geoblocking, diritto antitrust

Vendere online all'estero: legge applicabile, geoblocking e diritto antitrust.

Il presente articolo è volto a fornire al lettore degli spunti per strutturare una strategia di vendita online indirizzata ai mercati esteri, che tenga conto delle normative comunitarie sul geoblocking, delle normative dei Paesi in cui si intende esportare e, non da ultimo, del diritto antitrust.

1. Geoblocking: cos’è e quando si applica?

In primo luogo bisogna
analizzare la recente disciplina europea, introdotta con Reg.
28 febbraio 2018, n. 302/2018
, in vigore dal 3 settembre 2018, recante
misure volte a impedire i blocchi geografici ingiustificati (conosciuta anche
come “geoblocking”).

Il geoblocking è stato introdotto dall’UE con
il fine di assicurare che venga correttamente applicato anche al mercato
elettronico, uno dei principi fondanti dell’Unione Europea: la libera circolazione
delle merci.

Il nuovo Regolamento, si
propone dunque di impedire i blocchi geografici ingiustificati o altre forme di
discriminazione basate, direttamente o indirettamente, sulla nazionalità, sul luogo
di residenza o stabilimento dei clienti.

L’art. 3 di tale regolamento dispone
infatti che:

Un professionista [ossia un imprenditore/impresa]
non può bloccare o limitare attraverso l’uso di strumenti tecnologici o
in altro modo, l’accesso di un cliente alla sua interfaccia online per
motivi legati alla nazionalità, al luogo di residenza o al luogo di stabilimento
del cliente.”

Tale articolo prosegue:

“Un professionista
non può per motivi legati alla nazionalità
, al luogo di residenza, o al
luogo di stabilimento di un cliente, reindirizzare tale cliente ad una versione
della sua interfaccia online diversa da quella cui il cliente desiderava
accedere inizialmente
, per via della sua struttura della lingua usata o di
altre caratteristiche che la rendono specificamente destinata ai clienti con
una particolare nazionalità, luogo di residenza o luogo di stabilimento, a
meno che il cliente non vi abbia esplicitamente acconsentito
.”

Da un punto di vista concreto, il
Regolamento vieta la pratica per la quale venga impedito ad un utente, ad
esempio francese, di comperare un prodotto su sito italiano, in quanto viene reindirizzato
automaticamente su altro sito designato a gestire i clienti francesi.

Attenzione, con ciò non si
intente che il professionista non possa usare diverse versioni della propria
interfaccia online, al fine di rivolgersi a clienti provenienti da
Stati membri diversi[1]
(ad esempio la versione in lingua tedesca, per il mercato tedesco, quella
francese per la Francia, etc.), ma impone che le diverse versioni pensate per i
differenti mercati, possano essere accessibili da tutti i paesi dell’UE (un
francese, può vedere il sito italiano e le condizioni di vendita ivi contenute).

Sul punto, l’art. 3, comma 2,
punto 2 del Regolamento chiarisce infatti che:

in caso di reindirizzamento con l’esplicito
consenso del cliente, la versione dell’interfaccia online del professionista
cui il cliente desiderava accedere inizialmente deve restare facilmente accessibile
al cliente in questione.”

Ne consegue che il professionista non solo sarà libero di utilizzare diverse versioni della propria interfaccia online per rivolgersi a clienti provenienti da Stati membri diversi, ma anche di reindirizzare automaticamente il cliente ad una determinata versione dell’interfaccia, qualora l’utente abbia espresso il proprio consenso esplicito[2] ed a condizione che l’utente sia comunque libero di accedere a tutte le altre versioni della stessa interfaccia.


2. Geoblocking significa che devo vendere ovunque?

Un punto va chiarito: il nuovo Regolamento
cancella il blocco, ma non obbliga a vendere fuori dal proprio Paese.

Il geoblocking non limita la possibilità di decidere
di commercializzare i propri prodotti online in determinati Paesi, bensì vieta
che se il sito prevede la consegna unicamente in determinati paesi (per
semplificare, in Italia), venga impedito al cliente di altro Paese comunitario (Germania)
di acquistare online quel prodotto, ove accetti la consegna in Italia.[3]

Inoltre, se si prevede la commercializzazione
in più Paesi è consentita una differenziazione di prezzi, per tener conto, ad esempio,
dei diversi costi da sostenere per la consegna della merce, purché la scelta
non avvenga in maniera discriminatoria.

