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Cassazione civile, sez. lav. 24/09/1996 n. 8435

                   LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
                            SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
   Dott.    Francesco         MOLLICA                     Presidente
    "       Francesco         TORIELLO                    Consigliere
    "       Stefano           CICIRETTI                   Rel. "
    "       Guido             VIDIRI                           "
    "       Pasquale          PICONE                           "
ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
sul ricorso proposto
                                  da
CIANCICO VINCENZO, elettivamente  domiciliato  in  ROMA  CANC.  CORTE
SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso  dall'Avvocato  MASSIMO
GIUFFRIDA, giusta delega in atti;
                                                           Ricorrente
                                contro
MILAZZO SALVATORE, elettivamente domiciliato  in  ROMA  V.LE  GORIZIA
25-C, presso lo  studio  dell'Avvocato  R.  RADIUS,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocato MICHELE VIRGA, giusta delega in atti;
                                                     Controricorrente
avverso la sentenza n. 20-93 del Tribunale di CALTAGIRONE, depositata
il 23-02-93 n.r.g. 61-92.
udita la relazione della causa  svolta  nella  pubblica  udienza  del
26-10-95 dal Consigliere Relatore Dott. Stefano CICIRETTI;
udito l'Avvocato Dott. Camposarcuno per delega Giuffrida;
udito l'Avvocato Dott. Gnocchi per delega Virga;
udito il P.M. in  persona  del  Procuratore  Generale  Dott.  Massimo
FEDELI che ha concluso per il rigetto del ricorso.


Svolgimento del processo
Con ricorso 10.4.1986 Milazzo Salvatore conviene in giudizio Ciancico Vincenzo.
Ne chiede la condanna a pagare, a titolo di differenza paga, di tredicesima e quattordicesima mensilità e di lavoro straordinario e festivo, la complessiva somma di Lit. 38.658.480, oltre ad interessi e rivalutazione. Ciò, sulla premessa di aver, ininterrottamente, svolto dal 1 ottobre 1982 a tutto il 1985, attività lavorativa, con mansioni di guardiano, addetto anche alla cura degli animali nell'azienda agricola del Ciancico e di aver percepito una retribuzione, inferiore a quella prevista dal C.C.N.L. -.
Costituitosi, il convenuto non nega il rapporto di lavoro e dà atto che la retribuzione è stata, sì, corrisposta nell'ammontare indicato dal Milazzo ma - sottolinea - in misura, comunque proporzionata e sufficiente, a nulla rilevando i maggiori importi previsti dalla contrattazione collettiva, in quanto inapplicabile nella specie, in difetto d'iscrizione ad associazione sindacale.
Contesta l'assunto di mancata fruizione di riposi e ferie e sostiene che il lavoratore ha goduto di alloggio e di altre prestazioni in natura.
In via riconvenzionale, chiede il risarcimento dei danni, in misura pari a Lit. 25.000.000, patiti a seguito d'incendio, verificatosi nell'azienda addebitabile alla negligenza del Milazzo.
L'adito Pretore di Caltagirone, in parziale accoglimento della domanda, condanna il Ciancico a pagare all'attore la somma di Lit. 4.000.000 con interessi e rivalutazione dalla domanda e dichiara la propria incompetenza per valore a decidere sulla domanda risarcitoria riconvenzionale.
Sull'appello, principale, del Milazzo ed, incidentale, del Ciancico, il Tribunale di Caltagirone pronuncia sentenza, in data 23.2.1993, con la quale, in parziale riforma della decisione pretorile, condanna il Ciancico a pagare la somma di Lit. 18.606.393, con interessi e rivalutazione, decorrenti (non dalla domanda ma) dalle singole scadenze ed, affermata la propria competenza in ordine alla domanda risarcitoria, la rigetta "in toto", spese in parte compensate.
Ricorre per cassazione il Ciancico, con atto affidato a tre motivi, illustrati da memoria.
Resiste con controricorso il Milazzo.

