esaurimento del marchio e vendite parallele

Vendite parallele e principio dell'esaurimento del marchio.

I distributori non autorizzati possono effettuare delle vendite parallele? Quando ci si può avvalere del principio dell'esaurimento del marchio? I casi Amazon, Sisley e L'Oréal.

Come
si è già avuto modo di spiegare (cfr. La
distribuzione selettiva. Una breve panoramica: rischi e vantaggi
), la
distribuzione selettiva ha la funzione di proteggere la commercializzazione dei
prodotti che, in funzione delle loro caratteriste, necessitano di un sistema di
rivendita più selezionato e curato rispetto ai prodotti di largo consumo.

In
tali casi, il produttore è portato non tanto a puntare sulla vastità e
capillarità della propria rete vendita, quanto a prediligere una limitazione dei
canali commerciali
, preferendo affidare i propri prodotti ad un ristretto
numero di rivenditori specializzati, scelti in funzione di determinati criteri
oggettivi dettati dalla natura dei prodotti: competenza professionale (per
quanto riguarda gli aspiranti distributori),[1] qualità
del servizio offerto, ovvero prestigio e cura dei locali nei quali i
rivenditori dovranno svolgere la loro attività.[2]

Tale sistema, regolamentato dal Regolamento UE 330/2010 sugli accordi verticali,[3] è conforme all’art. 101 § 3 del Trattato (e quindi non ricade nel divieto generale fissato dal § 1 di suddetto articolo), essenzialmente se:

  • la scelta dei rivenditori avvenga secondo criteri oggettivi di indole qualitativa, riguardanti la qualificazione professionale del rivenditore del suo personale e dei suoi impianti”,
  • che “questi requisiti siano richiesti indistintamente per tutti i rivenditori potenziali”,
  • e che “vengano valutati in modo non discriminatorio”.[4]

Con
riferimento alla tipologia di prodotti per i quali può essere
giustificato il ricorso ad un sistema selettivo, seppure il Regolamento
330/2010 non fa alcun cenno in merito, poiché si limita a dare una definizione
di tale sistema, si ritiene che la stessa è riservata solamente a prodotti di
lusso, di alta qualità e tecnologicamente sviluppati.[5]

Uno
degli elementi essenziali collegati alla distribuzione selettiva, è sicuramente
collegato al fatto che, in tale sistema, il produttore può imporre l’obbligo di
non vendere a soggetti (diversi dagli utilizzatori finali) non appartenenti
alla rete (ex art. 4 lett. b), iii)).[6]

Secondo
vantaggio è collegato ai limiti che possono essere imposti a membri del sistema
selettivo, in merito alla possibilità di vendere i prodotti online. Sul
punto la giurisprudenza europea ha affermato che, mentre un
produttore di un sistema non selettivo, non può impedire ai suoi distributori
di vendere online
,[7]
in un sistema selettivo, il produttore è autorizzato ad imporre al proprio
distributore una clausola che consente di vendere i prodotti tramite interneta
condizione che tale attività di vendita online
 sia
realizzata tramite una “vetrina elettronica” del negozio autorizzato e che
venga in tal modo preservata l’aurea di lusso ed esclusività di questi
prodotti
.[8]

Inoltre, la giurisprudenza[9] ha considerato legittima una clausola contrattuale che vieta ai distributori autorizzati di un sistema di distribuzione selettiva di servirsi in maniera riconoscibile di piattaforme terze per la vendita a mezzo internet dei prodotti contrattuali, purché ciò sia finalizzato a salvaguardare l’immagine di detti prodotti e che sia stabilita indistintamente e applicata in modo non discriminatorio.