Infatti, l’art. 4, comma 1 del Regolamento
dispone che il geoblocking:

non impedisce ai professionisti di offrire condizioni generali di accesso, ivi compresi prezzi di vendita netti, che siano diverse tra Stati membri o all’interno di uno Stato membro e che siano offerte a clienti in un territorio specifico o a gruppi specifici di clienti su base non discriminatoria.”


3. A chi rivolgo la vendita?

Posto che la proposta di
vendita inserita online sul proprio sito comporta che la stessa sia visibile
da parte di tutti gli utenti della rete, in assenza di precisazioni si
applicherebbe la disciplina generale che prevede che se il professionista dirige
la propria attività di vendita in un determinato Stato estero, implicitamente fa
ritenere che la vendita sia rivolta anche ai clienti domiciliati in quel determinato
Paese.

Ne consegue che se il sito è
tradotto in tedesco è implicito che la vendita venga rivolta nei confronti di Germania,
Austria, Lichtenstein e Lussemburgo, così come se è tradotto in inglese, che la
stessa venga promossa nei confronti di (quasi) tutto il mondo.

Seppure la scelta di “massima
apertura” possa sembrare commercialmente molto conveniente, si invita a valutarla
prudenzialmente, avendo la stessa notevoli ripercussioni giuridiche (principalmente
collegate alla legge applicabile ai singoli contratti di vendita ed alla
violazione di eventuali norme straniere), fiscali (in particolare con
riferimento alla soggezione della transazione all’IVA del Paese di domicilio dell’acquirente)
e doganali (in caso di vendita Extra UE).

Pertanto, affinché non vi siano dubbi, una volta che si è valutato in quali Paesi si intende dirigere effettivamente la propria attività di vendita, è consigliato indicarlo direttamente nel sito e nelle condizioni generali di vendita.


4. Da quale legge e disciplinata la vendita?

Se le vendite sono rivolte solamente
ad un mercato (ad es., per semplificare, l’Italia), con consegna della merce
nel territorio di tale Paese e l’acquirente è un consumatore domiciliato in un diverso
Paese (ad es. Germania), che richiede che la consegna della merce avvenga in
Italia, tale vendita sarà regolata dal diritto italiano, senza che ci si debba preoccupare
di prevedere nelle condizioni generali di vendita di rispettare eventuali norme
imperative previste dalla Germania. [4]

Diverso discorso, invece, nel caso in cui l’ordine parte dalla Germania e la consegna della merce avvenga in territorio tedesco, in tal caso, la legge applicabile al contratto di vendita sarà il diritto tedesco e, nel caso in cui l’utente finale è un consumatore, tale scelta non potrà essere derogata, neppure con il consenso scritto delle parti.[5]


5. Violazione degli obblighi di informazione e normative straniere.

Se il sito prevede la vendita
anche in Paesi diversi dall’Italia, sarà necessario organizzarlo assicurandosi
che:

  • le condizioni generali di vendita rispettino gli obblighi di
    informazione al consumatore, di cui all’art. 6 del comma 1 della Direttiva
    2011/83/UE;[6]
  • le condizioni generali di vendita rispettino eventuali norme imperative
    dei Paesi in cui si intende esportare, diverse e/o ulteriori rispetto a quelle
    previste dalla legge italiana;
  • siano inseriti sul sito le informazioni commerciali richieste dallo
    Stato in cui si esporta.

Con riferimento ai sopracitati
obblighi informativi, si evidenzia che:

  • la limitazione alla consegna della merce deve risultare con chiarezza
    dal sito, sin dall’inizio dell’iter che porta alla conclusione del contratto, ex art. 8, comma 3 della
    Direttiva 2011/83/UE;[7]
  • dovranno essere nella lingua del consumatore (l’art. 8 comma 1 della Direttiva
    prevede l’obbligo di “informare il consumatore con un linguaggio semplice e comprensibile”).[8]

La sanzione in caso di
violazione degli obblighi d’informazione al consumatore consiste nell’estensione
del diritto di recesso da quattordici giorni, a dodici mesi e quattordici
giorni.[9]