Motivi della decisione
Con il primo motivo, il ricorrente denuncia "violazione e falsa applicazione dell'art. 434 C.P.C., in relazione all'art. 360 nn. 3, 4 e-o 5 C.P.C." Si duole che il Tribunale non abbia dichiarato inammissibile l'appello principale, per inintelligibilità assoluta nel senso e della portata delle censure mosse dal Milazzo avverso la decisione di primo grado. Non avendo questi indicato i fatti, posti a fondamento della domanda nè le eccezioni, il ricorso difettava di un qualsiasi coordinamento logico, con riguardo sia al suo significato letterale sia al suo contenuto complessivo.
Il motivo è privo di pregio.
Il ricorrente - difesosi nel merito, in sede di appello senza, invero, nulla eccepire sul punto - muove un addebito, che si traduce in un apprezzamento. Il quale, avendo ad oggetto l'attività svolta da controparte e dal giudice, costituisce denuncia di un "error in procedendo".
È dato, in questo caso, alla Corte di procedere - com'è noto - ad un riesame, anche di fatto, degli atti di causa.
Dalla lettura dell'atto di appello emerge che il Milazzo aveva proposto gravame, rilevando:
- che la somma di Lit. 4.000.000, liquidata dal primo giudice, "non rispecchiava l'effettivo credito";
- che il quesito posto al C.T.U. per "l'indagine volta a determinare la paga di fatto praticata sulla piazza all'epoca del rapporto di lavoro..." aveva formato oggetto di critica, dato che "il parametro di cui il giudice deve tener conto, ai fini dell'adeguamento retributivo ex art. 36 Cost., è quello costituito dalla contrattazione collettiva, a nulla rilevando "il riferimento alla dimensione dell'azienda agricola" (nella specie, tra l'altro, "di rilevantissime dimensioni: 80 ettari") nè "il controvalore dell'alloggio", da fornirsi, nel lavoro di guardiania, "gratuitamente dal datore di lavoro" (senza, poi, nulla dire dell'assoluta esorbitanza del calcolo di "Lit. 200.000 mensili attribuite al modestissimo alloggio di campagna"):
- che il Pretore "pur non contraddicendo nella teoria il principio", affermato, appunto, da questa Corte nella sentenza n. 611-88 circa "l'individuazione della retribuzione proporzionata e sufficiente dell'operaio agricolo avventizio", l'aveva, "poi, nella pratica, disatteso";
- che, inoltre, aveva "errato il Pretore a fissare la decorrenza della rivalutazione monetaria e degli interessi (anziché dalla data di maturazione dei singoli crediti: ex multis, v. Cass. n. 1426-89) alla domanda";
- che, quanto alla "domanda riconvenzionale per la somma di Lit. 25.000.000, quale risarcimento danni per pretese inadempienze in ordine ad un incendio verificatosi nel fondo", il Pretore non doveva dichiarare "la propria incompetenza per valore..." ma, essendo essa domanda "dipendente dallo stesso titolo dedotto in giudizio", era tenuto ad esaminarla, rigettandola nel merito "per infondatezza e pretestuosità" come risultava dall'"ammessa ed assunta prova testimoniale";
- che, infine, appariva, del tutto ingiustificata la parziale compensazione delle spese del giudizio, atteso anche il comportamento processuale tenuto dal resistente".
Contrariamente a quanto assume il ricorrente, ritiene la Corte che appare chiaramente comprensibile il gravame interposto dal Milazzo.
Vi si evince, infatti, dalle espressioni contenute e come sopra riportate che questi, avendo lavorato alle dipendenze del Ciancico nell'azienda agricola di costui con mansioni di guardiano e non avendo percepito una retribuzione, conforme alle previsione dell'art. 36 Cost., cioè proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato, si era giudizialmente attivato contro il datore di lavoro, visto che la decisione pretorile, anziché considerare la paga del contratto collettivo, a titolo di parametro, aveva tenuto conto di quella di fatto praticata sulla piazza, delle dimensioni dell'azienda e del controvalore dell'alloggio ed aveva liquidato l'importo-capitale, gli interessi e la rivalutazione con decorrenza dalla domanda anziché dalla maturazione dei crediti alle singole scadenze ed aveva, inoltre, errato nel porre solo la metà delle spese di lite a carico del Ciancico e nel dichiararsi incompetente mentre, avendo l'obbligo di occuparsene, doveva rigettare nel merito, per risultata infondatezza, la domanda svolta in via riconvenzionale dal Ciancico per danni da incendio.