1. La distribuzione parallela di distributori non autorizzati.

In ogni caso, nella pratica è altamente diffuso che, anche se il produttore crea un sistema selettivo, si sviluppino distribuzioni parallele all’interno del mercato stesso. Ciò può essere dovuto al fatto che molto spesso i produttori distribuiscono in via “selettiva” soltanto nei mercati più importanti, riservando, contrariamente, un sistema “classico” (ossia tramite un importatore esclusivo e non selettivo) alle altre zone, così permettendo (e facilitando) che i distributori “classici” vendano i prodotti anche a distributori paralleli che si trovano all’intero di un mercato selettivo.[10]

Leggi anche Le vendite parallele nell’UE. Quando e fino a che punto può un produttore controllarle? e Distribuzione selettiva ed esclusiva: il sistema misto che selettiva.

Cosa
succede quindi se la società produttrice rileva la vendita non autorizzata di
propri prodotti su una piattaforma e-commerce, da parte di un
distributore/intermediario estraneo alla rete di distribuzione selettiva?

È
chiaro, infatti, che in tale situazione il rapporto tra produttore e il terzo è
di natura extracontrattuale e bisogna quindi comprendere quali (e se vi) siano strumenti
giuridici che consentano al produttore di difendersi da tali vendite estranea
al sistema selettivo.

Per potere rispondere a tale domanda è necessario fare un breve passo indietro.


2. Il principio di esaurimento comunitario.

Come è noto, l’ordinamento europeo garantisce la libertà (fondamentale) della circolazione delle merci; figlio di tale libertà è il principio di esaurimento comunitario, introdotto con Direttiva Europea 2008/95/CE all'articolo 7 e recepito dal nostro ordinamento con l’art. 5 c.p.i.[11]

Secondo
tale principio, una volta che il titolare di uno o più diritti di proprietà
industriale immette direttamente o con il proprio consenso[12]
(ad es., dal licenziatario) in commercio un bene nel territorio dell'Unione
europea, questi perde le relative facoltà di privativa.

L’esclusiva
è quindi limitata al primo atto di messa in commercio, mentre nessuna
esclusiva può essere successivamente vantata dal titolare della privativa,
sulla circolazione del prodotto recante il marchio.

Il
principio dell’esaurimento conosce tuttavia un’importante eccezione: il secondo
comma dell’articolo 5 c.p.i. reca, infatti, una norma di salvaguardia che, con
riferimento al marchio, consente al titolare, anche quando abbia immesso il
prodotto sul mercato e, pertanto, “esaurito” il diritto, di evitare che la
privativa subisca una diminuzione di attrattiva e di valore
.

Al
fine di eludere che il titolare del marchio possa arbitrariamente comprimere la
libera circolazione sul mercato comunitario, la deroga al principio
dell’esaurimento del marchio è circoscritta al ricorrere di condizioni che
rendono necessaria la salvaguardia dei diritti oggetto specifico della
proprietà: il secondo comma dell’art. 5 c.p.i. dispone infatti che devono
sussistere

motivi
legittimi
perché il titolare stesso si opponga all'ulteriore
commercializzazione dei prodotti, in particolare quando lo stato di questi è
modificato o alterato dopo la loro immissione in commercio
”.

La
giurisprudenza comunitaria[13]
ha confermato che l’esistenza di una rete di distribuzione selettiva può essere
ricompresa tra i “motivi legittimi”, ostativi all’esaurimento, a condizione che
il prodotto commercializzato sia un articolo di lusso o di prestigio che
legittimi la scelta di adottare un sistema di distribuzione selettiva.

Spetterà
al giudice nazionale, pertanto, chiamato a giudicare verificare se
sussistano “motivi legittimi” affinché il titolare del marchio possa opporsi
all’ulteriore commercializzazione dei suoi prodotti e, quindi, verificare se i
contratti di distribuzione selettiva siano conformi al diritto antitrust
europeo.[14] Ciò
consiste (per semplificare, ma lungi dal volere banalizzare) nell’accertare:

  • la liceità del sistema di distribuzione dei
    prodotti, valutando la natura dei medesimi (ossia che siano beni di lusso o,
    comunque prodotti di alta qualità o tecnologicamente sviluppati);
  • che il terzo rispetti gli standard che
    il produttore esige dai propri distributori autorizzati.

