La compravendita del domain name

Intervento al convegno sulla vendita internazionale di beni mobili.

[:it]Il 15.11. ho avuto il piacere di presentare brevemente, in occasione del convegno sulla vendita internazionale dei beni mobili, presso l'aula magna dell'Università di Verona, un tema già da me trattato nei seguenti articoli: la compravendità del domain name e tld (in ambito internazionale).

Se è di vostro interesse ecco qui le slides del convegno.[:]


Un americano a Roma

Ma il .eu, lo potrebbe utilizzare anche un americano a Roma...?

[:it]In data 12 luglio 2012 la Corte di Giustizia europea ha emanato una sentenza molto interessante in ambito di diritto dell’internet e e-commerce. Nello specifico ha stabilito che i domini di primo livello (Tld – top level domain) “.eu” sono riservati solamente alle imprese che hanno “la propria sede legale nel territorio dell’Ue”.
In particolare ai sensi della normativa EU (art. 12 del regolamento n. 874 del 2004)  può essere richiesta la registrazione del Tld “.eu” solamente dei “nomi di dominio [..] dei marchi nazionali registrati, dei marchi comunitari registrati, [..] e dai titolari o licenziatari di diritti preesistenti.

La Corte di Giustizia, nell’interpretare la succitata norma ha considerato che per “licenziatari di diritti preesistenti” non possono intendersi società o persone dell’unione europea che si limitano, su richiesta di un titolare di un marchio con sede in un paese terzo, alla registrazione dello marchio medesimo senza che ne sia a loro consentito un uso commerciale.

Il caso di specie, per rendere più chiara la questione, ha visto protagonista una società americana, (la Wlash Optical), che opera nella vendita online di lenti a contatto e di altri articoli di occhialeria. La stessa gestisce dal 1998 il sito www.lensworld.com e si è resa titolare del marchio Benelux Lensworld, registrando lo stesso in data 26 ottobre 2005. Nel novembre 2005 la stessa decide di stipulare un contratto di licenza con la Bureau Gevers, società belga che svolge attività di consulenza in materia di proprietà intellettuale, affinché quest’ultima registri a suo nome, ma per conto della stessa Walsh Optical, il dominio “lensworld.eu” presso l’UERid.

A seguito di un anno, anche la Pie Optiek, società belga concorrente della ditta americana, chiede la registrazione del sito “www. lensworld.eu.” Detta richiesta viene ad ogni modo respinta.

La Pie Optiek, pertanto, promuove un azione legale nei confronti della società americana, ritenendo che, in quanto avente sede in un paese terzo, non avesse diritto ad utilizzare il dominio .eu. Il tribunale di prima istanza respinge il ricorso. Avverso la sentenza propone appello la Pie Optiek. La Corte di Appello di Bruxelles rimette la causa alla Corte di Giustizia richiedendo l’interpretazione dell’articolo 12, paragrafo 2, del Regolamento n. 874 del 2004. La  Corte, quindi, afferma che non si può intendere licenziatario di diritti preesistenti” una persona semplicemente autorizzata dal titolare del marchio, con sede in un paese terzo, a registrare a proprio nome, ma per conto del concedente, un nome a dominio identico o simile al marchio stesso, senza che tuttavia le sia consentito un uso commerciale del medesimo.

La Corte rileva sul punto come il dominio di primo livello .eu è stato creato allo scopo di accrescere la visibilità del mercato interno nell’ambito degli scambi commerciali virtuale basato su Internet, offrendo un nesso chiaramente identificabile con l’Unione Europea, con il quadro normativo associato e con il mercato europeo, nonché consentendo alle imprese, alle organizzazioni e alle persone fisiche dell’Unione di registrarsi in un dominio che renda evidente tale nesso.

Per tale motivo debbano essere registrati i nomi di dominio esclusivamente richiesti da qualsiasi soggetto che soddisfi i criteri di presenza sul territorio dell’Unione Europea. Più precisamente, da parte di imprese che abbiano la propria sede legale, amministrazione centrale o sede di affari principale nel territorio dell’Unione, da qualsiasi organizzazione stabilita nel territorio della medesima nonché da qualsiasi persona fisica residente nel territorio dell’Unione Europea.

