Juris data - Archivio selezionato: Sentenze Cassazione Civile
Cassazione civile, sez. un. 30/10/2001 n. 13533
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Andrea VELA Primo - Presidente -
Dott. Francesco AMIRANTE - Presidente di sezione -
Dott. Alfio FINOCCHIARO - Presidente di sezione -
Dott. Giovanni PRESTIPINO - Consigliere -
Dott. Paolo VITTORIA - Consigliere -
Dott. Antonino ELEFANTE - Consigliere -
Dott. Alessandro CRISCUOLO - Consigliere -
Dott. Roberto PREDEN - Rel. Consigliere -
Dott. Stefanomaria EVANGELISTA - Consigliere -
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
GALLO LUIGI, elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE FLAMINIO
66, presso lo studio dell'avvocato ARCIERI NICOLA, che lo rappresenta
e difende, giusta delega a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
ASSOCIAZIONE NON RICONOSCIUTA CENTRO CULTURALE LATINO AMERICANO "EL
CHARANGO", DAGOBERTO ROLLA;
- intimati -
avverso la sentenza n. 1255-96 della Corte d'Appello di ROMA,
depositata il 03-04-96; udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 06-04-01 dal Consigliere Dott. Roberto PREDEN;
udito l'Avvocato Nicola ARCIERI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
Domenico IANNELLI che ha concluso per l'accoglimento del primo motivo
del ricorso e rinvio ad altra Sezione semplice per l'ulteriore corso.
Svolgimento del processo
Con atto notificato il 16.5.1991, Luigi Gallo conveniva davanti al Tribunale di Roma il Centro Culturale Latino Americano El Charango in persona del legale rappresentante Dagoberto Rolla, e quest'ultimo in proprio, per sentirli condannare all'adempimento dell'obbligazione, assunta con scrittura del 26.1.1989, avente ad oggetto l'insonorizzazione della parete divisoria tra l'albergo gestito dall'attore e la sede dell'associazione entro il 15.8.1989, con previsione di una penale di L. 100.000 per ogni giorno di ritardo.
I convenuti resistevano, deducendo che l'associazione aveva cessato l'attività.
L'attore, modificando la domanda, chiedeva la condanna della convenuta al pagamento della penale.
Il tribunale, con sentenza dell'1.10.1993, condannava il Centro Culturale ed il Rolla al pagamento della somma di L. 14.800.000 ed al rimborso delle spese.
Avverso la sentenza proponevano appello i soccombenti, chiedendone la riforma.
Resisteva il Gallo.
La Corte d'appello di Roma, con sentenza del 3.4.1996, accoglieva l'appello; rigettava la domanda; condannava il Gallo al pagamento delle spese del doppio grado.
Considerava:
- che correttamente il tribunale aveva qualificato come "penale" la clausola, inserita nella scrittura del 26.1.1989, recante la predeterminazione del danno conseguente all'inadempimento dell'obbligazione di insonorizzare i locali nella misura di L. 100.000 giornaliere;
- che, peraltro, il tribunale aveva errato nel fare applicazione dei principi che regolano l'onere della prova, atteso che la clausola penale ha soltanto la funzione di predeterminare l'entità del danno, in caso di inadempimento, ma non sottrae il soggetto che la invoca all'onere di fornire la prova dell'inadempimento;
- che erroneamente, quindi, il tribunale aveva fondato l'accoglimento della domanda di risarcimento sulla mancata prova dell'adempimento entro il termine pattuito da parte dei convenuti, poiché, a fronte della contestazione della controparte, gravava sull'attore l'onere di dimostrare sia il mancato adempimento entro il termine pattuito, sia il periodo di protrazione del medesimo;
- che, in mancanza dell'assolvimento del detto onere probatorio, la domanda doveva essere rigettata.
Avverso la sentenza il Gallo ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
Non hanno svolto difese gli intimati.
