Juris data - Archivio selezionato: Sentenze Cassazione Civile

Cassazione civile, sez. II 18/10/2004 n. 20399

                         REPUBBLICA ITALIANA                         
                     IN NOME DEL POPOLO ITALIANO                     
                   LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                    
                           SEZIONE SECONDA                           
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
Dott. SPADONE     Mario             - Presidente -                   
Dott. MENSITIERI  Alfredo           - rel. Consigliere -             
Dott. SCHETTINO   Olindo            - Consigliere -                  
Dott. GOLDONI     Umberto           - Consigliere -                  
Dott. FIORE       Francesco Paolo   - Consigliere -                  
ha pronunciato la seguente:                                          
                              SENTENZA                               
sul ricorso proposto da:                                             
MARCHESE VITO, MARCHESE VITO ROBERTO,  elettivamente  domiciliati  in
ROMA VIA DELLE MILIZIE 22, presso lo studio dell'avvocato TURCO IGOR,
difesi dall'avvocato CAVASINO GIUSEPPE, giusta delega in atti;       
                                                       - ricorrenti -
                               contro                                
LAGO MARIO, NOSTRAN PAOLA,  elettivamente  domiciliati  in  ROMA  CSO
VITTORIO EMANUELE II 326, presso lo studio dell'avvocato SCOGNAMIGLIO
RENATO, che li difende unitamente all'avvocato NOTO  FILIPPO,  giusta
delega in atti;                                                      
                                                 - controricorrenti -
avverso la sentenza n.  428/01  della  Corte  d'Appello  di  PALERMO,
depositata il 17/05/01;                                              
udita la relazione della causa  svolta  nella  Pubblica  udienza  del
21/09/04 dal Consigliere Dott. MENSITIERI Alfredo;                   
udito l'Avvocato CAVASINO Giuseppe, difensore dei ricorrenti  che  ha
chiesto l'accoglimento del ricorso;                                  
udito  l'Avvocato  Vincenzo  PORCELLI  con    delega    dell'Avvocato
SCOGNAMIGLIO Renato, difensore  dei  resistenti  che  ha  chiesto  il
rigetto del ricorso;                                                 
udito il P.M. in persona del  Sostituto  Procuratore  Generale  Dott.
FINOCCHI GHERSI Renato che ha concluso per il rigetto del ricorso.   


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notificato il 25.3.1983 Marchese Vito e Marchese Vito Roberto convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Marsala, Lago Mario e Nostran Paola, e premesso di aver stipulato con i predetti un preliminare di compravendita con il quale Marchese Vito si era impegnato a fare acquistare ai convenuti un immobile di proprietà di Marchese Vito Roberto che aveva ratificato l'operato del promittente venditore e che i convenuti medesimi, benché formalmente invitati avevano omesso di presenziare alla convocazione dinanzi al notaio per la stipula del definitivo, rendendosi altresì morosi nel pagamento di alcune rate del prezzo, chiedevano all'adito giudice che venisse pronunciata la risoluzione del contratto per inadempimento dei promissari acquirenti e che costoro venissero condannati al pagamento della penale convenuta nell'importo di L. 20.000.000.
Costituitisi, Lago-Nostran contestavano le avverse deduzioni e rilevando che l'inadempimento del preliminare doveva essere imputato unicamente ai promittenti venditori che non avevano assolto l'obbligo, contrattualmente assunto, di sanare l'immobile promesso in vendita, abusivamente costruito, e di ottenere il relativo certificato di abitabilità proponevano domanda riconvenzionale per la risoluzione del contratto per fatto e colpa degli attori, con la condanna di costoro al pagamento della convenuta penale oltre alla restituzione delle somme versate in conto prezzo, con interessi e rivalutazione monetaria. Disposto, ad istanza degli attori, il sequestro giudiziario dell'immobile in contestazione, ed espletata una CTU il Tribunale, con sentenza del 5 luglio 1997, dichiarava risolto il preliminare, ai sensi dell'art. 1453 cc, per inadempimento degli attori che condannava al pagamento, in favore dei convenuti, della penale di L.. 20.000.000 oltre interessi legali dal 2.5.83, e delle ulteriori somme da questi ultimi corrisposte in dipendenza del contratto medesimo, oltre interessi legali dalla data dei singoli pagamenti al soddisfo, convalidava il sequestro giudiziario dell'immobile medesimo ordinando ai convenuti il rilascio dello stesso e ponendo a carico degli stessi le spese relative al procedimento cautelare e degli attori quelle del giudizio di merito. Proposto gravame dai soccombenti, con sentenza del 17 maggio 2001 la Corte d'appello di Palermo rigettava l'impugnazione condannando gli appellanti, in solido, alle maggiori spese del grado. Avverso tale decisione hanno proposto ricorso per Cassazione i Marchese sulla base di un unico, articolato motivo.
