Responsabilità del motore di ricerca nel caso di “caching”.

Nel maggio di quest’anno la Sezione proprietà industriale del Tribunale di Firenze si è vista a decidere su una questione molto interessante per tutti gli utenti del web. Il caso è facilmente riassumibile: Tizio, imprenditore, navigando sul web scopre un sito nel quale vengono riprodotte sue foto e viene diffamato il nome della propria azienda.

Dato dal sito non si riusciva a risalire al webmaster o al gestore del sito, decide di rivolgersi direttamente a Google Inc. (sede americana), chiedendo alla stessa
di rimuovere il collegamento dal motore di ricerca al sito contestato. A seguito del rifiuto di Google, Tizio decide di promuovere un’azione legale.

Il 12.5.2012, il Tribunale di Firenze, pronuncia una ordinanza con la quale esclude la responsabilità di Google per le seguenti ragioni:

  • l’attività dei motori di ricerca è una attività di mero caching, ex art. 15 del dlgs 70/2003;
  • il motore di ricerca è tenuto a rimuovere i collegamenti solo su ordine dell’organo competente.

Soffermandosi brevemente sul primo punto, si può rilevare che l’ordinanza è dell’avviso che quella dei motori di ricerca si soffermi ad essere una mera attività di caching, posto che è limitata “alla indicizzazione dei siti ed alla formazione di copie cache dei loro contenuti, con memorizzazione temporanea delle informazioni”. Gli operatori di internet, pertanto, risultano essere dei semplici intermediari e, in quanto tali, non possono essere considerati responsabili dei contenuti veicolati da terzi.

Quanto al secondo punto, l’ordinanza si concentra sugli obblighi dei motori di ricerca, qualora pervengano agli stessi  richieste di rimozione o di disattivazione dell’accesso a determinati contenuti. Il Tribunale su questo punto afferma che “la conoscenza effettiva della pretesa illiceità dei contenuti del sito de quo non possa essere desunta neppure dal contenuto delle diffide di parte, trattandosi di prospettazioni unilaterali.

Inoltre, circa la conoscibilità degli illeciti, questi non sono presumibili sulla base di meri reclami da parte degli utenti della rete, ma è necessario che un “organo competente abbia dichiarato che i dati sono illeciti, oppure abbia ordinato la rimozione o la disabilitazione dell’accesso agli stessi, ovvero che sia stata dichiarata l’esistenza di un danno” o, ancora, “che l’ISP stesso sia a conoscenza di una tale decisione dell’autorità competente.”

Questa decisione sembra sostituire il precedente orientamento giurisprudenziale che applicando in maniera estensiva il dlgs 70/2003, ha ritenuto bastevole che il soggetto comunicasse all’intermediario il link del sito contenente il presunto materiale illecito.

Orientamento, a parere di chi scrive, giustamente superato con l’ordinanza oggetto di esamina, che risulta, peraltro, essere molto importante nel settore, posto che vengono impartite direttive ben chiare e viene delineata in maniera ferma la responsabilità di figure giuridiche non ancora del tutto ben inquadrate.