In
caso negativo, quindi se le modalità di commercializzazione utilizzate del
terzo non rispettano gli standard richiesti e siano lesivi del marchio
del produttore, tale attività sarà sottratta al principio dell’esaurimento.

Per portare qualche esempio pratico e quindi cercare di rendere per il lettore il più possibile chiara tale tematica, si riportano qui di seguito tre recenti (ed interessantissime) sentenze del Tribunale di Milano.


Il Caso Landoll s.r.l. contro MECS s.r.l.

Nella
2018 il Tribunale è stato chiamato a decidere sulla seguente questione: Landoll,
azienda leader nel settore della ricerca, sviluppo e commercializzazione
di prodotti cosmetici professionali e titolare di diversi marchi, provvedeva
alla distribuzione selettiva dei propri prodotti, sulla base di standard qualitativi
prescelti, volti alla tutela dell’immagine di lusso e prestigio. La ricorrente
ha rilevato l’offerta in vendita non autorizzata dei suoi prodotti su una
piattaforma e-commerce, riconducibile alla resistente. La ricorrente ha quindi
chiesto l’inibitoria nei confronti della resistente alla prosecuzione dell’attività
di vendita.

Il
Tribunale ha riconosciuto che la violazione dei diritti di privativa della
ricorrente sui propri marchi registrati, si evinceva dalla

 “valutazione dell’esistenza di un
pregiudizio effettivo all’immagine di lusso e di prestigio di essi che consegue
dall’esame delle modalità di presentazione al pubblico dei prodotti […] sia
su piattaforma e-commerce, che sul suo sito web
, che ne manifestano nella
loro presentazione la piana assimilazione a qualsiasi generico prodotto del
settore anche di minore qualità.”[15]

Ha
quindi inibito alla resistente l’ulteriore pubblicizzazione,
commercializzazione, offerta in vendita dei prodotti di parte ricorrente.  


Caso Sisley Italia s.r.l. contro Amazon Europe Core s.a.r.l.

In
tale vertenza,[16] Sisley
Italia s.r.l., società anch’essa leader nel settore della cosmesi e
organizzata tramite un sistema di distribuzione selettiva, ha proposto ricorso affinché
il Tribunale di Milano inibisse ad Amazon di commercializzare sul territorio
italiano i prodotti recanti i marchi Sisley, ritenendo che le modalità di immissione
in commercio utilizzate dalla resistente violassero gli standard richiesti
da Sisley ai propri distributori autorizzati. Nel dispositivo si legge che sul
portale di Amazon

i prodotti Sisley
vengono mostrati e offerti mescolati ad altri articoli, quali prodotti per la
casa e per le pulizie, prodotti comunque di basso profilo e di scarso valore
economico. Anche nella sezione ‘Bellezza Luxory’ […] il marchio Sisley è
accostato a marchi di fascia bassa, di qualità, reputazione e prezzo molto
inferiori o comunque di gran lunga meno prestigiosi.”

La
sentenza prosegue:

Laddove si
consideri che, nei propri contratti, Sisley esplicitamente richiede che i
propri prodotti vengano venduti in profumerie di lusso o in reparti
specializzati di profumeria e cosmesi di grandi magazzini, con personale
qualificato, in un determinato contesto urbano, appare indubbiamente
inadeguata, rispetto agli standard richiesti, la messa in vendita dei prodotti
in questione accanto a contenitori per microonde, prodotti per la pulizia dei
pavimenti e per gli animali domestici,”

Il Tribunale di Milano ha quindi riconosciuto che la commercializzazione e promozione di tali prodotti nella stessa pagina internet di prodotti di altre marche – anche di segmenti di mercato più bassi – fosse “lesivo del prestigio e dell’immagine del marchio Sisley.”