 

 

 

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Diritto dell'internet parte I: il marchio ed il nome a dominio.

[:it]Per riuscire ad entrare in questo argomento, si rende necessario esaminare in via propedeutica alcuni concetti che toccano sia il diritto industriale, che le regole consuetudinarie del mondo dell’internet.

Prima di tutto è necessario vedere come il nome a dominio viene inquadrato all’interno dell’ordinamento italiano. Il legislatore

ha disciplinato per la prima volta tale figura coll’art. 22 c.p.i. (codice della proprietà industriale), introducendo il divieto di adottare come “nome a dominio un segno uguale o simile all’altrui marchio se, a causa dell’identità o dell’affinità tra l’attività di impresa dei titolari di quei segni ed i prodotti o servizi per i quali il marchio è adottato, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni”.

Il nome a dominio, pertanto, può anche rilevare come segno distintivo perché alla luce della progressiva “commercializzazione” della rete Internet l’imprenditore non si avvale più di un  nome a dominio qualsiasi, ma richiede un determinato indirizzo Internet per rendere identificabili ai navigatori i prodotti o servizi offerti dal proprio sito commerciale.

La dottrina e giurisprudenza, anche anteriormente all’introduzione della suddetta definizione all’interno del c.p.i., ha riconosciuto la capacità distintiva del nome a dominio riconoscendo che: “non sembra fondatamente contestabile che il domain name nella specie assuma anche un carattere distintivo dell'utilizzatore del sito - atto a concorrere all'identificazione del medesimo e dei servizi commerciali da esso offerti al pubblico a mezzo della interconnessione di reti (Internet) - con qualche apparente affinità con la figura dell'insegna, in quanto luogo (virtuale) ove l'imprenditore contatta il cliente fino a concludere con esso il contratto”.[1]

Tale interpretazione viene nuovamente confermata anche a seguito dell’introduzione del suddetto art. 22 c.p.i. da una recente decisione del Tribunale di Milano del 20.2.2009 che conferma in via definitiva l’orientamento giurisprudenziale dominante favorevole al riconoscimento della natura distintiva del nome a dominio formatosi anteriormente al c.p.i.[2]

Alle norme sulla tutela dei marchi si affiancano anche le regole della rete. In internet vige, infatti il principio del “first come, first served”, in base al quale un nome a dominio viene assegnato al primo richiedente, indipendentemente dal fatto che sia in conflitto con altrui diritti di privativa. Gli enti preposti all’assegnazione dei domini non sono tenuti ad effettuare alcun controllo preventivo atto  a prevenire/evitare la registrazione -quale domain name - di segni o marchi confondibili con un marchio registrato da parte di un soggetto diverso dal titolare del segno distintivo. In altri termini, in base all’attuale metodo di assegnazione dei domain names, tutti i nomi non ancora registrati (come domain name) sono liberamente registrabili da chiunque sulla base delle priorità delle richieste, indipendentemente dal fatto che tali nomi corrispondano o meno a denominazioni o segni distintivi di terzi più o meno noti.

A tal punto si rende necessario andare ad analizzare l’effettivo metodo applicativo delle suddette norme e, per far ciò, si rende necessario suddividere i marchi in due macrogruppi, ossia i marchi non rinomati e quelli rinomati.

a)  casi di domani name di marchio non rinomato

Nel primo caso, qualora il domain name sia identico o simile a marchio altrui non rinomato occorre, perché questi possa inibire l’utilizzo del suddetto nome a dominio, la concorrenza di due requisiti:

-      l’identità o somiglianza del marchio con il domain name (es. il marchio registrato è ABCD s.r.l. ed il terzo utilizza un nome a dominio coincidente www.abcd.it);

-      l’identità o affinità dei prodotti o servizi offerti. (entrambi operano nello stessa branca del mercato);

In tal caso sarà applicabile il principio di specialità della tutela del marchio previsto e disciplinato dagli artt. 2569, comma 1. c.c.[3] e dall’art. 20 comma 1 c.p.i., lett. a) e b).

Ovviamente più i prodotti ed i servizi offerti sono vicini, tanto maggiore sarà la confusione del pubblico sulla effettiva provenienza degli stessi.