Il ricorso è stato assegnato alla terza sezione civile, che, con ordinanza del 29.4.1998, ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni unite. Ha considerato la terza sezione:
- che oggetto del giudizio è la richiesta di pagamento di una somma a titolo di risarcimento del danno conseguente ad inadempimento contrattuale;
- che il ricorso ripropone la questione se sia il creditore agente, che lamenta la violazione del suo diritto, ad essere gravato dell'onere di dimostrare il mancato o inesatto adempimento dell'obbligazione, quale fondamento dell'azione di esatto adempimento, di risoluzione o di risarcimento del danno, ovvero se incomba al debitore resistente, che eccepisca l'estinzione dell'obbligazione per adempimento, la prova dell'avvenuto compimento dell'attività solutoria;
- che sulla questione esiste contrasto nella giurisprudenza della Corte di cassazione, tra due indirizzi: uno, maggioritario, che diversifica il regime probatorio secondo che il creditore agisca per l'adempimento, nel qual caso si ritiene sufficiente che l'attore fornisca la prova del titolo che costituisce la fonte del diritto vantato, ovvero per la risoluzione, nel qual caso si ritiene che il creditore debba provare, oltre al titolo, anche l'inadempimento, integrante anch'esso fatto costitutivo della pretesa; ed un altro orientamento, minoritario, che tende ad unificare il regime probatorio gravante sul creditore, senza distinguere tra le ipotesi in cui agisca per l'adempimento, per la risoluzione o per il risarcimento del danno, ritenendo in ogni caso sufficiente la prova del titolo che costituisce la fonte dell'obbligazione che si assume inadempiuta, spettando al debitore provare il fatto estintivo dell'avvenuto adempimento.
Il ricorso è stato assegnato alle Sezioni unite per la composizione del contrasto.
Motivi della decisione
1. Il denunciato contrasto riguarda la posizione del creditore e del debitore, in tema di onere della prova, a norma dell'art. 2697 c.c., relativamente ai rimedi offerti al creditore dall'art. 1453 c.c., nel caso di inadempimento del debitore nei contratti a prestazioni corrispettive.
È opportuno richiamare il dato normativo di riferimento.
Recita l'art. 1218 c.c.:
"Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile." Dispone l'art. 1453 c.c.:
"Nei contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l'altro può a sua scelta chiedere l'adempimento o la risoluzione del contratto, salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno." "La risoluzione può essere domandata anche quando il giudizio è stato promosso per ottenere l'adempimento, ma non può più chiedersi l'adempimento quando è stata domandata la risoluzione." "Dalla data della domanda di risoluzione l'inadempiente non può più adempiere la propria obbligazione." A sua volta, la disciplina generale dell'onere della prova è dettata dall'art. 2697 c.c., secondo il quale:
"Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento." "Chi eccepisce l'inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l'eccezione si fonda." Il contrasto si pone nei seguenti termini. 1.1. Un primo orientamento, maggioritario, sostiene che il regime probatorio è diverso secondo che il creditore richieda l'adempimento ovvero la risoluzione.
Si afferma che, in materia di obbligazioni contrattuali, l'onere della prova dell'inadempimento incombe al creditore, che è tenuto a dimostrarlo, oltre al contenuto della prestazione stessa, mentre il debitore, solo dopo tale prova, è tenuto a giustificare l'inadempimento che il creditore gli attribuisce. Infatti, ai fini della ripartizione di detto onere, si deve avere riguardo all'oggetto specifico della domanda, talché, a differenza del caso in cui si chieda l'esecuzione del contratto e l'adempimento delle relative obbligazioni, ove è sufficiente che l'attore provi il titolo che costituisce la fonte del diritto vantato, e cioè l'esistenza del contratto, e, quindi, dell'obbligo che si assume inadempiuto, nell'ipotesi in cui si domandi invece la risoluzione del contratto per l'inadempimento dell'obbligazione, l'attore è tenuto a provare anche il fatto che legittima la risoluzione, ossia l'inadempimento e le circostanze inerenti, in funzione delle quali esso assume giuridica rilevanza, spettando al convenuto l'onere probatorio di essere immune da colpa, solo quando l'attore abbia provato il fatto costitutivo dell'inadempimento (sent. n. 2024-68; n. 1234-70; n. 2151-75; n. 5166-81; n. 3838-82; n. 8336-90; n. 11115-90; n. 13757-92; n. 1119-93; n. 10014-94; n. 4285-94; n. 7863-95; n. 8435-96; n. 124-97). 1.1.1. La tesi trova sostegno nei seguenti argomenti.
Viene valorizzata la distinzione tra i rimedi congiuntamente previsti dall'art. 1453 c.c., rilevando che si tratta di azioni con le quali vengono proposte domande con diverso oggetto (adempimento, risoluzione, risarcimento del danno).