Orbene, essendo questi i punti in discussione, il Tribunale nel dare atto di averli individuati, tra l'altro, proprio negli stessi termini su descritti, correttamente ha proceduto a verificarne la fondatezza o meno nel merito. Mentre se avesse reputato inintelligibile il gravame e l'avesse, perciò, dichiarato inammissibile, sarebbe, allora, si, incorso in difetto d'attività.
Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia "violazione dell'art. 36 Cost. in relazione all'art. 360 nn. 3 e 5 C.P.C.".
Si duole che il Tribunale - pur partendo da una corretta premessa e cioè dalla sussistenza nella specie dei presupposti per dar luogo ad applicazione del C.C.N.L. di categoria ma soltanto a titolo di parametro - abbia, poi, tratto conclusioni "non persuasive", ossia abbia finito col privilegiare, immotivatamente, solo alcune delle ipotesi alternative rappresentate dal C.T.U..
Talché - sottolinea il ricorrente - appaiono contestabili: a) il riferimento della qualifica (=operaio qualificato) attribuita al lavoratore e sproporzionata certamente a quelle mansioni di fatto, indicate dallo stesso Milazzo; b) l'inclusione nella condanna di tutta una serie di "voci" assolutamente estranee al concetto di retribuzione-base. E, di contro - osserva, ancora il ricorrente - risultano, altrettanto immotivatamente, escluse indicazioni parametriche, invece, pur evidenziate dal C.T.U. -. Il che - conclude il ricorrente - sta ad indicare che il criterio adottato dal Tribunale è contraddittorio ed immotivato e, comunque, non rispettoso dei principi derivanti dall'applicazione del citato art. 36 Cost. -.
Il motivo, oltre a non corrispondere al vero, è in parte infondato ed, in parte, generico.
Il Tribunale, a fronte delle quattro "ipotesi di spettanze", proposte dal C.T.U. (=di rapporto di lavoro a tempo determinato, con retribuzione calcolata in base ai contratti collettivi; di rapporto di lavoro a tempo determinato con retribuzione calcolata sulla base degli importi praticati sulla piazza; di rapporto di lavoro a tempo indeterminato con retribuzione calcolata in base ai contratti collettivi e rapporto di lavoro a tempo indeterminato con retribuzione calcolata sulla base degli importi praticati sulla piazza), ha spiegato la ragione dell'operata opzione. Nel senso che, partendo dal punto - considerato corretto dallo stesso ricorrente - che il calcolo della retribuzione andasse fatto sulla base, a titolo di parametro, del contratto collettivo di categoria, ha rilevato come non fossero, ormai, più discutibili alcune questioni, e perché non gravate da appello (quali quelle relative ai capi della sentenza di primo grado attinenti sia alla qualifica del rapporto come a tempo indeterminato sia all'affermata non spettanza e, perciò, al rigetto delle istanze di rivendicazioni riguardanti i compensi per ferie e riposi non goduti nonché per lavoro straordinario) e perché non oggetto di contestazioni (quali, quelle relative al periodo dell'intercorso rapporto, dal 1.10.1982 al 31.12.1985, ed al "quantum" già percepito).
Per cui, constatato che la lite in sostanza si riduceva, tutta, nello stabilire sulla tesi di quanto già corrisposto se e quale differenza fosse ancora dovuta dal Ciancico, il Tribunale è passato ad esaminare singolarmente le eccezioni (sulla natura di attività, di mera presenza, prestata; sulle dimensioni dell'azienda e sul contro valore dell'alloggio e di continue regalie di ortaggi e prodotti della campagna) che, accolte dal primo giudice, avevano portato quest'ultimo a discostarsi dai risultati della relazione tecnica, con conseguente taglio delle differenze retributive. E, quindi, argomentata l'inconsistenza, invece, di tali eccezioni, ha affermato, alla stregua dell'espletata consulenza tecnica, che quelle differenze ammontassero a Lit. 18.606.393, con riguardo ad un rapporto, come nella specie, di lavoro a tempo indeterminato, alla categoria lavorativa corrispondente ed alla quantità e qualità del lavoro prestato (di custode e, perciò, di operaio agricolo qualificato, secondo le mansioni di "guardiania e cura degli animali", esposte nel ricorso pretorile).