Ma cosa succede se i prodotti vengono importati da un paese Extra-UE? Il Caso L’Oréal.

Come
si è avuto modo di vedere condizione perché l’esaurimento ex art. 5 c.p.i.
abbia luogo è che la prima immissione in commercio sia stata effettuata dal
titolare (o con il suo consenso) e che tale immissione venga effettuata
all’interno del mercato unico.

Diversa
la situazione in cui la prima immissione viene effettuata nel mercato unico da
terzi non autorizzati: la giurisprudenza della Corte di Giustizia sin dal 1982
ha deciso che se l’immissione in commercio del bene tutelato sia effettuata dal
titolare al di fuori della Comunità, questi può far valere il proprio diritto
per opporsi all’importazione nell’Unione da parte di un distributore
extracomunitario.[17]

Applicando
tali principi il Tribunale di Milano[18]
ha vietato alla IDS International Drugstore Italia s.p.a., l’offerta in vendita
e commercializzazione, in qualsiasi modo e forma, compreso l’uso di internet
e di social network, dei prodotti L’Oréal. Tali prodotti
erano stati invero acquistati da IDS da un distributore extracomunitario,
il quale li aveva acquistati direttamente dal produttore.

Posto
che la prima immissione in commercio all’interno dell’UE non era stata
effettuata da parte del titolare (o con il suo consenso), questi continuava a
detenere, ai sensi degli art. 5 e 20 c.p.i., il diritto di opporsi all’importazione
parallela da paesi extracomunitari senza il suo consenso.

Diversa
questione sarebbe invece nel caso in cui il titolare del marchio acconsenta all’immissione
in commercio in un determinato Stato membro dello SEE; in tal caso egli esaurisce
i propri diritti di proprietà intellettuale e, quindi, non potrà più vietare l’importazione
in un diverso Stato membro.


[1] Si pensi alla
decisione Grundig approvata nel 1985 dalla Commissione, in cui
si richiedeva la presenza “di personale qualificato e di un servizio esterno
con la competenza tecnica necessaria per assistere e consigliare la clientela”,
nonché “l’organizzazione tecnica necessaria per l’immagazzinamento e il
tempestivo rifornimento degli acquirenti”; “presentare ed esporre i prodotti
Grundig in maniera rappresentativa in locali appositi, separati dagli altri
reparti, e il cui aspetto rispecchi l’immagine di mercato di Grundig”.

[2] Sul punto cfr.
PAPPALARDO, Il diritto della concorrenza dell’Unione Europea, pag. 409, UTET,
2018.

[3] che definisce distribuzione
selettiva come: “un sistema di distribuzione nel quale il fornitore si
impegna a vendere i beni o servizi oggetto del contratto, direttamente o
indirettamente, solo a distributori selezionati sulle base di criteri
specificati e nel quale questi distributori si impegnano a non vendere tali
beni o servizi a rivenditori non autorizzati nel territorio che il fornitore ha
riservato a tale sistema.”

[4] Sentenza Metro I,
25.10.1977 e causa C-31/80, L’Oréal/ PVBA. Tale orientamento è stato confermato
anche dagli Orientamenti della Commissione al n. 175, che dispongono che “In
genere, si ritiene che la distribuzione selettiva basata su criteri puramente
qualitativi non rientri nell’ambito dell’articolo 101, paragrafo 1, in quanto
non provoca effetti anticoncorrenziali, purché vengano soddisfatte tre
condizioni. In primo luogo, la natura del prodotto in questione deve rendere
necessario un sistema di distribuzione selettiva nel senso che un tale sistema
deve rappresentare un requisito legittimo, in considerazione delle
caratteristiche del prodotto in questione, per conservarne la qualità e
garantirne un utilizzo corretto. In secondo luogo, la scelta dei rivenditori
deve avvenire secondo criteri oggettivi d’indole qualitativa stabiliti
indistintamente e resi disponibili per tutti i rivenditori potenziali e
applicati in modo non discriminatorio. In terzo luogo, i criteri stabiliti non
devono andare oltre il necessario.”