Pertanto, anche nel caso in cui non sussista alcuna identità tra i settori merceologici del marchio non rinomato e del domain name, qualora venga dimostrata la mala fede del titolare del nome a dominio, si ritiene tale attività essere idonea a precludere al titolare del marchio l’utilizzo in Internet come ulteriore segno distintivo e pertanto censurabile ex art. 22 c.p.i. [4]

b)  casi di domani name di marchio rinomato

Nel caso di marchio notorio o di alta rinomanza, si ritiene indebito l’uso del domain name simile al marchio che anche nelle ipotesi di uso di segni per prodotti e servizi non affini se l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi.[5]

RIASSUMENDO

  • il legislatore, ha disciplinato per la prima volta tale il nome a dominio coll’art. 22 c.p.i. (codice della proprietà industriale)
  • l’orientamento giurisprudenziale dominante favorevole al riconoscimento della natura distintiva del nome a dominio
  • nei  casi di domain name di marchio non rinomato qualora il domain name sia identico o simile a marchio altrui occorrono, per inibire l’utilizzo del suddetto nome a dominio, che vi sia identità o somiglianza del marchio con il domain name e identità o affinità dei prodotti o servizi offerti
  • nei casi di domain name di marchio rinomato,  si ritiene indebito l’uso del domain name simile al marchio anche nelle ipotesi di uso di segni per prodotti e servizi non affini se l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi

[1] Tribunale di Milano, ordinanza 10 giugno 1997 - Amadeus Marketing SA, Amadeus Marketing Italia s.r.l. c. Logica s.r.l.

[2] “Il domain name ha doppia natura, tecnica di indirizzo delle risorse logiche della rete Internet e distintiva. In quanto segno distintivo - costituito dalla parte caratterizzante il nome a dominio denominata Second Level Domain - può entrare in conflitto con altri segni in applicazione del principio dell’unitarietà dei segni distintivi statuito dall’art. 22 c.p.i.”. Tribunale Milano, 20.02.2009, Soc. Solatube Global Marketing Inc. e altro c. Soc. Solar Proiect e altro.

[3] art. 2569, comma 1. c.c.[3] “Chi ha registrato nelle forme stabilite dalla legge un nuovo marchio idoneo a distinguere prodotti o servizi ha diritto di valersene in modo esclusivo per i prodotti o servizi per i quali è stato registrato”.

[4] Tribunale di Milano, ordinanza 10 giugno 1997 “La pratica confusoria illecita nota come domain grabbing consiste nella registrazione, presso la Naming Authority, del marchio altrui come nome a dominio, al solo fine di appropriarsi della notorietà del segno, costituisce in sé e per sé atto di contraffazione - censurabile ai sensi degli art. 22 c.p.i. - anche in quanto attività idonea a precludere al titolare dei marchio l’utilizzo in Internet come ulteriore segno distintivo”.

[5] Tribunale Milano, 20.02.2009 “La pratica confusoria illecita nota come domain grabbing consiste nella registrazione, presso la Naming Authority, del marchio altrui come nome a dominio, al solo fine di appropriarsi della notorietà del segno, costituisce in sé e per sé atto di contraffazione - censurabile ai sensi degli art. 22 c.p.i. - anche in quanto attività idonea a precludere al titolare dei marchio l’utilizzo in Internet come ulteriore segno distintivo”; Tribunale Modena, 18.10.2005L'assegnazione di un domain name (nome di sito web) corrispondente ad un marchio - anche solo di fatto, ma notorio - può costituire usurpazione del segno e concorrenza sleale in quanto comporta l'immediato vantaggio di ricollegare la propria attività a quella del titolare del marchio, sfruttando la notorietà del segno e traendone indebito vantaggio. Inoltre, la violazione di un marchio - perpetrata mercé il suo impiego quale domain name di un sito Internet - non è esclusa dalla circostanza che tale utilizzo sia avvenuto previa autorizzazione dell'apposita autorità preposta alla registrazione dei nomi di dominio, né dal fatto che il titolare del marchio non abbia in precedenza registrato presso detta autorità il medesimo nome”.

 

 

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