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Cassazione civile, sez. II 17/08/1990 n. 8336
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE II CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Luigi COSTANZA Presidente
" Filippo ANGLANI Consigliere
" Mauro SAMMARTINO "
" Antonio PATIERNO "
" Mario SPADONE Rel. "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto
da
il 1 (Rg. n. 6165-85)
Soc. So.F.IM. - Soc. Finanziario Imm.re Srl., con sede di Roma in
persona del legale rapp.nte Gianluca Violante; elett. dom. in Roma
Corso Rinascimento, n. 11 presso la studio dell'avv. Paolo Vaiano che
la rapp. e dif. insieme all'avv. Luigi Napolitano per proc. notaio
Violante dell'11-1-1989 N. 118730 rep.
Ricorrente
contro
Sposato Francesco e Bianchi Anna Maria n.q.
Intimati
il 2 (Rg. n. 6835-85) proposto
da
Sposato Francesco e Bianchi Anna Maria quali eredi esercenti la
patria postestà sul figlio minore Gianluca Sposato; elett. dom. in
Roma Via G. Nicotera, 24 presso l'avv. Francesco Sposato che li rapp.
e dif. per delega a margine del ricorso incidentale.
Controricorrente e ricorrente incidentale
contro
Srl. So.F.Im. - Soc. Finanzaria Immobiliare.
Intimata
per l'annullamento della sentenza C.A. di Roma 28-11-84 - 26-2-85.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
2-5-89 dal Cons. Mario Spadone.
Per il controricorrente e ricorrente incidentale è comparso l'avv.
F. Sposato che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e
l'accoglimento del ricorso incidentale.
Udito il P.M. in persona del Sost. Proc. Gen. Dr. Gennaro Tridico che
ha concluso per il rigetto del ricorso principale e l'accoglimento
del ricorso incidentale.
Svolgimento del processo
Con atto del 3 marzo 1980 i coniugi Sposato Francesco e Bianchi Anna Maria in qualità di genitori esercenti la potestà sul figlio minore Sposato Gianluca conveniva dinanzi il Tribunale di Roma la s.r.l. società Finanziaria Immobiliare (SO.F.IM) esponendo che con contratto 6.12.1979 avevano dalla medesima acquistato per il figlio minore un appartamento sito nel comune di Rieti - Monte Terminillo località in Pian dei Valli ricompreso nel fabbricato denominato "La Genzianella" per il prezzo di L. 33.600.000 interamente pagato ottenendo il possesso dell'immobile; in quest'ultimo si erano però verificati infiltrazioni di acqua attraverso le pareti esterne in una cameretta in fondo all'appartamento; esse avevano reso inagibile la stanza e quindi l'uso dell'immobile.
Esponevano ancora gli attori che richiesto al Pretore di Rieti un provvedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c. era stato il loro ricorso respinto; successivamente avevano fatto espletare un accertamento tecnico preventivo che aveva rilevato le infiltrazioni ed un concomitante fenomeno di condensa; che la società obbligandosi a curare le pratiche per ottenere il certificato di abitabilità non aveva a tanto adempiuto.
Chiedevano quindi i coniugi Sposato che la SO.F.IM. fosse dichiarata responsabile dei vizi e difetti di costruzione riscontrati nell'appartamento e condannata ad effettuare entro breve termine tutti i lavori necessari ad eliminarli; in caso di mancata esecuzione delle opere, che fosse condannata al pagamento delle somme necessarie a realizzarle; inoltre, alla consegna del certificato di abitabilità, al risarcimento dei danni da liquidarsi nel corso del giudizio o in separata sede, oltre agli interessi.
La società convenuta contrastava tale pretese deducendo che le infiltrazioni di acqua erano dovute ad un fenomeno di condensa per l'impropria utilizzazione dell'impianto termico; che l'obbligazione relativa alla licenza di abitabilità non era esigibile non essendo stato previsto un termine per l'adempimento.