Resistono con controricorso gli intimati, i quali hanno depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l'unico motivo di ricorso si deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 cc. Osservano i ricorrenti che non rientrando l'immobile promesso in vendita tra quelli sanabili ai sensi della L.R. 29.2.1980 n. 7 per non essere stato realizzato entro il 30.9.1978 e per non essere ricompreso all'interno della perimetrazione prevista dall'art. 1, le parti, consapevolmente, avevano stipulato il preliminare avente ad oggetto l'immobile abusivo nella speranza e nella previsione (rivelatasi fondata) che presto sarebbe stata emanata una legge sulla sanatoria. Tuttavia, non conoscendo (e non potendo conoscere) il contenuto della emananda legge, avevano regolamentato sia il caso che il fabbricato fosse sanabile, ponendo a carico dei venditori l'obbligo di regolarizzarlo, sia il caso in cui non lo fosse, prevedendo, per questa ipotesi, il trasferimento dell'immobile con l'obbligo a carico dei venditori di tenere indenni gli acquirenti e, in caso di demolizione, di rimborsare il prezzo, maggiorato degli interessi.
E poiché il fabbricato non era sanabile, essi Marchese non avevano avanzato alcuna istanza di sanatoria, la quale omissione non poteva essere considerata inadempimento o condotta contraria ai doveri di correttezza e di buona fede, come erroneamente ritenuto dalla Corte del merito, che avrebbe dovuto, al contrario, ritenere unici inadempienti i promissari acquirenti, i quali non avevano aderito all'invito a procedere alla stipula dell'atto definitivo, neppur cercando di intavolare una trattativa per rivedere eventualmente gli accordi contrattuali e neppur provvedendo al pagamento delle ulteriori rate del prezzo convenuto.
È infondato.
Nel confermare, sia pur con diversa motivazione, la decisione di prime cure, ha osservato la Corte del merito che l'inadempimento da parte degli appellanti, attuali ricorrenti, esattamente ritenuto dal primo giudice avendo essi omesso di porre in essere la benché minima attività al fine di regolarizzare la posizione dell'immobile nel termine contrattualmente stabilitesi legava piuttosto alla violazione del principio della buona fede nell'esecuzione del contratto. Premesso che il principio della buona fede oggettiva, cioè della reciproca lealtà di condotta, deve presiedere all'esecuzione del contratto, così come deve presiedere, negli intendimenti del legislatore, alla sua formazione ed alla sua interpretazione e, in definitiva, accompagnare il contratto in ogni sua fase, ha più specificamente richiamato la Corte territoriale la giurisprudenza di legittimità secondo cui la clausola generale di buona fede e correttezza è operante tanto sul piano del comportamento del debitore e del creditore nell'ambito del singolo rapporto obbligatorio (art. 1175 cc) quanto sul piano del complessivo assetto di interessi sottostanti all'esecuzione di un contratto (art. 1375 cc) concretizzandosi nel dovere di ciascun contraente di cooperare alla realizzazione dell'interesse della controparte e ponendosi come limite di ogni situazione, attiva o passiva, negozialmente attribuita, determinando così integrativamente il contenuto e gli effetti del contratto (Cass. n. 1078/99) e che in tema di esecuzione del medesimo (o del rapporto obbligatorio) la buona fede si atteggia come un impegno od obbligo di solidarietà, che impone a ciascuna parte di tenere quei comportamenti che, a prescindere da specifici obblighi contrattuali e dal dovere extra-contrattuale del "neminem laedere", senza rappresentare un apprezzabile sacrificio a suo carico, siano idonei a preservare gli interessi dell'altra parte (Cass. n. 2503/91). Nella valutazione comparativa delle condotte di entrambi i contraenti la complessiva condotta omissiva dei Marchese, ancorché non esplicitamente sanzionata, stante la possibilità loro concessa di stipulare l'atto di vendita anche in assenza del certificato di abitabilità o di quel "minus" rappresentato dalla proposizione dell'istanza di sanatoria, assumeva, ad avviso dei giudici d'appello, particolare risalto, essendo sicuramente contraria ai sopraenunciati intendimenti, che nel principio di lealtà trovavano il loro logico fondamento.