Si osserva che nella azione di adempimento il fatto costituivo è il titolo, costituente la fonte negoziale o legale del diritto di credito, sicché la prova che il creditore deve fornire, ai sensi dell'art. 2697, comma 1, deve avere ad oggetto soltanto tale elemento. Al contrario, nella azione di risoluzione, la domanda si fonda su due elementi: il titolo, fonte convenzionale o legale dell'obbligazione, e l'inadempimento dell'obbligo, sicché la prova richiesta al creditore deve riguardarli entrambi, trattandosi di fatti costituitivi del diritto fatto valere, ai sensi dell'art. 2697, comma 1.
Si ritiene irrilevante che l'inadempimento, elevato ad oggetto dell'onere probatorio, sia un fatto negativo, opponendosi che, per costante giurisprudenza, anche i fatti negativi possono essere provati fornendo prova dei fatti positivi contrari (in tal senso: sent. n. 3644-82; n. 13872-91; n. 12746-92; n. 5744-93). 1.1.2. L'orientamento maggioritario trova riscontro anche in una parte della dottrina, nella quale si rinvengono analoghe argomentazioni. 1.2. Il contrapposto indirizzo, minoritario, tende invece a ricondurre ad unità il regime probatorio da applicare in riferimento a tutte le azioni previste dall'art. 1453 c.c., e cioè all'azione di adempimento, di risoluzione e di risarcimento del danno da inadempimento richiesto in via autonoma (facoltà pacificamente ammessa dalla giurisprudenza di questa S.C.: sent. n. 3911-68; n. 3678-71; n. 1530-88).
Si è affermato che l'azione di risoluzione per inadempimento prevista dall'art. 1453 c.c. e quelle di adempimento e di risarcimento dei danni previste anch'esse da detta norma hanno in comune il titolo ed il vincolo contrattuale di cui si deduce la violazione ad opera dell'altro contraente, sicché alla parte che le propone non può addossarsi altro onere, a norma dell'art. 2697 c.c., che di provare l'esistenza di quel titolo e, quindi, l'insorgenza di obbligazioni ad esso connesse, incombendo alla controparte, invece, l'onere della prova di avere adempiuto (sent. n. 10446194).
Altre decisioni hanno ribadito che il meccanismo di ripartizione dell'onere della prova ai sensi dell'art. 2697 c.c. in materia di responsabilità contrattuale è identico, sia che il creditore agisca per l'adempimento dell'obbligazione, sia che domandi il risarcimento per l'inadempimento contrattuale; in entrambi i casi il creditore dovrà provare i fatti costitutivi della pretesa, cioè l'esistenza della fonte negoziale o legale del credito e, se previsto, il termine di scadenza, e non anche l'inadempimento, mentre il debitore dovrà eccepire e dimostrare il fatto estintivo dell'adempimento (sent. n. 973-96; n. 3232-98; n. 11629-99). 1.2.1. La tesi trova sostegno nei seguenti argomenti.
Dall'art. 2697 c.c., che richiede all'attore la prova del diritto fatto valere ed al convenuto la prova della modificazione o del l'estinzione del diritto stesso, si desume il principio della presunzione di persistenza del diritto. Ed il principio - pacificamente applicabile all'ipotesi della domanda di adempimento, in relazione alla quale il creditore deve provare l'esistenza della fonte negoziale o legale del credito e, se previsto, del termine di scadenza, in quanto si tratta di fatti costitutivi del diritto di credito, ma non l'inadempimento, giacché è il debitore a dover provare l'adempimento, fatto estintivo dell'obbligazione -, deve trovare applicazione anche alle ipotesi in cui il creditore agisca per la risoluzione o per il risarcimento del danno da inadempimento richiesto in via autonoma (sent. n. 973-96; n. 3232-98; n. 11629-99).
Siffatta estensione trova giustificazione nella considerazione che, dovendo le norme essere interpretate secondo un criterio di ragionevolezza, appare irrazionale che di fronte ad una identica situazione probatoria della ragione del credito, e cioè dell'esistenza dell'obbligazione contrattuale e del diritto ad ottenerne l'adempimento, vi sia una diversa disciplina dell'onere probatorio, solo perché il creditore sceglie di chiedere (la risoluzione o) il risarcimento in denaro del danno determinato dall'inadempimento in luogo dell'adempimento, se ancora possibile, o del risarcimento in forma specifica (sent. n. 973-96).