[5] In ogni caso, una risposta si ritrova all’interno degli Orientamenti della Commissione, ove al n. 176, viene affermato che: “se le caratteristiche del prodotto non richiedono una distribuzione selettiva […], tale sistema di distribuzione non comporta generalmente vantaggi in termini di efficienza tali da compensare una notevole riduzione della concorrenza all’interno del marchio. Se si verificano effetti anticoncorrenziali sensibili, è probabile che il beneficio dell’esenzione per categoria venga revocato”. Cfr. anche, n. 25, caso Coty Germany, sentenza del 6.12.2017, che dispone:

[6] A tal proposito, si
richiama quanto affermato dalla Corte di Giustizia nel caso Metro-Saba
I
, sentenza del 25.10.1977, al par. 27 “Qualsiasi sistema di vendita
fondato sulla selezione dei punti distribuzione implica inevitabilmente –
altrimenti non avrebbe senso – l’obbligo per i grossisti che fanno parte della
rete, di rifornire solo i rivenditori autorizzati”.

[7] Caso Pierre Fabre, sentenza del 13.10.2011.

[8] Caso Coty Germany, sentenza del 6.12.2017.

[9] Cfr.
nota precedente.

[10] In tal caso, il
produttore non può imporre il divieto di effettuare vendite passive, nei
confronti dei rivenditori appartenenti alle zone in cui non esiste il sistema
selettivo, ma unicamente vietare allo stesso, ex art. 4 let. b) i), le vendite
attive.

[11] Art. 5,
comma 1, c.p.i. (Esaurimento), “Le facoltà esclusive attribuite dal presente
codice al titolare di un diritto di proprietà industriale si esauriscono una
volta che i prodotti protetti da un diritto di proprietà industriale siano
stati messi in commercio dal titolare o con il suo consenso nel territorio
dello Stato o nel territorio di uno Stato membro della Comunità europea o dello
Spazio economico europeo.”

[12] La prassi
decisionale e la giurisprudenza europea hanno chiarito che si ha il consenso
quando l’immissione in commercio sia stata effettuata da un’impresa controllata
dal titolare del diritto di proprietà intellettuale o da un’impresa, di regola
un licenziatario, a ciò autorizzata dal titolare. L’esaurimento si verifica
quando il prodotto tutelato sia stato immesso in commercio dal titolare del
diritto “col suo consenso o da persona a lui legata da vincoli di dipendenza
giuridica o economico”
(sent. Keurkoop, cit., n. 25).  Sul punto Cfr. Pappalardo, Il diritto
della concorrenza dell’Unione Europea
, pag. 875, 2018, UTET.

[13] Caso Copad SA, sentenza del 23 aprile 2009, “Quando la commercializzazione di prodotti di prestigio da parte del licenziatario in violazione di una clausola del contratto di licenza deve considerarsi nondimeno effettuata con il consenso del titolare del marchio, quest’ultimo può invocare tale clausola per opporsi ad una rivendita di tali prodotti sul fondamento dell’art. 7, n. 2, della direttiva 89/104, come modificata dall’Accordo sullo Spazio economico europeo, solo nel caso in cui si accerti, tenuto conto delle circostanze della fattispecie, che tale rivendita nuoce alla notorietà del marchio.”

[14] Sul punto, cfr. Fratti, Distribuzione selettiva di cosmetici di lusso: il Tribunale di Milano chiarisce i presupposti per l’esclusione del principio dell’esaurimento del marchio.

[15]
Tribunale di Milano, ordinanza del 18.12.2018. Cfr. nota precedente.

[16] Tribunale di Milano, ordinanza del 3.7.2018

[17] Cfr. Pappalardo,
op. cit., pag. 878.

[18]
Tribunale di Milano, ordinanza del 19.11.2018, cfr. nota 12.