Espletata una consulenza tecnica, con sentenza 20.10.1981 il tribunale rigettava la domanda ritenendo, in contrasto con i risultati della consulenza tecnica d'ufficio, che vi fosse soltanto un fenomeno di condensa; che l'azione esperita non poteva ricondursi all'ipotesi dell'art. 1669 c.c. perché l'edificio non era stata costruito dalla SO.F.IM; e, quanto alla normativa della compravendita, che non fosse consentito richiedere alla venditrice l'eliminazione dei vizi ma, in alternativa, la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo; escludeva inoltre che potesse configurarsi una responsabilità della convenuta per la marcata consegna della licenza di abitabilità.
Avverso la sentenza proponevano impugnazione i soccombenti lamentando che erroneamente erano state disattese le conclusioni della consulenza tecnica d'ufficio la quale aveva posto in evidenza, come era avvenuto nell'accertamento tecnico preventivo, l'esistenza di infiltrazioni di acqua proveniente dall'esterno; che, sempre erroneamente, si erano considerati locali di sgombro quelli interessati delle infiltrazioni e si era negata la qualità di impresa costruttrice nella SO.F.IM.; non si era considerato che gli attori chiedendo la condanna della società al pagamento della somma di lire 16.900.000 avevano in effetti proposto l'azione per la riduzione del prezzo; non era stata emessa, in violazione dell'art. 1494 c.c alcuna pronunzia sui danni richiesti; non poteva la società ritenersi non in colpa per il ritardo nella consegna della licenza di abitabilità; si doveva in relazione a questa ultimo capo della domanda pronunziare condanna generica al risarcimento.
La SO.F.IM. resisteva al gravame; con sentenza 26.2.1985 la Corte d'Appello di Roma in parziale accoglimento della impugnazione condannava la società al pagamento della somma di lire 16.900.000 importo necessario ad eliminare gli inconvenienti accertati e dovuto a titolo di risarcimento danni, oltre lire 7 milioni per interessi e svalutazione monetaria fino alla data della pronunzia.
Condannava ancora la SO.F.IM. al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede, per il mancato espletamento di tutte le pratiche necessarie per ottenere la licenza di abilità e al rimborso delle spese del doppio grado del giudizio.
Riteneva la Corte d'Appello che le infiltrazioni di acqua, e non un semplice fenomeno di condensa, erano state rilevate sia in sede di accertamento tecnico preventivo sia dal consulente d'ufficio nella fase di merito; questi li aveva riferiti a gravi difetti costruttivi presenti nel solaio e nelle tamponature con inconvenienti di carattere statico nel corpo di fabbrica aggiunto nel quale si trovava la superficie dell'appartamento destinata a cameretta e a bagno interessata dalle infiltrazioni; che non era applicabile la normativa dell'art. 1669 c.c. in quanto la società convenuta non aveva costruito l'edificio ma solo trasformato un albergo in residence; che non era stata proposta un'azione di riduzione del prezzo ma di danni riferibili allo art. 1494 c.c., poiché si era chiesta la condanna della società al pagamento della somma determinata dal consulente tecnico d'ufficio quale costo delle opere necessarie ad eliminare gli inconvenienti riscontrati; che la SO.F.IM. era inadempiente all'obbligo assunto nel contratto 6.12.1979 di espletare le pratiche necessarie per ottenere la licenza di abitabilità.
Avverso la sentenza, non notificata, ha proposto ricorso con atto del 23.7.1985 con tre motivi di censura la SO.F.IM.; resistono con controricorso e ricorso incidentale affidato ad un solo motivo Sposato Francesco e Bianchi Anna Maria quali esercenti la potestà sul figlio minore Gianluca.
Gli Sposato hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
Preliminarmente i due ricorsi, principale e incidentale, devono, in applicazione allo art. 335 c.p.c. essere riuniti.
Con il primo motivo deducendo violazione e falsa applicazione degli art. 112 c.p.c., 1490, 1492 e 1476 c.c. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c.; insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 n. 5 c.p.c.) la società ricorrente lamenta che la Corte d'Appello ha erroneamente qualificato la domanda attrice come di risarcimento dei danni ex art. 1494 c.c.; essa infatti era diretta a conseguire la condanna della SO.F.IM. all'esecuzione dei lavori necessari per eliminare i vizi e difetti riscontrati nell'immobile e, in mancanza, al pagamento della somma necessaria a realizzarli; condannando la società al pagamento dell'importo di lire 16.900.000 a titolo di risarcimento danni la sentenza impugnata è incorsa quindi anche nel vizio di ultrapetizione.