L'esenzione del creditore dall'onere di provare il fatto negativo dell'inadempimento in tutte le ipotesi di cui all'art. 1453 c.c. (e non soltanto nel caso di domanda di adempimento), con correlativo spostamento sul debitore convenuto dell'onere di fornire la prova del fatto positivo dell'avvenuto adempimento, è conforme al principio di riferibilità o di vicinanza della prova. In virtù di tale principio, che muove dalla considerazione che il creditore incontrerebbe difficoltà, spesso insuperabili, se dovesse dimostrare di non aver ricevuto la prestazione, l'onere della prova viene infatti ripartito tenuto conto, in concreto, della possibilità per l'uno o per l'altro soggetto di provare fatti e circostanze che ricadono nelle rispettive sfere di azione. Ed appare coerente alla regola dettata dall'art. 2697 c.c., che distingue tra fatti costitutivi e fatti estintivi, ritenere che la prova dell'adempimento, fatto estintivo del diritto azionato dal creditore, spetti al debitore convenuto, che dovrà quindi dare la prova diretta e positiva dell'adempimento, trattandosi di fatto riferibile alla sua sfera di azione (sent. n. 973-96; n. 3232-98; n. 11629-99). 1.2.2. L'orientamento minoritario riceve l'approvazione di larga parte della dottrina, che svolge analoghe argomentazioni. 2. Il contrasto va composto aderendo all'indirizzo minoritario. 2.1. Per quanto concerne la disciplina dell'onere della prova, va ricordato che l'art. 1312 del codice civile del 1865 disponeva che:
"Chi domanda l'esecuzione di un'obbligazione deve provarla e chi pretende essere liberato deve dal canto suo provare il pagamento o il fatto che ha prodotto l'estinzione dell'obbligazione." Veniva quindi regolata specificamente la sola ipotesi dell'onere probatorio in relazione alla domanda di adempimento.
L'art. 2697 del codice civile vigente ha invece dettato una disciplina generale in tema di riparto dell'onere della prova, senza riferimento a specifici tipi di domande.
La formulazione generale del principio è quindi di ostacolo alla formulazione di temi fissi di prova. Ed occorre considerare che, al fine in esame, assume certamente rilevanza il ruolo assunto dalla parte nel processo.
Tuttavia, con riferimento ai tre rimedi congiuntamente previsti dall'art. 1453 c.c. appare opportuno individuare un criterio di massima caratterizzato, nel maggior grado possibile, da omogeneità.
L'eccesso di distinzioni di tipo concettuale e formale è sicuramente fonte di difficoltà per gli operatori pratici del diritto, le cui esigenze di certezza meritano di essere tenute nella dovuta considerazione. 2.2. Ritengono queste Sezioni unite di prestare adesione all'indirizzo minoritario, del quale condividono le principali argomentazioni. 2.2.1. Il principio della presunzione di persistenza del diritto, desumibile dall'art. 2697, in virtù del quale, una volta provata dal creditore l'esistenza di un diritto destinato ad essere soddisfatto entro un certo termine grava sul debitore l'onere di dimostrare l'esistenza del fatto estintivo, costituito dall'adempimento, deve ritenersi operante non solo nel caso in cui il creditore agisca per l'adempimento, nel quale caso deve soltanto provare il titolo contrattuale o legale del suo diritto, ma anche nel caso in cui, sul comune presupposto dell'inadempimento della controparte, agisca per la risoluzione o per il risarcimento del danno. 2.2.2. La ravvisata omogeneità del regime dell'onere della prova per le tre azioni previste dall'art. 1453 c.c. consegue infatti ad una interpretazione delle norme che vengono in gioco nella specie (l'art. 1453 in relazione agli artt. 1218 e 2697 c.c.) secondo un criterio di ragionevolezza.
La domanda di adempimento, la domanda di risoluzione per inadempimento e la domanda autonoma di risarcimento del danno da inadempimento si collegano tutte al medesimo presupposto, costituito dall'inadempimento. Servono tutte a far statuire che il debitore non ha adempiuto: le ulteriori pronunce sono consequenziali a questa, che rimane eguale a se stessa quali che siano i corollari che ne trae l'attore.
Le azioni di adempimento e di risoluzione sono poste dall'art. 1453 sullo stesso piano, tanto è vero che il creditore ha facoltà di scelta tra l'una o l'altra azione. Non è ragionevole attribuire diversa rilevanza al fatto dell'inadempimento a seconda del tipo di azione che viene in concreto esercitata. Se la parte che agisce per l'adempimento può limitarsi (come è incontroverso) ad allegare (senza onere di provarlo) che adempimento non vi è stato, eguale onere limitato alla allegazione va riconosciuto sussistente nel caso in cui invece dell'adempimento la parte richieda, postulando pur sempre che adempimento non vi è stato, la risoluzione o il risarcimento del danno.