Così decidendo, il Tribunale - ad avviso della Corte - non è incorso nelle violazioni denunciate, se si considera:
- che appare ampiamente motivata, come si è visto, la scelta dell'ipotesi, fra quelle alternative, rappresentate dal C.T.U.;
- che la qualifica (di operaio agricolo qualificato, ex art. 8 C.C.P.L.-72 =addetto alla guardiania) è stata attribuita, corrispondentemente alle mansioni di fatto indicate dal Milazzo in atto introduttivo e, peraltro riconosciute (v. memoria difensiva di primo grado) dal Ciancico;
- che la liquidazione delle competenze è avvenuta in conformità dei calcoli operati dall'ausiliare;
- che non è dato di sapere, in difetto di una qualsiasi specificazione al riguardo, quali le "voci" erroneamente incluse, quali le "indicazioni parametriche", al contrario, erroneamente escluse e quali, infine, le ragioni tra loro pretesamente contrastanti.
Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia "violazione e falsa applicazione dell'art. 2104 C.C. e dell'art. 1218 C.C. in relazione all'art. 360 nn. 3 e 5 C.P.C.".
Nega valore all'argomentazione che il Tribunale ha addotto per rigettare la domanda riconvenzionale risarcitoria. Sostiene che, quando afferma la mancanza di prova di una negligenza del lavoratore nell'attività di vigilanza nonché di un suo disinteresse per non essersi attivato nel cercare di limitare i danni e nel sollecitare l'intervento dei vigili del fuoco, il Tribunale dimostra di non aver considerato che la vigilanza rientrava proprio nelle mansioni affidate al Milazzo e che i testi avevano, anzi, evidenziato detta negligenza nè che, ancorché tenutovi, quest'ultimo nessuna prova aveva fornito di un mancato suo intervento, dipese da causa a lui non imputabile.
Anche questo motivo è infondato.
Ai fini dell'affermazione della responsabilità del lavoratore verso il datore di lavoro per un evento dannoso verificatosi nel corso dell'espletamento delle mansioni a lui affidate, incombe sul datore di lavoro la prova che l'evento dannoso sia correlato ad una condotta colposa del lavoratore per violazione degli obblighi di fedeltà e di diligenza (artt. 2104 e 2105 C.C.) e sia in rapporto causale da tale condotta, restando al lavoratore dimostrare la non imputabilità a lui dell'inadempimento.
Questo regime dell'onere probatorio non subisce deroga nemmeno nel caso in cui le mansioni del lavoratore richiedano - come nella specie - un dovere di custodia.
Avendo addebitato al Milazzo non tanto il verificarsi dell'incendio quanto un'omessa vigilanza per non essersi quest'ultimo posto in condizione di avvistare tempestivamente le fiamme e per non essersi attivato nel cercare di limitare i danni (v. memoria di costituzione di lg grado) il Ciancico era tenuto a precisare quali fossero gli elementi specifici di siffatta condotta negligente denunciata ed a fornirne la prova.
Orbene, il Tribunale ha escluso che dalle risultanze processuali fosse emersa una condotta negligente del Milazzo. Datone atto, correttamente ha tratto la conclusione dell'insussistenza degli estremi dell'asserita violazione. Infatti, sulla base delle dichiarazioni rese dai testi Sipale (Giovanni e Febronio), De Francisci e Milazzo e, compiuta valutazione di tali deposizioni nonché di quella del teste Margarone (evidenzianti un tardivo intervento del Milazzo), ha espresso il convincimento che essendosi prodigato allo spegnimento dell'incendio, il Milazzo si fosse attivato nel cercare di limitare i danni.
Una valutazione, questa, che - poiché è sostenuta d'adeguata e corretta motivazione - è incensurabile in questa sede.
In conclusione, il ricorso non è meritevole di accoglimento.
Le spese seguono la soccombenza.

p.q.m.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alle spese che per il presente giudizio, liquida in Lit. 25.000 per esborsi e in Lit. 3.000.000 per onorari.
Così deciso il 26.10.1995.
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