Lamenta ancora la SO.F.IM. che la Corte d'Appello avrebbe dovuto dichiarare inammissibile tale domanda di pagamento delle somme necessarie per l'eliminazione dei vizi proposta in via subordinata e alternativa, non essendo la stessa ricompresa fra le azioni di garanzia dell'art. 1490 c.c., e perché incompatibile con l'obbligazione principale di fare posta a carico del venditore.
Le censure non hanno fondamento.
Il vizio di ultrapetizione sussiste soltanto se il giudice eccede con la sua pronunzia i limiti del petitum attribuendo un bene che non è stato domandato e non può quindi configurarsi allo infuori di detta ipotesi, qualora il giudice dia al rapporto controverso o ai fatti che non sono stati allegati quale causa petendi dell'esperita azione una qualificazione diversa da quella prospettata dalle parti (v. Cass. 7.10.1987 n. 7493; Cass. 5.2.1987 n. 1138; Cass. 23.5.1986 n. 3455; Cass. 29.11.1985 n. 5973; Cass. 22.12.1983 n. 7581 e numerose altre).
In applicazione di tali principi la sentenza impugnata non ha violato l'art. 112 c.p.c. perché non ha attribuito ai coniugi Sposato somme non richieste e ben poteva qualificare l'azione proposta come di risarcimento danni.
Nè tale qualificazione è censurabile perché l'art. 2058 c.c. applicabile anche in materia contrattuale (v. Cass. 26.6.1984 n. 3739; Cass. 2.3.1973 n. 582) prevede la possibilità di conseguire il risarcimento del danno mediante reintegrazione in forma specifica, con l'eliminazione cioè di quanto illecitamente è stato fatto o, per equivalente, con attribuzione della somma occorrente ad ovviare alle conseguenze dell'illecito.
L'azione proposta era infine ammissibile perché nell'art. 1494 c.c. l'espressione "in ogni caso" collegata al disposto dei precedenti artt. 1492 e 1493 sta a significare che l'interessato può chiedere in alternativa, ovvero in cumulo con le azioni dirette all'adempimento del contratto in via specifica ed alla riduzione del prezzo, o alla risoluzione del contratto, che gli venga risarcito il danno costituito dalle spese necessarie per eliminare i vizi della cosa venduta trattandosi di un risarcimento per equivalente in una somma riconosciuta indipendentemente dall'effettiva eliminazione dei vizi a cura del creditore e insuscettibile di variazione in rapporto alla concreta entità della relativa spesa.
Sono pertanto coevamente proponibile dal compratore, come hanno fatto i coniugi Sposato, la domanda di eliminazione dei vizi ad opera del venditore e quella, subordinata alla mancata esecuzione specifica della condanna all'eliminazione dei vizi, intesa al risarcimento dei danni in misura pari all'importo della spese per detta eliminazione (v. Cass. 30.7.1983 n. 5245; Cass. 5.3.1979 n. 1386; Cass. 26.2.1979 n. 1267).
Con il secondo motivo deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 101, 115, 116, 191, 194 c.p.c. in relazione all'art. 360 n. 3 stesso codice; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 n. 5 c.p.c.) la ricorrente lamenta che la Corte di Appello ha condiviso i risultati della consulenza tecnica d'ufficio senza motivare le ragioni del suo dissenso rispetto al diverso convincimento del tribunale; non ha valutato tali risultati anche in base agli altri accertamenti espletati, alle fotografie prodotte e alle prove acquisite; non ha tenuto conto della nullità della consulenza tecnica espletata in violazione dell'art. 194 c.p.c. per mancanza di contraddittorio il consulente di parte, impedito non era intervenuto nell'unica ispezione svolta; la relazione era stata depositata prima della scadenza del termine fissato e non si erano acquisite le controdeduzioni del consulente di parte ing. Ammanti; essa aveva avuto per oggetto quesiti non formulati dal g.I. quali erano quelli relativi alla statica dell'edificio.
Anche queste devono essere disattese.
Esse sono inammissibili nella parte in cui deducono nullità della consulenza tecnica d'ufficio trattandosi di questioni nuove.