D'altra parte, va anche rilevato che l'art. 1453, comma 2, che consente di sostituire in giudizio alla domanda di adempimento la domanda di risoluzione (art. 1453, comma 2) ha riconnesso l'uno e l'altro diritto ad un'unica fattispecie, e non ha condizionato il mutamento della domanda all'accollo di un nuovo onere probatorio. 2.2.3. L'identità del regime probatorio, per i tre rimedi previsti dall'art. 1453, merita di essere affermata anche per palesi esigenze di ordine pratico.
La difficoltà per il creditore di fornire la prova di non aver ricevuto la prestazione, e cioè di fornire la prova di un fatto negativo (salvo che si tratti di inadempimento di obbligazioni negative), è superata dai sostenitori dell'orientamento maggioritario con l'affermazione che nel vigente ordinamento non vige la regola secondo la quale "negativa non sunt probanda", ma opera il principio secondo cui la prova dei fatti negativi può essere data mediante la prova dei fatti positivi contrari.
Si tratta tuttavia di una tecnica probatoria non agevolmente praticabile: il creditore che deduce di non essere stato pagato avrà serie difficoltà ad individuare, come oggetto di prova, fatti positivi contrari idonei a dimostrare tale fatto negativo; al contrario, la prova dell'adempimento, ove sia avvenuto, sarà estremamente agevole per il debitore, che di regola sarà in possesso di una quietanza (al rilascio della quale ha diritto: art. 1199 c.c.) o di altro documento relativo al mezzo di pagamento utilizzato.
Si rivela quindi conforme all'esigenza di non rendere eccessivamente difficile l'esercizio del diritto del creditore a reagire all'inadempimento, senza peraltro penalizzare il diritto di difesa del debitore adempiente, fare applicazione del principio di riferibilità o di vicinanza della prova, ponendo in ogni caso l'onere della prova a carico del soggetto nella cui sfera si è prodotto l'inadempimento, e che è quindi in possesso degli elementi utili per paralizzare la pretesa del creditore, sia questa diretta all'adempimento, alla risoluzione o al risarcimento del danno, fornendo la prova del fatto estintivo del diritto azionato, costituito dall'adempimento. 2.2.4. In conclusione, deve affermarsi che il creditore, sia che agisca per l'adempimento, per la risoluzione o per il risarcimento del danno, deve dare la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto e, se previsto, del termine di scadenza, mentre può limitarsi ad allegare l'inadempimento della controparte: sarà il debitore convenuto a dover fornire la prova del fatto estintivo del diritto, costituito dall'avvenuto adempimento. 3. Eguale criterio di riparto dell'onere della prova deve ritenersi applicabile nel caso in cui il debitore, convenuto per l'adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno da inadempimento, si avvalga dell'eccezione di inadempimento di cui all'art. 1460 c.c. per paralizzare la pretesa dell'attore.
In tale eventualità i ruoli saranno invertiti.
Chi formula l'eccezione può limitarsi ad allegare l'altrui inadempimento: sarà la controparte a dover neutralizzare l'eccezione, dimostrando il proprio adempimento o la non ancora intervenuta scadenza dell'obbligazione a suo carico (in tal senso: sent. n. 3099-87; n. 13445-92; n. 3232-98). 4. Anche secondo i fautori della tesi che esenta il creditore dall'onere di provare l'inadempimento, qualora richieda la risoluzione o il risarcimento del danno in via autonoma, e pongono a carico del debitore, in entrambi i casi, l'onere di provare l'adempimento come fatto estintivo del diritto azionato (alla stessa stregua di quanto avviene nel caso di proposizione della domanda di adempimento), la regola non vale qualora sia dedotto, a fondamento della domanda di risoluzione o di risarcimento del danno, un inesatto adempimento: in tale ipotesi affermano che il creditore non può limitarsi ad allegare l'inesatto adempimento, ma ne deve fornire la prova (in tal senso, tra le decisioni che accolgono l'orientamento minoritario, v. sent. n. 11629-99).
In dottrina si rileva che, in tale eventualità, il creditore ammette l'avvenuto adempimento, ma lamenta vizi, difetti o difformità della prestazione eseguita rispetto a quella dovuta, dei quali deve dare la prova. 4.1. La tesi non merita adesione.
