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Tribunale Nocera Inferiore, sez. I 07/02/2012
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale di Nocera Inferiore
- Prima Sezione Civile -
in composizione monocratica, in persona del Giudice, dott. Salvatore
Di Lonardo, ha pronunziato la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. 1853/2000 del ruolo generale degli
affari contenziosi dell'anno 2000, avente ad
OGGETTO: "pagamento", e vertente
TRA
ME.RICAM. srl - cod. fisc. ... - con sede in Pagani alla via A.
D. G., in persona del proprio legale rappresentante p.t.,
elettivamente domiciliato in Nocera Inferiore alla via G. C., presso
lo studio dell'Avv. Alfredo Genovese, dal quale è rappresentato e
difeso giusta procura a margine dell'atto di citazione;
E
S. F., quale titolare dell'omonima ditta individuale di
autotrasporti (P. IVA ...), corrente in Nocera Superiore alla via
N., rappresentato e difeso, giusta procura a margine della comparsa
di costituzione e risposta, dall'Avv. Pietro Smeriglio.
CONCLUSIONI
All'udienza del 9 giugno 2011, i procuratori delle parti hanno
concluso come da processo verbale che qui si trascrive:
"E' presente per parte attrice l'Avv. Daniela Genovese per delega
del procuratore costituito, Avv. Alfredo Genovese, la quale conclude
chiedendo l'accoglimento di tutte le proprie domande e richieste già
formulate nei propri atti difensivi e nei precedenti verbali di
udienza.
E' altresì presente per parte convenuta l'Avv. Anna Colasante, per
delega del procuratore costituito, Avv. Pietro Smeriglio, la quale
si oppone alle avverse istanze e conclude chiedendo l'accoglimento
delle domande ed eccezioni contenute nei precedenti scritti
difensivi e nei verbali di udienza.
I procuratori presenti chiedono disporsi la trattazione mista ai
sensi del secondo comma dell'art. 281 quinquies cpc con conseguente
fissazione dell'udienza di discussione orale della causa e previa
concessione dei termini per il deposito delle comparse
conclusionali".
RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
La ME.RICAM srl ha convenuto in giudizio S. F., quale titolare dell'omonima ditta individuale di autotrasporti, chiedendo il pagamento della somma di lire 9.765.336, oltre interessi e rivalutazione, quale prezzo dei pezzi di ricambio per autoveicoli forniti al convenuto nel mese di febbraio dell'anno 2000.
Si è costituito S. F. il quale ha eccepito che le turbine acquistate dalla società attrice si sono rivelate difettose ed hanno causato la rottura del motore, con un danno complessivo per l'acquirente pari a lire 25.882.020. Ha, quindi, eccepito la compensazione del credito dedotto in giudizio con il proprio maggior controcredito ed ha chiesto, in via riconvenzionale, la condanna della venditrice al pagamento della differenza, pari a lire 11.116.684.
Tale essendo l'oggetto del contendere, appare evidente che il fatto costitutivo del credito per il cui pagamento la società attrice ha proposto azione deve ritenersi implicitamente ammesso dal convenuto.
Per ciò che concerne, invece, la garanzia per vizi fatta valere dal compratore, va anzitutto dichiarata la tardività dell'eccezione di decadenza sollevata dalla società attrice in quanto proposta solo in sede di propria comparsa conclusionale.
Invero, la decadenza dalla garanzia per vizi non è rilevabile d'ufficio ma deve essere eccepita dalla parte interessata e, pertanto, al pari di qualsiasi altra eccezione in senso stretto deve essere dedotta nei limiti preclusivi segnati dal codice di rito. Specificamente, nel caso di specie, la società attrice avrebbe dovuto eccepire la decadenza dall'azione di garanzia al più tardi nel corso dell'udienza di trattazione, ex art. 183 cpc, trattandosi di eccezione conseguente alle difese svolte dal convenuto.
Dovendo esaminare il merito, si impone una premessa in ordine al riparto dell'onere della prova.