I motivi del ricorso per cassazione devono infatti investire, a pena di inammissibilità, statuizioni e questioni che hanno formato oggetto di gravame con l'atto di appello, talché nel giudizio di cassazione non possono essere prospettate per la prima volta questione nuove o nuovi temi di contestazioni involgenti accertamenti di fatto non compiuti dal giudice di merito, salvo che si tratta di questione rilevabili d'ufficio, ovvero nell'ambito delle questioni trattate, di profilo nuovi di diritto da considerarsi compresi nel dibattito, perché fondati sugli stessi elementi di fatto (v. Cass. 24.10.1988 n. 5756).
Le eccezioni di nullità, mai formulate in precedenza, non configurano neanche questioni rilevabili d'ufficio.
Perché sussista infatti l'obbligo del giudice di prendere in esame l'eccezione di nullità della consulenza tecnica d'ufficio, che è di carattere relativo, è necessario che essa sia stata dedotta nell'udienza o nella difesa successiva al deposito della relazione da parte del consulente ai sensi dell'art. 157 comma 2 c.p.c. (v. Cass. 14.1.1980 n. 1058; Cass. 27.1.1971 n. 497; Cass. 31.1.1967 n. 278).
I giudici d'appello hanno poi motivato la riforma della sentenza di primo grado dichiarando di condividere i risultati della consulenza tecnica d'ufficio disattesi dal tribunale; in tal modo hanno implicitamente manifestato quel dissenso che non sarebbe stato espresso secondo la ricorrente, nè erano tenuti ad istituire una correlazione fra l'esito della consulenza ed altri eventuali elementi di prova spettando al giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento e scegliere fra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione dando prevalenza all'uno o all'altro mezzo di prova, salvi i casi tassativamente previsti dalla legge, mentre la parte che della omessa valutazione di una prova si lamenta ha l'onere di specificare sia pure in maniera sintetica gli elementi di causa il cui esame è stato omesso, oppure insufficientemente o contraddittoriamente compiuto, al fine di rendere possibile l'accertamento della loro decisività (v. Cass. 25.3.1987 n. 2898; Cass. 19.2.1987 n. 1795).
Sotto quest'ultimo profilo il generico richiamo da parte della SO.F.IM. "agli altri accertamenti espletati, alle fotografie prodotte e alle prove acquisite" non adempie all'onere precisato di specificazione dei punti decisivi trascurati o valutati insufficientemente o illogicamente e fa sì che con la censura, formalmente correlata ad uno dei vizi previsti dall'art. 360 n. 5 c.p.c., deve ritenersi in effetti proposta una semplice revisione inammissibile in sede di legittimità, delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito (v. Cass. 9.12.1981 n. 6506).
Con il terzo motivo deducendo violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c., nonché degli artt. 1218 segg., 1362 segg., 2697 c.c. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360 n. 5 c.p.c.), la società ricorrente lamenta che la Corte d'Appello nel condannarla al risarcimento dei danni per il mancato espletamento delle pratiche necessarie ad ottenere la licenza di abitabilità, non ha considerato che gli attori avevano chiesto la sua condanna alla consegna del documento ed ha quindi violato il principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato; che l'impegno della ricorrente integrava un'obbligazione di risultato non predeterminata nel tempo e quindi alcun inadempimento era configurabile; che alcuna prova era stata fornita in ordine all'asserito inadempimento.
Le censure sono infondate.
Richiamando quanto si è esposto nell'esame del primo motivo in ordine alla corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato che vincola il giudice ex art. 112 c.p.c., non è stata tale disposizione di legge violata perché i coniugi Sposato avevano con l'atto introduttivo del giudizio chiesto la condanna della società alla consegna del certificato di abitabilità e al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede, conseguenti all'inadempimento dell'obbligo in tal senso contrattualmente assunto dalla convenuta.
La mancata fissazione di un termine per la consegna del documento non rendeva la prestazione inesigibile ma ne importava l'adempimento immediatamente (art. 1183 - 1 parte c.c.).
