico o atipico), si consiglia di verificare con il proprio consulente, nel caso in cui un preponente contestasse al procacciatore il versamento delle provvigioni per la mancata iscrizione al registro dei mediatori, se l’attività svolta dal procacciatore debba effettivamente considerarsi tale ovvero, contrariamente, debba essere ritenuta un’attività di agenzia “camuffata” da attività di procacciatore d’affari.

_________________________

[1] Sul punto cfr. Cass. Civ. n. 762 del 2014; Cass. Civ. n. 10125 del 2011, Cass. Civ. n. 16147 del 2010.

[2] Sul punto cfr. Cass. Civ. n. 16382 del 2009.


Il diritto dell'agente alle provvigioni: quando è obbligato il preponente al pagamento?

La provvigione è di norma il mezzo principale per la remunerazione dell’agente, costituita da una percentuale correlata al valore dell’affare promosso dall’agente stesso. Il codice civile, disciplina il diritto alla provvigione all’art. 1748 c.c. Nello specifico, il primo comma di tale articolo dispone che:

Per tutti gli affari conclusi durante il contratto l’agente ha diritto alla provvigione quando l’operazione è stata conclusa per effetto del suo intervento.”

Inoltre il quarto comma dell’art. 1748 c.c. così recita:

L’agente è tenuto a restituire le provvigioni riscosse solo nella ipotesi e nella misura in cui sia certo che il contratto tra il terzo e il preponente non avrà esecuzione per cause non imputabili al preponente.

L’agente, pertanto, ha diritto alla provvigione solamente se vi è la conclusione di un contratto tra preponente ed il terzo; ad ogni modo la provvigione non è dovuta e, nel caso fosse stata già pagata all'agente, deve essere restituita al preponente, qualora il terzo non esegua il contratto, per cause non imputabili al preponente stesso.

Gli articoli sopra riportati, indicano quelli che sono i presupposti perché nasca in capo all'agente il diritto a percepire la provvigione. Tale momento deve però essere assolutamente distinto dal momento della maturazione della provvigione stessa, ossia quando l'agente potrà pretenderne il pagamento (cfr. sul punto anche Lo "star del credere" nel contratto di agenzia).

Tale distinzione si evince da una lettura dell'’art. 1748, quarto comma, c.c.:

Salvo che sia diversamente pattuito, la provvigione spetta all’agente dal momento e nella misura in cui il preponente ha eseguito o avrebbe dovuto eseguire la prestazione in base al contratto concluso con il terzo. La provvigione spetta all’agente, al più tardi, inderogabilmente, dal momento e nella misura in cui il terzo ha eseguito o avrebbe dovuto eseguire la prestazione qualora il preponente avesse eseguito la prestazione a suo carico."

Dalla lettura di tale norma, si evince che vi sono due distinti momenti da cui dipende l’effettiva maturazione della provvigione:

  • quando la prestazione viene eseguita da parte del preponente (il cosiddetto criterio "generale");
  • al più tardi, ed inderogabilmente, quando la prestazione è stata eseguita da parte del terzo (il buon andamento dell'affare).

Con riferimento al primo punto, la provvigione matura da quando il preponente esegue la propria prestazione, o avrebbe dovuta eseguirla in virtù del contratto stipulato con il terzo (ossia il cliente). Tale disciplina costituisce il cosiddetto regime “generale”, che si applica ogni volta in cui le parti non abbiamo concordato una diversa pattuizione contrattuale.

Sul punto, bisogna certamente sottolineare che la norma non fa espressamente riferimento al solo momento in cui il preponente esegue la propria prestazione, bensì  a quello in cui egli avrebbe dovuto eseguirla, secondo gli accordi che questi aveva preso con il cliente.

Si pensi al classico esempio in cui il preponente si impegna a consegnare la merce entro una determinata data: qualora il preponente non invii la merce entro tale data, la provvigione sarà comunque dovuta all’agente, in quanto la mancata esecuzione della prestazione è imputabile ad un inadempimento del preponente.

Un aspetto interessante è che l’articolo obbliga il preponente a pagare la provvigione all’agente, solamente nel caso in cui lo stesso sia effettivamente tenuto ad eseguire la prestazione in virtù del contratto. Questo comporta che qualora l'inadempimento del preponente sia dovuto a cause ad esso non imputabili, viene meno il diritto dell’agente al pagamento della provvigione stessa.

Riprendendo il caso qui sopra analizzato, ossia la consegna della merce: se il preponente non ha inviato la merce per cause di forza maggiore, ovvero perché il cliente non ha provveduto al pagamento della merce venduta o al saldo dell’acconto, secondo le modalità concordate tra le parti, il preponente non sarà più tenuto al versamento della provvigione.

Pertanto, il diritto alla provvigione matura, salvo che non sia diversamente pattuito tra le parti, quando la mancata prestazione da parte del preponente costituisca un inadempimento nei confronti del terzo.

Il criterio generale qui sopra descritto è comunque derogabile dalle parti, che possono accordarsi diversamente, posticipando ovvero anticipando il momento in cui matura il diritto alla provvigione, ancorandolo ad un momento differente rispetto all’adempimento del preponente.

Tale facoltà riconosciuta ai contraenti, trova un limite massimo inderogabile, che viene sancito alla seconda frase dell’art. 1748, comma 4, c.c.:

la provvigione spetta all’agente, al più tardi, inderogabilmente, dal momento e nella misura in cui il terzo ha eseguito o avrebbe dovuto eseguire la prestazione qualora il preponente avesse eseguito la prestazione a suo carico."

Ciò significa, in buona sostanza, che è possibile posticipare la maturazione delle provvigioni, sino a quanto viene effettuato il pagamento da parte del terzo, ossia al più tardi al buon esito dell’affare. Tale ultima ipotesi, deve comunque essere sempre subordinata al fatto che il preponente abbia eseguito la propria prestazione. In buona sostanza, il riferimento al momento in cui il terzo avrebbe dovuto eseguire la prestazione deve essere interpretato nel senso che l’agente potrà ritenere esigibile la provvigione anche in caso di mancato pagamento da parte del cliente, però esclusivamente nel caso in cui ciò derivi dall’inadempimento del preponente (cfr. sul punto Venezia-Baldi, Il contratto di agenzia, pag. 273, Giuffrè Editore, 2014).

Con i seguenti esempi si cerca di rendere più chiaro, la fattispecie qui sopra descritta:

  • il preponente consegna correttamente la merce al cliente, il quale, nonostante l’adempimento del preponente, non paga il prezzo della merce entro i termini convenuti: in questo caso non si può considerare che il preponente sia obbligato al pagamento della provvigione, posto che l’inadempimento del terzo, non è giustificato da un inadempimento dello stesso preponente
  • il preponente consegna della merce sbagliata al cliente, il quale, non provvede al pagamento del prezzo entro il termine convenuto. In questo caso, si può ragionevolmente ritenere che il pagamento delle provvigioni sia dovuto, in quanto l’inadempimento del terzo è causato dall’inadempimento dello stesso preponente ( sul punto cfr. Bortolitti, Contratti di distribuzione, pag. 285, 2016, Wolters Kluver).