Oltre al rischio di tale sanzione, in alcuni Paesi europei vi è altresì quello di subire una diffida e, nei casi più gravi, un’azione inibitoria davanti al Tribunale competente: la legge tedesca, ad esempio, prevede che in caso di clausole inefficaci nelle condizioni generali di vendita e di violazione delle norme a tutela dei consumatori, la diffida e/o azione inibitoria possa essere esperibile non solo dal consumatore, ma addirittura da un concorrente, ovvero da un’associazione di tutela dei consumatori.[10]


6. Possono i distributori e rivenditori vendere online?

Nel caso in cui il produttore si avvalga anche di distributori e rivenditori terzi per la commercializzazione dei propri prodotti, è opportuno ricordare brevemente quelli che sono i poteri di controllo nei confronti di tali soggetti, rimandando, per maggiori approfondimenti, alla sezione antitrust di questo blog.

Il Regolamento 330/2010 sulle vendite verticali e recenti sentenze della Corte di Giustizia Europea[11] hanno previsto che un produttore non può vietare ad un proprio distributore/rivenditore di vendere i prodotti acquistati attraverso un proprio sito internet, né commercializzare per mezzo di piattaforme digitali di terzi soggetti.

L’unico modo per limitare tale possibilità da parte di soggetti terzi è (per i prodotti di alta gamma, di lusso e tecnicamente sviluppati) quello di creare una rete distributiva selettiva, in cui i distributori e rivenditori si impegnano a vendere i beni oggetto del contratto, solamente a distributori selezionati sulla base di criteri oggettivi di carattere qualitativo stabiliti indistintamente e non discriminatorio per tutti i soggetti appartenenti alla rete.

In tal caso, secondo la più recente giurisprudenza della Corte di Giustizia,[12], un produttore è autorizzato ad imporre al proprio distributore una clausola che consente di vendere i prodotti tramite internet, ma a condizione che tale attività di vendita online sia realizzata tramite una “vetrina elettronica” del negozio autorizzato e che venga in tal modo preservata l’aurea di lusso ed esclusività di questi prodotti (sul punto cfr. il Caso Amazon e Il sistema misto: quando il produttore sceglie di adottare sia la distribuzione esclusiva, che selettiva).


[1] Confronta considerando n. 20
del Regolamento sul geoblocking.

[2] Il consenso una volta prestato, può essere ritenuto valido
anche per le visite successive dello stesso cliente alla stessa interfaccia
online, purché venga offerta la possibilità al cliente di revocarlo quando ritiene
opportuno. Sul punto cfr. considerando n. 20 del Regolamento sul geoblocking.

[3] Sul punto cfr. Stefano
Dindo, E-Wine, Aspetti gius-economici della comunicazione e distribuzione del vino
online, G. Giappichelli Editore, p. 41, 2018.

[4] In base all’art. 6, comma 1,
lett. a) e b) del Regolamento 593/2008.

[5] Cfr. nota precedente.

[6] Direttiva 2011/83/UE del
parlamento europeo e del consiglio del 25 ottobre 2011 sui diritti dei
consumatori. Importante, trattandosi di Direttiva (e non di Regolamento), la
stessa deve essere recepita con delle leggi nazionali, lasciando comunque i
Paesi membri liberi di scegliere la via normativa più consona per raggiungere gli
obiettivi ivi imposti; ne consegue che ogni Paese e libero di inserire degli
obblighi informativi ulteriori rispetto a quelli indicati nella direttiva stessa.

[7] Art. 3 Direttiva 2011/83/UE:
“I siti di commercio elettronico indicano in modo chiaro e leggibile, al più
tardi all’inizio del processo di ordinazione, se si applicano restrizioni
relative alla consegna e quali mezzi di pagamento sono accettati.”

[8] Attenzione! Tali parametri
di lingua devono essere inoltre rispettati anche per l’applicazione delle disposizioni
del GDPR. Sul punto cfr. Considerando n. 20 di tale Regolamento.

[9] Art. 10 comma 1 della Direttiva 2011/83.

[10] Cfr. Robert Budde, E-Wine,
Aspetti gius-economici della comunicazione e distribuzione del vino online, G.
Giappichelli Editore, p. 51 e ss., 2018.

[11] Cfr. sentenza Corte di
Giustizia nel caso Pierre Fabre C‑439/09.

[12] Sentenza del 6 dicembre 2017,  C-230/16 Coty Germany GmbH.