Ai fini poi della ripartizione dell'onere della prova in materia di obbligazioni si deve aver riguardo all'oggetto specifico della domanda, nel senso che qualora si chieda l'esecuzione del contratto e l'adempimento della relative obbligazioni è sufficiente che l'attore provi il titolo che costituisce la fonte del diritto vantato e cioè l'esistenza del contratto e quindi dell'obbligo che si assume inadempiuto; se si domanda invece la risoluzione del contratto per l'inadempimento di un'obbligazione l'attore è tenuto a provare anche il fatto che legittima la risoluzione ossia l'inadempimento e le circostanze inerenti in funzione delle quali esso assume giuridica rilevanza (v. Cass. 10.11.1960 n. 3010; Cass. 5.4.1984 n. 2221).
Verificatosi poi l'inadempimento, la colpa del debitore è presunta (art. 1218 c.c.) e può essere esclusa solo dalla prova dello stesso fornita dalla sua non imputabilità.
La sentenza impugnata non ha violato tali principi: ha desunto infatti l'inadempimento della società dalla oggettiva constatazione che a distanza di anni dall'assunzione dell'obbligo nel contratto 6.12.1979 nulla essa aveva fatto per ottenere la licenza di abitabilità; nè era stata superata la presunzione di colpa dell'art. 1218 c.c.
Passando all'esame dell'impugnazione incidentale lamentano i coniugi Sposato con l'unico motivo violazione e falsa applicazione degli artt. 115 - 2 comma c.p.c.; 1494 - 1 comma, 1218 e 1223 c.c. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c.; omessa motivazione (art. 360 n. 5 c.p.c) per avere la Corte di Appello omesso ogni pronunzia sulla loro richiesta di danni per inagibilità dell'immobile nel tempo necessario ad eseguire i lavori di riparazione.
Detta inagibilità era stata già accertata dalla consulenza d'ufficio; costitutiva un fatto di comune esperienza che ben poteva essere tenuto presente d'ufficio, nè pronunzia sul punto può ritenersi la generica affermazione della Corte di merito secondo cui ogni altra pretesa era priva di riscontro probatorio.
Le censure sono in parte fondate.
La sentenza impugnata non ha omesso di pronunziarsi sulla domanda di risarcimento per mancata utilizzazione dell'immobile nel tempo occorrente ad eseguire il lavori di riparazione; l'ha solo disattesa perché non provata ed è solo con riguardo a quest'ultima affermazione che si delinea un vizio di motivazione.
Questa può ritenersi adempiuta quando sono stati dal giudice indicati gli elementi del proprio convincimento; l'affermazione pertanto, come quella in esame, con la quale si nega apoditticamente che sia stata data la prova d un fatto a fondamento della domanda senza precisare quali siano le prove negative costituisce motivazione apparente e quindi omessa (v. Cass. 11.2.1980 n. 987).
Inammissibile è infine la censura di violazione dell'art. 115 - 2 comma c.p.c. per mancato ricorso da parte dei giudici di merito al fatto notorio della destinazione degli alloggi di montagna nel periodo estivo nel quale i lavori di ripristino dovrebbero eseguirsi trattandosi di un potere discrezionale sottratto al sindacato di legittimità.
Può essere infatti in detta sede censurata solo l'affermazione del giudice del merito circa le sussistenza di un fatto notorio ove sia stata posta a base della decisione un'inesatta notazione del notorio da intendere come fatto conosciuto da un uomo di media cultura in un dato tempo e luogo, non anche per inesistenza o insufficienza di motivazione, il mancato ricorso al notorio che è esplicazione di un potere discrezionale del giudice di merito che pertanto non è tenuto affatto ad indicare gli elementi sui quali la sua determinazione al riguardo si fondi (v. Cass. 11.2.1987 n. 1492; Cass. 21.1.1980 n. 479; Cass. 10.6.1977 n. 2422).
Accogliendosi per quanto di ragione solo il ricorso incidentale la sentenza impugnata dev'essere annullata con rinvio per nuovo esame della domanda di risarcimento danni, conseguiti alla mancata utilizzazione dell'immobile, ad altra sezione della stessa Corte d'Appello la quale si uniformerà ai principi di diritto in precedenza indicati e provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
p.q.m.
La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale; accoglie il ricorso incidentale; cassa e rinvia anche per le spese ad altra sezione della Corte di Appello di Roma. Roma 2.5.1989.
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