A tal proposito era sufficiente considerare, secondo quei giudici, il rilevante interesse dei promissari acquirenti i quali erano sì consapevoli del fatto che la costruzione fosse abusiva, ma si erano determinati all'acquisto - al tempo lecito, non essendo ancora entrata in vigore la legge n. 47/1985, che ha sancito la incommerciabilità delle costruzioni abusive - assoggettandosi al pagamento di un prezzo sicuramente non irrisorio, sottoscrivendo altresì una clausola penale dell'ammontare di L. 20.000.000, ed esponendosi al rischio di vedersi privati della disponibilità dell'immobile, nel caso che ne venisse disposta la demolizione, senza una sufficiente contropartita, tenuto conto che l'obbligazione risarcitoria condizionata dall'eventuale verificarsi di quest'ultima circostanza, assunta dai promittenti venditori, non appariva sorretta da alcuna garanzia.
D'altra parte, sempre ad avviso di quei giudici, dalla semplice lettura del contratto si evinceva che il contratto definitivo di vendita doveva essere stipulato ugualmente, soltanto nel caso in cui l'autorità competente non avesse ancora rilasciato, alla data del 28.2.1982, il certificato di abitabilità, il che, al di là del tenore letterale delle espressioni usate, presupponeva, conformemente ai criteri della logica, oltre che della lealtà contrattuale, che una qualunque istanza, non importa se di sanatoria o di rilascio di concessione edilizia, purché afferente la giuridica situazione dell'immobile, venisse avanzata dagli attuali ricorrenti e non già la loro pura e semplice inerzia.
Ed in ogni caso, le prospettate esigenze di buona fede nell'esecuzione del contratto, una volta acquisita la consapevolezza di non poter ottenere, quanto meno entro il termine previsto la sanatoria dell'immobile - e conseguentemente la promessa licenza di abitabilità - avrebbero imposto di dare comunicazione ai promissari acquirenti degli imprevisti sviluppi della situazione, al fine di rivedere il complessivo assetto contrattuale, ovvero per procedere ugualmente alla stipula dell'atto definitivo di vendita nei termini inizialmente convenuti.
Né, d'altronde, hanno conclusivamente affermato i giudici del gravame di merito, potevano ravvisarsi a carico degli stessi promissari acquirenti specifici doveri d'informazione o di sollecitazione, aventi ad oggetto la domanda di sanatoria, nei confronti dei Marchese o di terze persone la cui omissione potesse esser ritenuta censurabile sotto il profilo della violazione dei doveri di lealtà e di probità sostanziantisi nella richiamata buona fede oggettiva.
Ebbene, come ognun vede, tali considerazioni, attraverso le quali la Corte palermitana, nella valutazione comparativa delle condotte di entrambi i contraenti, ha ritenuto quella omissiva degli attuali ricorrenti, in quanto contraria ai doveri di correttezza e buona fede nella esecuzione del contratto, costituente inadempimento agli obblighi di cui al preliminare di compravendita tale da legittimare la pronuncia di risoluzione dello stesso, configurano apprezzamento di fatto sorretto da motivazione congrua, esente da vizi logici e da errori di diritto e pertanto incensurabile nella attuale sede. Alla stregua delle svolte argomentazioni il proposto ricorso va quindi respinto con la condanna dei ricorrenti, in solido, alle spese di questo giudizio, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento, in favore di Lago Mario e Nostran Paola, delle spese del presente giudizio, che liquida in euro 100,00 oltre ad euro 2.000,00 per onorari, con gli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 21 settembre 2004.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 18 OTT. 2004
Tutti i diritti riservati - © copyright 2012 - Dott. A. Giuffrè Editore S.p.A