In dottrina si reputa che, in coerenza con il principio generale di cui all'art. 2697 c.c. spetta al committente-acquirente l'onere di provare il vizio o la difformità dell'opera. In tal senso si è sempre pronunciata anche la giurisprudenza.
Tuttavia, nella materia in esame è intervenuta la sentenza resa dalle sezioni unite della Cass. n.13533/01 che, ai fini che qui interessano, ha fissato i seguenti principi: - a) il creditore che agisce per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento; - b) tale criterio di riparto dell'onere della prova deve ritenersi applicabile anche al caso in cui il debitore convenuto per l'adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell'eccezione di inadempimento ex art. 1460 inteso anche come inesatto adempimento.
La sentenza pone a carico del creditore che agisce per l'adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno, non solo la prova dell'adempimento della propria obbligazione, ma anche la prova dell'esatto adempimento e, quindi, sembrerebbe applicabile anche alle ipotesi di vizi o difformità dell'opera, in quanto riconducibili alla categoria dell'inesatto adempimento.
In seguito alla richiamata sentenza, si sono determinate, nella giurisprudenza di merito notevoli incertezze circa l'individuazione del soggetto su cui incombe l'onere della prova in tema di vendita e di appalto.
A parere di questo giudice l'onere della prova dell'esistenza dei vizi nella vendita incombe sull'acquirente; il che trova conforto, non solo in alcune pronunce giurisprudenziali successive al dictum delle Sezioni Unite (per la giurisprudenza di merito, cfr., Trib. Monza 10 gennaio 2005, in Redazione Giuffrè e Trib. Bologna 21 maggio 2007 in Resp. Civ. e Prev. fasc. 5, 2006 pag. 1139; per la giurisprudenza di legittimità, si veda Cass. 12 giugno 2007 n. 13695), ma nello stesso criterio della "vicinanza della prova" enunciato dal Supremo Collegio nella decisione innanzi richiamata, per il quale l'onere della prova va ripartito tenendo conto in concreto della possibilità per l'uno o per l'altro soggetto di provare circostanze che ricadono nelle rispettive sfere d'azione (così, anche Trib. Bologna cit., a cui avviso: "In caso invece di adempimento inesatto, cioe` di prestazione viziata, l'esistenza dei vizi sarebbe una prova positiva per il creditore e la loro inesistenza una prova negativa per controparte; inoltre, poiche´ il bene o l'opera oggetto della prestazione sono entrati nella sfera del creditore, anche secondo il principio di prossimità è logico ritenere che debba essere quest'ultimo a dimostrarne i vizi. Diversamente si prospetterebbero fattispecie di prova pressoché impossibile per il debitore, come nel caso, assai frequente e ricorrente anche nella vicenda in esame, in cui il bene o l'opera siano stati poi oggetto di interventi e rimaneggiamenti da parte di terzi, disposti dal creditore che, appunto, li ha nella propria sfera di disponibilità")
E' evidente, allora, che avvenuta la consegna della cosa, il venditore si viene a trovare nella impossibilità (o, comunque, nella difficoltà) di dimostrare che il bene era immune da vizi e regolarmente funzionante, laddove, invece, tale prova può essere fornita agevolmente dal compratore, il quale si trova nel possesso della cosa e ben può richiedere l'accertamento dei difetti, anche ai sensi dell'art. 1513 c.c.
Anzi, proprio quest'ultima norma - a sommesso parere dell'odierno giudicante - convince di quanto sopra affermato, derivando la stessa dal previgente art. 71 del codice di commercio del 1882, il cui ultimo comma prevedeva che il compratore il quale non si fosse giovato del procedimento di verifica dovesse provare rigorosamente l'identità ed i vizi della merce. Ovviamente - come meglio ha precisato la giurisprudenza - il mancato ricorso alla procedura di cui agli artt. 1513 cod. civ. e 696 e ss cod. civ. (accertamento dei difetti della cosa venduta), seppur non comporta alcuna preclusione o limitazione circa i mezzi di prova utilizzabili per dimostrare i difetti della cosa oggetto di vendita, determina quale conseguenza che, in caso di contestazione, la prova deve essere particolarmente rigorosa, cioè tale da generare nel giudice un convincimento pieno e preciso, senza alcun riguardo alla difficoltà in cui la parte interessata possa trovarsi per non essersi avvalsa della facoltà di provocare un accertamento giudiziale preventivo (così, Cass. 6767/94).