Le richiamate esigenze di omogeneità del regime probatorio inducono ad estendere anche all'ipotesi dell'inesatto adempimento il principio della sufficienza dell'allegazione dell'inesattezza dell'adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell'obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando anche in tale eventualità sul debitore l'onere di dimostrare l'avvenuto esatto adempimento.
Appare artificiosa la ricostruzione della vicenda secondo la quale il creditore che lamenta un inadempimento inesatto manifesterebbe, per implicito, la volontà di ammettere l'avvenuto adempimento. In realtà, il creditore esprime una ben precisa ed unica doglianza, incentrata sulla non conformità del comportamento del debitore al programma negoziale, ed in ragione di questa richiede tutela, domandando l'adempimento, la risoluzione o il risarcimento.
D'altra parte, la diversa consistenza dell'inadempimento totale e dell'inadempimento inesatto non può giustificare il diverso regime probatorio. In entrambi i casi il creditore deduce che l'altro contraente non è stato fedele al contratto. Non è ragionevole ritenere sufficiente l'allegazione per l'inadempimento totale (massima espressione di infedeltà al contratto) e pretendere dal creditore la prova del fatto negativo dell'inesattezza, se è dedotto soltanto un inadempimento inesatto o parziale (più ridotta manifestazione di infedeltà al contratto). In entrambi i casi la pretesa del creditore si fonda sulla allegazione di un inadempimento alla quale il debitore dovrà contrapporre la prova del fatto estintivo costituito dall'esatto adempimento. 5. Una eccezione all'affermato principio va invece ravvisata nel caso di inadempimento di obbligazioni negative.
Ove sia dedotta la violazione di una obbligazione di non fare, la prova dell'inadempimento è sempre a carico del creditore, anche nel caso in cui agisca per l'adempimento. 5.1. Il diverso regime è giustificato dalle seguenti considerazioni.
Ai sensi dell'art. 1222 c.c., ogni fatto compiuto in violazione di obbligazioni di non fare costituisce di per sè inadempimento.
L'inadempimento di siffatte obbligazioni integra un fatto positivo e non già un fatto negativo come avviene per le obbligazioni di dare o di fare.
Comune presupposto dei rimedi previsti dall'art. 1453 c.c. è quindi un inadempimento costituito da un fatto positivo (l'esecuzione di una costruzione, lo svolgimento di una attività).
Non opera quindi, qualora il creditore agisca per l'adempimento, richiedendo l'eliminazione delle modificazioni della realtà materiale poste in essere in violazione dell'obbligo di non fare, ovvero la risoluzione o il risarcimento, nel caso di violazioni con effetti irreversibili, il principio della persistenza del diritto insoddisfatto, perché nel caso di obbligazioni negative il diritto nasce soddisfatto e ciò che viene in considerazione è la sua successiva violazione, nè sussistono le esigenze pratiche determinate dalla difficoltà di fornire la prova di fatti negativi sulle quali si fonda il principio di riferibilità della prova, dal momento che l'inadempimento dell'obbligazione negativa ha natura di fatto positivo. 6. Tanto premesso, può ora procedersi all'esame del ricorso. 6.1. Con i tre motivi, tra loro intimamente connessi, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1321, 1382, 2697 c.c., in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., e difetto di motivazione, il ricorrente addebita alla corte d'appello di aver erroneamente posto a carico del creditore, che agiva per ottenere il risarcimento del danno da inadempimento contrattuale (danno di consistenza preventivamente determinata mediante clausola penale), l'onere di fornire la prova dell'inadempimento; sostiene, invocando l'orientamento minoritario, che era onere del debitore dimostrare di avere adempiuto. 6.2. Il ricorso è fondato.
La sentenza impugnata è in contraddizione con il principio accolto da queste Sezioni unite in sede di composizione del contrasto e va pertanto cassata.
La causa va rinviata ad altra sezione della Corte d'appello di Roma, che si atterrà al suenunciato principio. 7. Sussistono giusti motivi, da ravvisare nella sussistenza del contrasto di giurisprudenza ora composto, per compensare tra le parti le spese del giudizio di cassazione.
p.q.m.
La Corte accoglie il ricorso; cassa e rinvia ad altra sezione della Corte d'appello di Roma; compensa le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni unite civili della Corte suprema di cassazione, il 6.4.2001.
Tutti i diritti riservati - © copyright 2012 - Dott. A. Giuffrè Editore S.p.A