Ebbene, nella fattispecie in esame, le risultanze istruttorie non consentono di pervenire a siffatto convincimento circa la presenza dei difetti lamentati dal convenuto.
Invero, il fatto (da ritenersi dimostrato sulla base della prova orale assunta in giudizio) che l'autotreno abbia subito un guasto dopo il montaggio delle turbine non prova affatto che i beni acquistati fossero viziati o difettati, ben potendo l'arresto del veicolo trovare altre diverse cause (ad esempio, l'errato montaggio delle turbine o un difetto del motore); né, ai fini, della decisione ci si può affidare al giudizio tecnico espresso dai testimoni, di cui, oltretutto, si ignora la specifica preparazione ed esperienza. Neppure è consentito procedere ad un ulteriore approfondimento istruttorio della vicenda mediante apposito incarico peritale (così come sollecitato dal convenuto nel corso della discussione orale, che solo in quella sede ha reiterato la propria istanza di nomina di un CTU, non reiterata in sede di precisazione delle conclusioni) non essendo più disponibile la merce acquistata.
In conclusione, in ragione delle considerazioni che precedono, non essendovi prova dell'esistenza dei vizi e difetti dedotti dal convenuto, la domanda riconvenzionale proposta dal convenuto deve essere disattesa, mentre merita accoglimento quella di pagamento avanzata dalla società attrice e, pertanto, S. F. va condannato al pagamento della somma di euro 5.043,38 (lire 9.765.336), oltre interessi legali a decorrere dalla domanda (e, quindi, dalla notifica dell'atto di citazione, eseguita il 26 luglio 2000). Trattandosi di obbligazione di valuta, nulla può essere riconosciuto a titolo di rivalutazione, posto che, pur alla luce dei principi affermati dalle Sezioni Unite (Cass. 19499/08), la parte non può limitarsi a chiedere la rivalutazione della domanda, ma deve pur sempre richiedere e dedurre il maggior danno da svalutazione (cfr., Cass. 16871/08).
Le spese seguono la soccombenza e, in mancanza della nota di parte, si liquidano d'ufficio come da dispositivo, con la precisazione che i diritti di procuratore vanno liquidati sulla base della tariffa vigente al momento della singola prestazione, mentre gli onorari di avvocato, in considerazione del carattere unitario dell'attività difensiva, devono essere determinati in base alla tariffa in vigore al momento in cui l'opera complessiva è stata condotta a termine, con l'esaurimento dell'incarico professionale.
P.Q.M.
Il Tribunale di Nocera Inferiore, in composizione monocratica, in persona del Giudice, dott. Salvatore Di Lonardo, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da ME.RICAM. srl contro S. F., nel procedimento iscritto al n. 1853/2000 RG, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, così provvede:
- a) accoglie la domanda proposta dalla ME.RICAM. srl e, per l'effetto, condanna S. F. al pagamento, in favore della società attrice, della somma di euro 5.043,38, oltre interessi legali a decorrere dal 26 luglio 2000;
- b) rigetta la domanda riconvenzionale proposta dal convenuto;
- c) condanna S. F. al pagamento delle spese di lite che si liquidano nella misura complessiva di euro 3.193,70, di cui euro 125,29 per esborsi, euro 1.458,41 per diritti ed euro 1.610,00 per onorari, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge.
Così deciso in Nocera Inferiore il 7 febbraio 2012
Il Giudice
dott. Salvatore Di Lonardo
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